Non tutti sanno del rapporto speciale che “Brother Ray” aveva con Israele, dove era venerato dagli appassionati di musica dell’anima: il soul
Come ha fatto un ragazzino nero povero, cresciuto a piedi scalzi in un paesino della Florida negli anni Trenta, a trasformarsi in un fenomeno musicale planetario? Come ha fatto un bambino cieco a farsi strada fino all’Olimpo delle star, lasciandosi guidare esclusivamente dal suo amore per la musica?
Come ha scritto Kenneth Lee Karpe nelle note di copertina di Ray Charles at Newport, Ray ” era la somma totale delle reazioni della sua gente, un portavoce del suo tempo. Quando la sua musica era felice, glorificava la felicità, quando era triste, le sue richieste erano le lacrime, i pianti molto personali, degli uomini nel dolore. E quando era arrabbiato la sua rabbia era quella di una moltitudine. Lui era un uomo senza tempo, fuori dal tempo, perché cantava di valori umani.”
Raymond Charles Robinson, da tutti conosciuto come Ray Charles, era nato il 23 settembre 1930 ad Albany, in Georgia. Non è nato cieco, ma ha perso la vista all’età di sette anni a causa di un glaucoma.
“The Genius”, però, non si perso d’animo, riuscendo a vedere per primo il futuro della musica black, coniugando la spiritualità del gospel alla sensualità del rhythm ‘n’ blues, la raffinatezza del jazz alla tradizione del country.
Ray ha portato per primo la musica nera a un pubblico bianco, avvicinando il gospel (la musica di Dio) al blues (la musica del diavolo) e dimostrando che il soul non è un genere, ma un’attitudine dagli esiti sempre nuovi, attraversando epoche diversissime e segnate da cambiamenti radicali sempre a testa alta.
Dalle prime lezioni di piano nel retrobottega di un emporio ai tour nelle selvagge dance hall di provincia, fino agli studi delle grandi case discografiche e alle arene di mezzo mondo, Charles ha raggiunto il successo nel 1949 con Confession blues, un successo che è proseguito fino al pluripremiato Genius loves company, straordinario album di duetti del 2004 uscito poco dopo la sua morte, che si è aggiudicato 8 Grammy Awards.
Non tutti, però, conoscono il rapporto speciale che aveva “Brother Ray” con Israele, dove era quasi venerato dagli appassionati di musica dell’anima.
All’inizio degli anni Settanta, Ray Charles e i Raelettes avevano tenuto show in tutto il mondo ma, in termini di entusiasmo, nessuno di questi concerti si è avvicinato all’accoglienza che i musicisti hanno ricevuto all’inizio degli anni Settanta in Israele.
“In trent’anni on the road, non avevo mai sperimentato nulla di simile“, ha dichiarato lo stesso Ray nell’autobiografia scritta a quattro mani con David Ritz. “Dovevamo fare due spettacoli a Gerusalemme, ma il primo aveva un pubblico così folle e felice che non voleva andarsene. Gli spettatori del secondo set dovevano arrivare da un momento all’altro, ma il pubblico del primo non aveva alcuna intenzione di muoversi”.
Era la prima di tre tappe del tour nel paese mediorientale, nella prima metà di dicembre del 1972.
I fan israeliani del “Genio del Soul” hanno affollato le sale da concerto di Gerusalemme, Tel Aviv e Haifa, esibizioni a cui la stampa locale ha dato ampio spazio.
I promotori dei concerti a Gerusalemme, viste le resistenze del pubblico, hanno tentato di liberare la sala con la forza, ma Ray, avendo intuito il pericolo, chiese ed ottenne che i possessori del biglietto per il primo spettacolo potessero rimanere nella hall, a patto di rinunciare ai loro posti a sedere.
“Ero contento che il posto non avesse preso fuoco, perché saremmo bruciati tutti insieme. Ma, per fortuna, l’unico fuoco era quello in loro e in me. Non ricordo di essermi mai sentito più amato” ha confessato l’artista di Albany.
Durante il suo tour, Charles incontrò anche l’ex primo ministro israeliano David Ben-Gurion al Kibbutz Sde Boker nel Negev: il padre fondatore di Israele aveva allora 87 anni.
L’incontro tra il cantante, allora quarantenne, e “il Vecchio”, come era conosciuto affettuosamente dagli israeliani, è mostrato nel documentario Soul of the Holy Land, pubblicato dopo la morte di Charles nel 2004.
Uno dei momenti più emozionanti del film è quando i bambini di Sde Boker si uniscono a Ray e Ben-Gurion cantando “Hava Nagilah”, per non parlare di quando The Genius ha eseguito la canzone di Stevie Wonder “Heaven Help Us All” per Ben-Gurion e gli abitanti del kibbutz.
Nel 1976, B’nai B’rith onorò Ray Charles come il suo uomo dell’anno durante una cena a Beverly Hills.
Charles, visibilmente emozionato, affermò: “Anche se non sono ebreo quella di Israele è una delle poche cause che sono felice di sostenere. Neri ed ebrei sono collegati e legati da una storia comune di persecuzioni. Sappiamo entrambi com’è essere il poggiapiedi di qualcun altro”.
Giornalista romano, ama la musica sopra ogni altra cosa e, in seconda battuta, scrivere. Autore di un libro su Aretha Franklin e di uno dedicato al Re del Pop, “Michael Jackson. La musica, il messaggio, l’eredità artistica”, in cui ha coniugato le sue due passioni, collabora con Joimag da Roma