Temi e proposte dal convegno dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Aggiornamento del 16 dicembre. La seconda parte dei lavori degli Stati Generali dell’Ucei si è svolta in workshop tematici, presentati poi in sintesi a tutti. Qui i punti principali.
Coinvolgimento dei giovani con David Menasci, Assessore UCEI alle piccole Comunità e Ruth Dureghello, Presidente della Comunità Ebraica di Roma
Individuare correttamente le esigenze dei giovani non solo in termini di contenuti ma anche di accoglienza, fornendo una risposta identitaria. La società civile oggi esprime una concorrenza spietata nei confronti delle nostre attività. Dunque, il tema è quello di attivare delle professionalità già presenti nella società civile e da noi affidate solo al volontariato. L’esempio di Rav Della Rocca: l’Ucei è come una fabbrica di calzini e le piccole comunità come i rivenditori che però non riportano le reali esigenze del pubblico, se servono più calze di cotone, di lane, lunghe, corte…
Dunque, occorre sviluppare percorsi ed eventi mirati per soddisfare quelle esigenze che attualmente sono soddisfatte da altri ma non da noi.
Formazione rabbinica con Rav Riccardo Di Segni, Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma ed Elio Carmi, Consigliere UCEI, Comunità Ebraica di Casale Monferrato
Si è discusso il tema delle competenze del rabbino. Dal momento che svolge una molteplicità di funzioni, deve avere una molteplicità di competenze. O meglio, occorrerebbero molteplici rabbini, ognuno con competenze specifiche. Dunque qual è il ruolo del rabbino e quale sostegno si può avere dalla Rabanut affinché non si svuotino le piccole comunità? Si è cercato poi di analizzare il problema dell’inidipendenza della Rabanut dall’Ucei, quello dei matrimoni misti e il problema di affidare completamente la vita ebraica al rabbino. L’ebraismo, si è detto, è un modo di vivere e va vissuto prima di tutto all’interno delle case.
Per quanto riguarda la formazione specifica del rabbino, è emerso un problema specifico del collegio, spesso abbandonato in favore di una yeshivà in luoghi più attraenti.
Come raccontare Israele con David Meghnagi, Assessore UCEI alla Cultura; Clelia Piperno, Direttore progetto Traduzione Talmud Babilonese; Ofra Farhi, Vicecapo Missione Ambasciata di Israele
Applicare le buone pratiche, secondo il gruppo guidato da Saul Meghnagi, significa prima di tutto combattere il BDS. E farlo in modo individuale, senza andare allo scontro diretto,a possibilmente in sinergia con l’Ucei. Ha ribadito l’efficacia di questo sistema la vice ambascatrice d’Israele Ofra Farhi, che ha riportato la sua esperienza su come le relazioni personali e interpersonali siano la chiave di volta per ammorbidire le posizioni ostili. Dunque, sintetizzando al massimo sono emersi questi bisogni: comunicare, informare, formare e pubblicizzare in modo adeguato le diverse iniziative e condividere le cose positive su Israele che vengono raccontate dalle diverse realtà dell’informazione.
La scuola con Livia Ottolenghi
Il lavoro interno alle quattro scuole ebraiche italiane sta portando ottimi frutti nella definizione di un curriculum comune. L’Italia è l’unico stato, insieme alla Francia dove si è fatto un lavoro simile, estremamente utile per confrontarsi in maniera concreta con altre didattiche. Il progetto deve proseguire coinvolgendo anche le scuole medie e i licei, e mettendo a punto un metodo per gli insegnanti, redatto dai professori che hanno lavorato al progetto insieme al professor Shmuel Wygoda, pedagogista e filosofo della Hebrew University di Gerusalemme. Interessante anche un progetto contro il pregiudizio realizzato in collaborazione con l’ambasciata tedesca per formare i docenti delle altre scuole. Un lavoro interessante che, si è detto, servirebbe anche nelle scuole ebraiche.
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Roma, 15 dicembre – Sono cominciati stamattina gli Stati Generali dell’Ucei per discutere di educazione e formazione ebraica. In questo articolo un assaggio delle discussioni della prima parte della giornata.
Il problema dibattuto, naturalmente riguarda i giovani e a introdurre i lavori è il professor Gavriel Levi: “Dobbiamo trovare un orientamento chiaro dicosa potremmofare noi per i giovani delle comunità ebraiche. Perché il futuro della comunità dipende da loro”, spiega, per poi dare un dato sul calo della popolazione ebraica più giovane in Italia.
A parlare di dati socio-demografici è poi Saul Maghnagi, coordinatore commissione Educazione e giovani:
La popolazione ebraica europea è in calo, in favore di una polarizzazione tra Israele e Usa. Quello che chiedono i giovani sono come rispondere alla realtà circostante difendendo le proprie identità e tradizioni. Ma quello che manca è il contributo di offerte di lavoro. Se non offriamo lavoro ai giovani, scompariranno dalle nostre comunità. Come difendere l’identità? Il fatto che unifica tutti i giovani, religiosi e laici, è la mancanza di cultura storica e civica. Inoltre, i ragazzi devono conoscere l’ebraico: è un punto identitario fondamentale e una conoscenzaimprescindibile nella posizioni lavorative comunitarie.
Può esistere un curriculum ebraico ideale? A questa domanda ha risposto Rav Della Rocca:
Penso che oggi questa distinzione tra grandi e piccole comunità sia un po’ pretestuosa e fittizia. Quanti ebrei dopo il Bar Mitzvah continuano a sentire un’adesione alla vita comunitaria a Milano o a Roma? Se ci sono 10 ragazzi a Venezia, Milano dovrebbe averne 300, ma non succede, i numeri sono identici. Il problema oggi è capire veramente chi siamo. Noi siamo l’Unione delle comunità ebraiche italiane, non l’unione degli ebrei italiani e questo è un punto fondante. Non siamo ebrei singoli né congregazioni, ed è questo che non capiamo, perché paradossalmente il concetto di congregazione è più monolitico di quello di comunità, il luogo che dal punto di vista sociologico e soprattutto ebraico accoglie tutti. Allora, la grande domanda è questa: se l’ebreo ortodosso ha trovato una strada nell’ebraismo comunitario in cui si riconosce e ha garanzia di continuità, l’ebreo laico come si riconosce e come garantisce questa continuità? Il problema si è posto fortemente in Israele, con il rischio di avere due popoli, quello israeliano e quello ebraico, e la soluzione sta negli elementi comuni. La lingua è il cemento più unitivo e fortificante della identità degli israeliani. E noi? Io vedo che il denominatore comune è lo studio. Bisogna creare un dialogo tra di noi su contenuti. L’obiettivo è quello di innalzare livello culturale degli ebrei laici per evitare che la forbice con il mondo religioso si divarichi sempre di più. Dobbiamo occuparci di chi sia un leader di una comunità oggi e dovremmo farlo rilanciando un curriculum per l’ebreo comunitario, che includa anche le risposte su cosa sono il cristianesimo, l’islam e come ci si confronta con loro.
Cosa fa e cosa dovrebbe fare il collegio rabbinico? Risponde Rav Benedetto Carucci, Coordinatore UCEI, Collegio Rabbinico Italiano:
Non si nasce rabbini e questa è una fortuna: rabbini si diventa. Attualmente al collegio ci sono quatro studenti al corso superiore, 15 al livello medio e circa una trentina di cusola media e superiore che forse potrebbero essere interessati a intraprendere un percorso specifico. Molti altri frequentano i corsi ma non sono studenti istituzionali. La prima criticità che abbiamo è demografica e di scelta. L’altra criticità oggettiva è che a livello di cultura generale le offerte formative nella comunità di Roma sono aumentate: bisognerebbe giocare di squadra per dare origine a un serbatoio da cui prendere studenti per il collegio rabbinico. Molti, anzi pressoché tutti, intraprendono contemporaneamente studi accademici. Dunque, va chiarita la vision. Gli insegnanti dovrebbero essere specializzati nella materia che insegnano più di quanto non lo siano già. Darebbe maggior senso a studenti e insegnanti. Penso anche che una formazione psicologica e pedagogica per i rabbini sia una variabile importante: sia per quanto riguarda gli aspetti legati alla comunicazione, sia perché il rabbino deve essere pronto a relazionarsi a emergenze dell’individuo e della comunità che non è automaticamente in grado di fare. Bisogna anche pensare a un periodo di formazione all’estero perché arricchisce e perché ormai è una possibilità normale per tutti i corsi di studio. Le mie proposte: sessione di chiarificazione della vision del collegio rabbinico; creare sinergia con le altre agenzie formative; organizzare uno strumento di educazione a distanza per moltiplicare il pubblico. Infine, il collegio rabbinico deve uscire dalle proprie mura per farsi conoscere in incontri pubblici.
Di educazione informale ha parlato Mariano Schlimovich, Direttore European Council of Jewish Communities
Se si parla di giovani, bisogna considerare che almeno quattro dei maggiori istituti cui fanno riferimento sono in crisi. Il primo è la scuola in generale: ci siamo formati con insegnanti che ci davano la verità. Oggi i ragazzi hanno Google, l’insegnante deve rassicurare gli studenti ma anche controllare e quali tra le informazioni che hanno preso dalla Rete sono vere e quali no. Secondo problema è la comunità: per i millenials, la comunità non è unica. Terzo, sono i movimenti giovanili: Israele è cambiato tanto e l’ideologia è stata delusa. L’identità oggi è un caleidoscopio e ognuno può decidere come formarsi. Il 30% degli ebrei in Europa va in sinagoga. Cosa fa l’altro 70%, che non ha un luogo di aggregazione? I giovani non hanno bisogno di una comunità fisica e fanno nascere concetti crossdenominazionali. Perché quello che serve è dare loro un’esperienza ebraica che incorpori un valore. Ci sono diversi progetti che hanno l’obiettivo di rafforzare l’identità ebraica e nei gruppi di discussione sulle cause di questa crisi, sono emersi dieci punti. I primi 5:
Alienazione alla vita comunitaria
Calo demografico
Apatia
Debolezza delle organizzazioni
Ignoranza sull’ebraismo
Ecco, a questo dobbiamo reagire cercando una visone comune.
Livia Ottolenghi, Assessore Ucei per Scuola, formazione e giovani, ha presentato invece una fotografia puntuale sull’alta formazione ebraica, sui corsi universitari e le prospettive che questi offrono agli studenti.
(Continua)