Una proposta di lettura interreligiosa dell’ospitalità abramitica e il ruolo dello straniero
Un mistero la cui alterità è riconoscibile solo attraverso il sentimento; che si consuma, infine, nel riconoscimento di Dio in quanto «totalmente Altro» presente in quello stesso uomo. Per comprendere quanto detto, è possibile ricorrere a Martin Buber che, nel suo Ich und Du, afferma come l’incontro con l’Altro è inevitabile e, oltretutto, l’Altro è il necessario specchio di sé per giungere ad incontrare la divinità.
Tornando all’uomo di nome Abramo, il capitolo che lo ritrae maestro dell’arte ospitale è quello di Genesi 18 (Gen 18, 1-16). Il patriarca è vecchio, ha 99 anni, è stanco e ha da poco siglato il patto con Dio per mezzo della circoncisione, mentre suo figlio Ismaele è esule nel deserto [cfr. Armeni,2016]. Eppure, anche sotto quella calura del deserto e con una ferita ancora sanguinolenta, vedendo arrivare tre viandanti si alza, si getta ai loro piedi e li prega di fermarsi rivolgendosi ai tre come se fosse Uno («Mio signore»), offrendo loro ciò che di più buono aveva. L’ospitalità ha per sfondo la sua dimora, una tenda, è qui che vive con la moglie Sara. La tenda è il simbolo delle fatiche intime e di esse compagna, è simbolo di precarietà ed è il segno visibile dell’abbandono alla fede. Inoltre, essa è «aperta ai quattro lati» come se fosse in attesa dell’arrivo di qualcuno.
Chi sono questi tre viandanti ancora non viene detto, ma ciò che è possibile osservare è la spontanea generosità di Abramo, che sembrerebbe proprio riflettere le parole usate da M. Buber per indicare quella necessità di comprendere il misterioso vuoto umano, colmabile attraverso la donazione, incondizionata, di sé stessi all’altro, all’ospite.
Chi è l’ospite? È l’uomo, è lo straniero, è l’incirconciso, ma è anche Abramo stesso, ospite e ospitante, dal cui confronto risulterà lo stato di abnegazione del patriarca (“Ti prego, mio Signore, se ho trovato la Grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo!” (Gen. 18,3).
Per quanto riguarda la figura del non-ebreo, dello straniero, per coloro che sono fuori dal popolo d’Israele, il capitolo dell’Esodo (Es 34, 10-16) li vedrebbe distrutti o allontanati, eppure, proprio Abramo era amorreo e Sara hittita (Ez 16,3). Inoltre, sarà proprio dalla condizione vissuta nell’esodo che il popolo ebraico prenderà coscienza di sé come popolo di «forestieri e ospiti» (Lv 25, 23) e il comportamento da adottare nei confronti dello straniero, ovvero di non opprimerlo (Es 23, 9). Ciò trova compimento nel Deuteronomio (Dt 26,5), dove Abramo è straniero in Egitto.
Ma un conto è uno straniero, altro se sono due o più stranieri, così Zar-straniero viene fatto coincidere con Sar-nemico (o minaccia) il quale, proponendo un passo di Isaia (Is 49,6), è però una prova di Dio che va affrontata con la Luce.
Quindi? La proposta è quella di guardare lo Straniero, o meglio l’ospite (hospes e hostis, ospite e nemico) come la presenza stessa di Dio, palesatosi attraverso i tre angeli, e una prova divina. E sarà proprio da questa prova che Abramo riceverà in dono – grazie a Sara – Isacco.
(Continua)
Damiano Pro, anno 1994, è uno storico delle religioni che si occupa di dialogo interreligioso, attraverso alcune reti istituzionali e tramite il Centro Astalli, tra gli enti più vitali della materia.