C’è un angolo di Gerusalemme in cui israeliani e palestinesi giocano insieme. Una storia di calcio, cooperazione, muri abbattuti e sfide ancora da vincere.
Quando mi chiedono 5000 caratteri su Inter Campus vado sempre un po’ in crisi. Spiegare il progetto, descriverne le particolarità e le difficoltà senza scadere nel banale mi sembra impossibile; quindi provo a raccontare una storia, un volto, un campo, una situazione ben definita, che possano far percepire al lettore la complessità del nostro lavoro e fargli capire gli obiettivi del progetto sociale di F.C Internazionale.
In Israele e Palestina Inter Campus si pone un obiettivo differente da quello che è il motto centrale del progetto nel mondo: qui non lavoriamo per il ‘’right to play’’, o meglio, non siamo indispensabili affinché i bimbi giochino a pallone. Giocherebbero lo stesso, ma lo farebbero in modo diverso: qui abbiamo la mission di farli giocare insieme, israeliani e palestinesi, aiutandoci con la magia dell’amica numero uno di ogni bambino, la palla, e dei colori bellissimi della nostra Inter. West Bank, Gerusalemme, Tel Aviv, per un mescolarsi di facce e lingue, dai palestinesi, agli israeliani, fino ai piccoli rifugiati del Sudan e dell’Eritrea le cui famiglie hanno preso parte ai nostri progetti di integrazione a sud di Tel Aviv.
Dalla parte delle bambine
All’inizio della scorsa stagione, quando abbiamo iniziato a percepire un buon livello di stabilità nel progetto, con famiglie ormai da anni in ‘’nerazzurro’’ e bambini che avevano costruito ponti per oltrepassare i tanti muri di una realtà complicata come quella israelo-palestinese, ci siamo posti un altro obiettivo, un altro gradino da salire nella lunga e tortuosa scala del rispetto e dell’uguaglianza: non era possibile andare avanti con tutti quei colori, quelle culture e quelle diversità senza neanche una bambina!
Così, come facciamo sempre quando individuiamo un altro campo d’intervento, abbiamo pensato a come e in quale direzione avremmo voluto influire. Naturale è stato pensare alle giovani bambine palestinesi di Gerusalemme est, del quartiere di Beit Zafafa, la nostra casa. Da ormai tre anni vedevano i loro fratelli giocare con le maglie dell’Inter nel campo adiacente alla moschea, e loro no, al massimo sulle tribune, con qualche mamma, tante sorelle, cugine, amiche. La società palestinese è in continuo movimento, dilaniata dalle avversità di un’occupazione a tratti estenuante e da divisioni sociali e politiche enormi. Le giovani donne, da Ramallah a Gerusalemme, stanno iniziando a prendere in mano il proprio futuro, ma giocare a calcio in pantaloncini e maglietta accanto alla moschea non è proprio un passo facile: così, lentamente, abbiamo iniziato a portare questo cambiamento nel quartiere e sul campo.
Quando Laayan, una delle prime bimbe ad arrivare al primo allenamento, ci guardò con occhi un po’ esterrefatti e chiese se anche loro avrebbero ricevuto le magliette dell’Inter, le sue espressioni alla nostra risposta affermativa mi fecero ben presagire la passione, il sentimento e la voglia che avrebbero messo sul campo le piccole.
Inter Campus in Israele e Palestina si pone come obiettivo l’integrazione attraverso il calcio di due popoli così lontani, divisi e pieni di rancore. In questo caso però, con una squadra di sole bambine palestinesi, l’obiettivo è un po’ diverso. Con il pallone vogliamo guidare le giovani donne del domani a un percorso di autodeterminazione e indipendenza, dove ogni allenamento, oltre che un gesto tecnico e atletico, sia portatore di valori universali che le bambine potranno trasformare in energia e passione nelle loro vite.
Non solo, quindi, un’educazione all’eguaglianza, per sentirsi finalmente alla pari con quel fratello che la maglia dell’Inter la riceve già da anni, per sentirsi a proprio agio a giocare al gioco più bello del mondo nel campo centrale del quartiere, davanti a tutti, senza vergogna; ma anche un percorso di apprendimento sul proprio corpo, sulle sue possibilità, per conoscersi a fondo e sedimentare quella conoscenza così importante per le scelte della vita. Un corpo troppo spesso trascurato, non spiegato, specialmente alle bambine, specialmente in società ancora troppo chiuse su questi aspetti.
Fischio d’inizio
E così, dopo una lunga opera di convincimento di papà, fratelli, Imam, Sheikh, Mukhtar e anziani del quartiere, abbiamo ottenuto il permesso di usare il campo per le bambine, e ne sono arrivate tante, tantissime! Ventidue giovani donne, affamate di campo e di gioco, vogliose di conoscere i misteri di questo sport che appassiona milioni di persone ovunque nel mondo.
Le reazioni – quelle dei maschietti increduli che passavano dal campo e non capivano come fosse possibile che venti bimbe vestissero il nerazzurro, gli sguardi brutti di alcuni degli uomini della moschea, il ‘’patrocinio’’ del proprietario del campo, che però, prima di metterci la faccia (cioè venire a vedere gli allenamenti delle bimbe) ci ha messo del tempo – erano tutti fattori che univano ancor più il nostro gruppo appena nato, rendevano le bambine consapevoli della piccola grande rivoluzione che loro stesse stavano portando, e rendevano il tutto più eccitante, emozionante, un po’ trasgressivo.
Il primo step, quello di portare delle bambine palestinesi musulmane sul campo è stato raggiunto, ora siamo già al lavoro per unire l’integrazione di genere a quella del conflitto. Vogliamo formare una squadra di bambine arabe ed ebree: queste ultime sono ancora tutte da trovare, ma di certo non ci abbatteremo! Spiegheremo alle famiglie israeliane che non c’è di che aver paura, che il campo di Beit Zafafa è la casa dell’Inter a Gerusalemme, che giocare a pallone insieme fa bene ai bambini ma soprattutto ai papà, alle mamme, alle comunità, che grazie ai sorrisi sudati e stanchi dei loro figli si ricordano, due volte a settimana quanto meno, che creare un mondo diverso è ancora possibile. E quindi porteremo a giocare con Fatima, Laayan, Rozi e tante altre bimbe di Beit Zafafa tante bambine israeliane, sicure che al di là del ‘’muro’’ vi sia un nemico terrificante, e che invece scopriranno, come i loro fratelli da quattro anni a questa parte, che non vi è altro che un perfetto compagno di gioco per vincere la partita della guerra e della discriminazione, insieme, con la maglia nerazzurra addosso e tanta gioia nel cuore.
Classe 1993, milanese di nascita, israeliano di adozione. Chanich e poi bogher nel ken dell’Hashomer Hatzair, dopo cinque anni di Liceo Manzoni, tra classi e collettivo, parte e partecipa allo Shnat Hachsharà dell’Hashomer per un anno. Rimane a Gerusalemme dove studia Scienze Politiche presso la Hebrew University. Educatore a Givat Haviva, attualmente allenatore delle squadre di Inter Campus.