Cultura
Aluf Benn e Esther Somm, voci del quotidiano Haaretz, in una webinar

Report da un incontro online su quanto sta accadendo in Israele

Qualche giorno fa sono stata invitata a partecipare a un briefing su zoom organizzato dalla rivista Haaretz. Erano presenti Aluf Benn, redattore capo dell’edizione israeliana e Esther Somm, editrice di quella inglese. Haaretz è il quotidiano liberale nazionale di Israele. Fondato nel 1919 è la voce del contraddittorio, della pluralità dei punti di vista. Vi hanno scritto Benjamin Tammuz e voci note ai lettori sono quelle di Gideon Levy e Amira Hass. Voci spesso provocatorie, anche di estrema sinistra, uno spazio per il dissenso del paese. Ma il tono del briefing era molto pacato, anzi, era triste. Ormai il conflitto è andato avanti, io vengo informata tutti i giorni dalla rivista con brevi mail sintetiche di quello che avviene nei vari giorni di guerra. Ma nel breve dibattito sono emerse alcune informazioni che ritengo importante mettere a disposizione, per precisare ambiguità e scarsa chiarezza che ho colto qua e là in vari comunicati, per non parlare dei social, che purtroppo contribuiscono solo ad accrescere il caos delle fake news.

La prima domanda di Esther Somm è stata quella relativa ai servizi segreti, ed è la stessa che anche molti di noi si sono posti: possibile che non sapessero niente? Possibile, risponde Benn; le ragioni sono che Israele esce molto indebolito dalla crisi interna che per più di dieci mesi ha visto il paese spaccato. Netanyahu ha convogliato le energie rimaste verso i territori occupati, la Cisgiordania, ignorando i segnali e i richiami di chi lo metteva in allerta su un potenziale pericolo da Gaza e impiegando un dispiegamento di forze militari eccessivo. Ha agito per sordità e arroganza, non mettendo al corrente esercito e Mossad, non reagendo agli avvertimenti. Ne pagherà le conseguenze, dopo, anche se pronunciare questa parola oggi rimanda a una serie di incognite e interrogativi a cui è difficile rispondere.
Le forze militari indebolite e non avvisate non hanno quindi avuto il tempo materiale per capire cosa stava accadendo. D’altra parte Hamas che ha dichiarato di aver attaccato in difesa all’aggressione alla moschea Al-Aqsa a Gerusalemme ha preparato invece questa operazione in segreto da tempo, con la complicità dell’Iran, per cui ha mostrato da subito una superiorità numerica di combattenti che ha spiazzato la difesa israeliana. 
Benn afferma inoltre che è stato formato un governo di emergenza a cui partecipa anche Netanyahu ma in cui sono presenti esponenti di orientamenti politici spesso opposti; in questo momento è stata presa la decisione di fare fronte compatto per affrontare uniti lo stato di assedio. I conti verranno fatti – ancora – dopo. Questa è una caratteristica davvero israeliana, e direi unica. La capacità di unirsi immediatamente,  di mettere da parte divisioni interne quando è in gioco la sopravvivenza dello stato. Un aspetto che abbiamo visto anche nell’incredibile capacità di mutuo soccorso e nella partecipazione massiva della popolazione, impegnata a portare aiuti, viveri, coperte a chi aveva perso la casa bombardata, annullando differenze di opinione, agendo soltanto in base a un istinto di coraggio e solidarietà. Un volto di Israele – quello del popolo – che è importante conoscere e far conoscere, le stesse persone scese in piazza contro la corruzione del governo nei mesi precedenti hanno creato una coesione totale e compatta davanti all’emergenza davvero encomiabile e degna di una vera democrazia.
La domanda scottante, tragica, quasi shakespeariana, l’essere o non essere di questi giorni, è stato come affrontare la questione degli ostaggi. I 150 esseri umani, tra soldati, civili e stranieri nelle mani dei terroristi. Pensare a loro, venire a patti con Hamas per salvare queste vite o attaccare, combattere per vincere la guerra? La situazione però non è stata affrontata “di pancia” come scrive Emma Bonino, che si dichiara “vecchia amica” di Israele, in un suo twitt: quando sono iniziati i bombardamenti su Gaza, invitava  a moderare, a frenare l’offesa, a non cadere vittime della vendetta e dell’istinto di rivalsa. Ma questa è proprio tutta un’altra tragedia, un altro scenario che con la rabbia, che pure esiste ed è tanta, non ha proprio a che fare. La decisione è stata sofferta, analizzata e non è stata presa con facilità, di getto. Tanto più che anche la negoziazione degli ostaggi aveva delle condizioni di partenza difficili da accettare. Hamas chiedeva la restituzione di tutti i prigionieri palestinesi, perlopiù prigionieri politici, rinchiusi nelle carceri del paese. Quando venne rapito il soldato Gilad Shalit la richiesta per il suo rilascio fu di mille uomini; possiamo solo immaginare quanti terroristi verrebbero rilasciati per centocinquanta ostaggi (di cui, pare, secondo gli ultimi aggiornamenti, cinque siano già morti). Tra l’altro, uno dei capi di Hamas che è stato ucciso in questi giorni, Ali Qadi, al comando delle forze di élite Nukhba, era stato liberato proprio in seguito all’accordo fatto per Shalit.  Le forze d’élite Nukhba sono costituite da miliziani selezionati da leader di alto rango di Hamas, incaricati di compiere una serie di operazioni, tra cui imboscate, incursioni, assalti, infiltrazioni attraverso tunnel, oltre a lanciare missili anticarro, razzi e svolgere attività di cecchinaggio.
Ali Qadi ha guidato il barbaro massacro di civili nel kibbutz di Kfar Aza  il 7 ottobre. 
Il briefing di Haaretz si è concluso senza domande, in un clima di sospensione e di angoscia; per qualche secondo il volto pallido e preoccupato di Aluf Benn è rimasto nel silenzio dello schermo, come se avesse ancora qualcosa da aggiungere ma non trovasse le parole adatte. Poi la diretta si è interrotta.
Laura Forti
collaboratrice
Laura Forti, scrittrice e drammaturga, è una delle autrici italiane più rappresentate all’estero. Insegna scrittura teatrale e auto­biografica e collabora come giornalista con radio e riviste nazionali e internazionali. In ambito editoriale, ha tradotto per Einaudi I cannibali e Mein Kampf di George Tabori. Con La Giuntina ha pubblicato L’acrobata e Forse mio padre, romanzo vincitore del Premio Mondello Opera Italiana, Super Mondello e Mondello Giovani 2021. Con Guanda nel 2022 pubblica Una casa in fiamme.

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