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Perché il piano Trump è un cambio di paradigma: intervista a Davide Romano

Dialogo a partire dall’incontro “Peace to prosperity” – il piano Trump per la soluzione del conflitto israelo-palestinese

“Peace to prosperity” – il piano Trump per la soluzione del conflitto israelo-palestinese: questo il tema dell’incontro organizzato da Kesher in collaborazione con il circolo Noam di Milano il 18 febbraio. Presenti l’esperto di comunicazione Raffaele Turiel, il giornalista di Sky Tg24, Renato Coen, il dottor Stefano Magni dell’Università degli studi di Milano e Davide Romano, giornalista di Repubblica, moderatore e organizzatore dell’incontro insieme a Raffaele Turiel.

“Il piano di Trump è di fatto un cambio di paradigma, si esce dal Land for Peace, ovvero terra in cambio di pace. Ma gli ultimi trent’anni hanno dimostrato che non era così… Quella strada non ha portato risultati. Il piano di Trump parte invece dalla sicurezza, dagli investimenti, tenta di creare un circolo virtuoso” spiega a JoiMag Davide Romano”.

Tra le questioni più calde ci sono quelle del riconoscimento di uno stato palestinese demilitarizzato.
Smilitarizzazione vuol dire niente eserciti, solo forze di polizia che avrebbero il compito di controllare il territorio ed evitare che organizzazioni terroristiche possano dotarsi di razzi e lanciarazzi per colpire Israele. Occorre che il monopolio della forza sia in mano allo Stato e non ad altre organizzazioni. Certo, il fattore Hamas è complicato da gestire. Credo però che se si votasse adesso a Gaza non vincerebbe più Hamas. Ma il voto, come sappiamo non è così scontato in quelle terre.

La distensione tra Israele e paesi come l’Arabia Saudita può essere un fattore determinante per fare pressione sui palestinesi?
Assolutamente sì. Come ha sostenuto Stefano Magni “la pace è più facile quando il mondo arabo è più debole”. Per questo ha citato gli accordi di Oslo successivi alla prima Guerra del Golfo.  Che fu una grande scossa: l’Iraq aveva invaso il Kuwait, il mondo arabo si era spaccato e i palestinesi si erano schierati con Saddam Hussein, l’invasore. Fu una mossa sbagliata parte di Arafat. Detto questo, arrivò l’accordo proprio mentre i palestinesi e il mondo arabo attraversavano un momento di difficoltà. Oggi, per certi versi la situazione è simile perché i palestinesi hanno difficoltà ad avere rapporti con il resto del mondo arabo. Hamas è una filiale dell’Iran… E poi c’è Al-Sisi in Egitto che è il peggior nemico dei fratelli musulmani.

Quante chance ha il piano Trump di trasformarsi in un accordo duraturo e permanente?
Secondo me non funzionerà nemmeno il piano di Trump. Quello che servirebbe è un interlocutore palestinese vero, reale. Bisognerebbe dare la parole alle persone del territorio, ovvero i sindaci palestinesi. Eletti e rieletti con un mandato di quattro anni. Trattare con loro sarebbe diverso perché hanno un contatto diretto con i cittadini conoscono le esigenze della gente. Hamas e l’Olp non sono interessati al territorio ma soltanto al loro potere. Ci sarà la pace quando i palestinesi potranno scegliere i rappresentanti democratici che partecipano alle trattative. Per ottenere questo ci vorranno due o tre elezioni consecutive per permettere alla democrazia di funzionare anche lì.

In questo momento storico Netanyahu rappresenta un ostacolo o una risorsa ai fini di un accordo che risolva i conflitti nella regione?
Come ha spiegato Renato Coen, Netanyahu ha imparato la lezione di Sharon. Sharon era un duro, è sempre stato considerato un falco, che però ha fatto delle concessioni su Gaza e Cisgiordania, delle concessioni “dolorose” come le definiva lui, ed è stato punito per queste concessioni. Netanyahu ha invece deciso di non rischiare un grammo della sua carriera politica per intraprendere una strada che non ha sbocchi.

In Israele siamo alla viglia delle terze elezioni politiche in un anno. Che cosa si aspetta?
“Non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiamo a fare le stesse cose” diceva Einstein. Fatta salva qualche piccola differenza di percentuali e di seggi, finirà come le due elezioni precedenti. E questa sarà una sconfitta per tutto il panorama politico israeliano che non ha la capacità di autoriformarsi ed approvare una legge elettorale per determinare con il voto un vincitore e un perdente. Basterebbe un piccolo premio di maggioranza per la coalizione che ottiene più consensi. Israele ha bisogno di un governo che eserciti i pieni poteri, è un paese ricchissimo d’identità che però vanno gestite”.

Gianni Poglio

Giornalista, autore, critico musicale. Dopo numerose esperienze radiofoniche e televisive, ha fatto parte della redazione del mensile Tutto Musica e del settimanale Panorama (Mondadori). Conduttore dii talk show per Panorama d’Italia Tour, con interviste “live” ai protagonisti della musica italiana e di dibattiti tra scienza ed intrattenimento nell’ambito di Focus Live, ha pubblicato per Electa Mondadori il libro “Ferdinando Arno Entrainment”


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