Il 25 luglio cade il secondo anniversario della scomparsa della scrittrice. Un ricordo a partire dal suo libro più noto
Di Clara Sereni il 25 luglio cade il secondo anniversario della morte. “Ebrea per scelta più che per destino”, ha scritto di sé in Taccuino di un’ultimista. Ma il suo capolavoro, vincitore nel 1993 del premio Strega, è il romanzo Il gioco dei regni (Giunti), uno di quei libri da leggere ad alta voce e da ascoltare perché si sviluppa, avvolgendo in un fitto e coinvolgente intreccio, nella tradizione del sippur ebraico, quel racconto di vita su cui Amos Oz ha scritto pagine non dimenticabili. Non a caso Clara Sereni frequentava i simposi di Giacoma Limentani, certamente tra coloro che in Italia hanno diffuso la conoscenza dei temi e dei ritmi della narrazione ebraica. Come Amos Oz in Una storia di amore e di tenebra, Clara Sereni non ricostruisce una storia ma racconta una memoria, che a differenza della storia è sempre presente, qui, per me. Nel farlo attinge con naturalezza alla vicenda esemplare di una famiglia eccezionale, la propria. Nella narrazione confluiscono fiumi di diversa origine: quello della madre Xenia Silberberg, figlia di rivoluzionari russi perseguitati dalla polizia dello zar, e quello dei Sereni, ma anche di Ascarelli, Pontecorvo, Colorni e Milano nella Roma di inizio secolo.
Nel Gioco dei regni grande spazio ha l’amicizia, un serrato confronto che in alcuni frangenti diventa scontro, tra i fratelli Emilio e Enzo, rispettivamente padre e zio dell’autrice. Il primo sarà un importante dirigente comunista della Resistenza e poi due volte ministro, il secondo sceglierà il sionismo e l’emigrazione nella Palestina del mandato britannico. Nel racconto di Clara – siamo nel 1930 – troviamo a un certo punto intrecciate, come in un film di Eisensteijn, due scene che in fondo sono una sola. Nel chiuso di un appartamento romano Emilio, con Giorgio Amendola e pochi altri, a termine di un incontro segreto di militanti antifascisti, canta l’Internazionale. La stessa canzone intonata, forse nello stesso momento, da Enzo in Palestina con i haverim, i compagni del kibbutz Givat Brenner da poco fondato. Sintesi di sogni e tragedie del secolo scorso. Di lì a pochi mesi Emilio viene arrestato dal regime fascista e solo dopo cinque anni di prigionia riuscirà a fuggire in Francia; Enzo, volontario nella guerra al fascismo paracadutato nel 1944 vicino a Lucca, è assassinato a Dachau.
Il rapporto tra Emilio e Enzo è la parte del libro più spesso ricordata, se non altro per la notorietà dei protagonisti e perché permette di riassumere in un’unica saga famigliare lo slancio idealista che ha segnato il secolo scorso con la sua voglia di cambiare la realtà attraverso l’impegno personale e contribuire a creare società più giuste, con le sue illusioni e gli errori. Eppure Clara ha spesso sottolineato la centralità delle figure femminili nel romanzo: sono loro, secondo l’autrice, le vere protagoniste. Sono donne che nei documenti, nei racconti uditi in famiglia e nei ricordi occupano uno spazio minore, lo spazio che si concede a presenze invisibili su cui i protagonisti possono contare. E’ allora il libro a rendere giustizia a queste figure dando loro, finalmente, la centralità che meritano.
I personaggi – donne e uomini che condividono e contrappongono impegno, idee, passioni – partecipano come un coro a tante voci all’espressione delle emozioni. Sono le emozioni l’arcolaio con cui Clara Sereni dipana la materia del libro e, estratto un filo dalla matassa dei ricordi, tesse la narrazione. Su questo terreno avviene l’incontro e soprattutto lo scontro tra aspirazioni e desideri privati, da una parte, e il vortice della grande storia del Novecento, dall’altra. Talvolta i protagonisti cercano addirittura di annullare quello che è personale, individuale, particolare a solo vantaggio di ciò che è comune: grandi idee, ideologie, perfino dogmi. Questo gioco tra privato e pubblico, proprio e comune è un filo rosso che percorre il racconto dando di volta in volta esiti diversi. Xenia, moglie di Emilio che con il marito condivide la piena immersione nell’idea comunista, a un certo punto arriva a dire alla madre che “per noi non esiste vita privata”, ma solo quella pubblica nel partito e del partito. In altri momenti, invece, privato e pubblico trovano un compromesso nella dimensione intermedia della famiglia, come quando i fratelli Sereni inventano il gioco che dà titolo al libro. Nel dialogo costante tra individuale e comune, infine, si intrecciano un’idea di formazione come educazione costante, l’impegno al servizio del miglioramento, il desiderio di fare.
Secondo Marino Sinibaldi, che ha firmato la prefazione della nuova edizione 2017, Il gioco dei regni “è l’atto finale di amore e di separazione da una grandiosa storia familiare e collettiva, è il tormentato segno di una liberazione che si compie accettando infine di portare il peso di una memoria smisurata”. Quello che Clara Sereni offre al lettore è l’immersione in un racconto famigliare che emoziona in ogni suo passo.
Il gioco dei regni è dunque un sippur da ascoltare, come sono sippurim le leggende raccolte e narrate da Giacoma Limentani e quelli dei chassidim, dei quali uno, che fa riflettere sul potere del racconto, è stato scelto come esergo per il libro da Clara. E’ possibile ascoltare la lettura del Gioco dei regni fatta per il programma radiofonico “Ad alta voce” da Monica Piseddu sull’adattamento di Lorenzo Pavolini