Parole e espressioni in yiddish raccontate e commentate da Anna Linda Callow
Un avverbio molto semplice, che risolve una situazione di solito altrettanto semplice, come per esempio l’incontro tra due amici in orario da aperitivo: «Vuoi un goccio di vino?», chiede il primo. «Volentieri!», risponde l’altro.
Ecco, la scena è questa. Solo che per dire volentieri in yiddish si dice meykhe-teyse (מהיכא תיתי), espressione che nulla ha a che fare con il verbo volere, con cui ci si immagina abbia la radice in comune.
L’espressione è aramaica e significa letteralmente «Da dove porti?». Sì, con il punto interrogativo: è una domanda. La sua origine è infatti legata al Talmud Bavli ed è proprio una formula della discussione talmudica in cui si fa richiesta di prove. Cioè, ascoltata l’argomentazione di chi sta parlando, gli si chiede: «Da dove porti (la prova della tua argomentazione)?». Poi in yiddish è diventato: «Da dove porti le fonti, va bene», cioè, qualunque siano le fonti, va bene. Quindi il passaggio dall’aramaico, che prevedeva una risposta con un verso del Tanakh, poi diventa anything goes, va bene tutto.
Poi perde anche questa connotazione fino a prendere il significato di volentieri. Declinato al femminile e al maschile ha preso il significato di yes-man (o yes-woman): qualcuno che non ha una grande volontà ed è sempre d’accordo con tutti.
Dunque, diventa quasi il contrario del suo significato iniziale, una richiesta di scientificità rabbinica che poi va a indicare qualcuno che in qualche modo si accontenta, dice sempre di sì… Quasi un po’ come il terrific in inglese che non ha nessuna ragione, tranne quella di essere un superlativo, a indicare qualcosa di bellissimo…
La cosa interessante da notare è che meykhe-teyse (מהיכא תיתי) fa parte del corpus di parole prese in prestito dall’aramaico e non di citazioni, tanto che ha potuto trasformarsi nell’uso comune, prendendo il significato di volentieri e così si trova nei dizionari.