Hebraica
Che cos’è il tempo? Storia di un’idea lunga 5782 anni

Quando si è deciso che Rosh haShanà sarebbe caduto nel mese di Tishrì? E quando si è adottato l’attuale sistema di computo degli anni dalla creazione?

Che cos’è il tempo? È qualcosa che c’è solo quando viene misurata, e che quindi dipende da meridiane, orologi e tavole astronomiche, oppure una dimensione sfuggente ma sempre presente? Per ogni civiltà, è stato spesso detto, è indispensabile situarsi nel tempo. Come è avvenuto allora questo situarsi nell’ebraismo, e con quale rapporto con la creazione di un calendario?

Dobbiamo innanzitutto tenere a mente due cose. In primo luogo il fatto che il tempo è la cornice entro cui si svolge l’intera vita ebraica, uno schema in parte lineare e in parte ciclico al cui interno vengono organizzati passato, presente e futuro. In secondo luogo che un calendario, nel momento stesso in cui organizza il tempo, lo segmenta e qualifica in modo differente nelle sue distinte parti. È dunque una creazione umana che non ha nulla di naturale, anche se viene percepito nella quotidianità come tale; pur costituendo un modo peculiare e arbitrario, cioè libero, di descrivere il mondo, si presenta come un dato, cioè come qualcosa che inerisce alla struttura profonda del mondo stesso. Non è possibile indicare il momento preciso in cui, nella tradizione ebraica antica, si sarebbe imposto il ciclo annuale scandito da settimane, mesi lunari e giorni di festa, anche se va ricondotto verosimilmente al periodo del secondo Tempio. Di certo un calendario agricolo-biologico-liturgico, segnato dal susseguirsi delle stagioni dei campi e della vita, ha preceduto di molto l’idea che si possa misurare il tempo in minuti, anni o ere. Per quanto riguarda il computo degli anni la Torà non sembra aiutare molto perché per fare riferimento a un tempo specifico indica la durata della vita di qualcuno. Racconta, per esempio, che Abraham aveva 75 anni quando partì per la terra di Canaan, mentre nei libri di Samuele, Re e Cronache le date sono fornite con riferimento all’anno di regno del rispettivo sovrano.

Il concetto ebraico di tempo si sviluppa dunque nell’arco di secoli come impasto di elementi scientifici e liturgici, agricoli e della vita biologica e sociale, in scambio costante e biunivoco con gli universi culturali del vicino oriente antico. Il risultato di questa configurazione originale è un modello in cui il passato non viene tenuto a distanza, bensì innestato sul presente, in modo che i racconti di ciò che è accaduto in epoche remote siano rivissuti, al punto da costituire veri e propri pilastri di una memoria identitaria. Così la trasmissione della tradizione e la strutturazione di un tempo socioculturale diventano vettori della trasmissione dell’identità ebraica. La calendarizzazione del tempo, per esempio con la distinzione tra giorni festivi e non festivi, porta anche alla conseguenza di distinguere il popolo ebraico da tutti gli altri. Il calcolo del tempo infatti posiziona la storia degli ebrei vicina all’origine del mondo, sulla scorta del libro di Genesi/Bereshit, che arriva ad Abraham e al monoteismo attraverso una catena che si dipana direttamente dalla creazione. Il riferimento a un’origine prima, inoltre, orienta il percorso temporale, come una linea immaginaria, verso un punto finale. Così al motivo ciclico della natura viene accostato quello lineare dell’escatologia, specifico della cultura ebraica prima di essere ripreso e variato da cristianesimo e islam. Detto per inciso, il modello lineare presuppone che la creazione, con cui il tempo ha inizio, raggiungerà un giorno il punto finale, per esempio con l’avvento dell’era messianica.

La pratica di computare il tempo in base a epoche, di derivazione greca, viene introdotta alla fine del IV secolo a.e.v. in seguito alla conquista del Mediterraneo orientale da parte di Alessandro Magno. A questa altezza anche nella tradizione ebraica si trova documentazione di un’ “era seleucidica”, dal nome di Seleuco, successore di Alessandro nella regione siropalestinese. Contemporaneamente si diffonde il riferimento a un’altra “era”, misurata in base alla distanza dall’esodo. Un esempio si trova nel primo libro dei Re, dove l’edificazione del Tempio viene datata all’anno 480 dell’era cominciata con l’uscita dall’Egitto. Per quanto riguarda un vero e proprio calendario coerente, invece, occorre attendere il periodo della messa per iscritto della Mishnà, nei primi due secoli dell’era volgare, sebbene siano riscontrabili indizi significativi in testi di epoca precedente, nei manoscritti di Qumran e nello stesso Tanakh. In questi documenti della fase finale del periodo del Secondo Tempio si alternano riferimenti a un calendario di tipo solare sul modello egiziano, e a un calendario di tipo lunare sul modello mesopotamico. Nella biblioteca di Qumran sono state trovate tracce di un calendario scandito sulla base degli equinozi, dunque di tipo solare. Queste difformità non devono stupire se pensiamo che nella stessa Torà, nel libro di Esodo/Shemot, a proposito di quella che diventerà la festa di Pesach viene detto che “questo mese [di Nisan] è per voi il capo dei mesi, sarà cioè per voi il primo dei mesi dell’anno”. Nella Torà i mesi vengono calcolati a partire da Nisan, che cade all’inizio della primavera, di conseguenza il mese di Tishrì che si apre, a inizio autunno, con la festa di Rosh Hashanà, è il settimo.

Molte pagine del Talmud sono dedicate a stabilire definitivamente un calendario. Quello che emerge, insieme alle opinioni contrastanti, è una dinamica di lotta per il potere e la supremazia tra rabbini che sopravvive in parte alla stessa chiusura del Talmud, arrivando fino al X secolo, quando la subalternità di Gerusalemme rispetto a Babilonia è ormai troppo grande per consentirne il prolungamento e il calcolo astronomico si impone definitivamente per stabilire il ciclo annuale. A grandi linee, tuttavia, nel corso dei secoli della Mishnà e del Talmud il pensiero rabbinico tende a inserire l’intera storia dell’umanità all’interno di una cronologia ebraica che porterà a un metodo di datazione – o meglio, a molti metodi – sulla base degli anni dalla creazione del mondo. Il modello babilonese, che alla fine si impone, stabilisce inoltre che la numerazione del nuovo anno scatti a Rosh Hashanà sebbene la festa, come abbiamo visto, non corrisponda all’inizio del primo mese. Conosciamo poco dei tentativi cronografici nel periodo del Secondo Tempio, e quasi solo da fonti patristiche, abbastanza però per dire che deve esserci stato un precoce interesse per la “scrittura del tempo”. Nonostante i dati in nostro possesso siano frammentari, sappiamo che questi tentativi ponevano in una sequenza ordinata e lineare episodi e personaggi del Tanakh: la creazione del mondo e il diluvio, i patriarchi e l’esodo, i giudici i re e i profeti, la costruzione e la distruzione del Tempio. È verosimile che alcuni di questi materiali siano confluiti nelle discussioni di epoca mishnica e talmudica. Non meno importante, i tanti riferimenti diversi nel calcolo del tempo perdurano lungo i secoli fino al medioevo inoltrato. Un buon esempio è la raccolta di midrashim sul libro di Shemot conosciuta con il nome di Mekhiltà di rabbi Ishmael, in cui si legge che “quando fu costruito il Tempio, le persone cominciarono a contare dalla data di costruzione; a un certo punto però nessuno più ricordava quando era stato costruito e allora si cominciò a contare dalla sua distruzione”. Procedendo ancora oltre, incontriamo un testo del 1179 in cui il rabbino provenzale Isaac ben Abba Mari specifica che “contiamo oggi 4939 anni dalla creazione del mondo, corrispondenti a 1491 anni dall’inizio dell’era seleucidica, 1931 dalla costruzione del [Primo] Tempio e 1111 dalla sua distruzione [cioè dalla distruzione del Secondo Tempio] – possa essere ricostruito ai nostri giorni – infine 2491 anni dall’uscita dall’Egitto”. Il fatto che, ancora una generazione più tardi, Maimonide torni a impiegare questi sistemi di datazione plurali suggerisce che all’inizio del XIII secolo non esisteva ancora un sistema unico.

Secondo la tradizione furono i tannaim, cioè i rabbini del periodo della Mishnà, a calcolare la data della creazione sommando la durata della vita dei personaggi citati nel Tanakh e quella dei regni. A guadagnare il maggiore successo è il sistema attribuito a rabbi Yossi ben Halafta, secondo il quale la creazione (“molad tohu”) avvenne la quarta ora di lunedì 7 ottobre 3761 a.e.v. (secondo il calendario gregoriano in uso oggi). Ma i tentativi dopo rabbi Yossi non si sono fermati e sono stati in molti – ebrei e cristiani – a calcolare e ricalcolare nei secoli la data della creazione. Sebbene il riferimento fosse sempre il Tanakh/Antico Testamento, per il momento della nascita del mondo sono stati censiti oltre duecento risultati differenti, con differenze da uno all’altro che arrivano fino a tremilacinquecento anni.

Il sistema in vigore attualmente, quello secondo cui tra pochi giorni entriamo nell’anno 5782, con il capodanno nel mese di Tishrì, è quello formulato da rav Yossi ben Halaftà nel periodo della Mishnà. Per molti secoli il suo è stato solo uno dei tanti sistemi di calcolo esistenti che poi, nel X secolo, si è imposto, grazie alla decisione dell’ultimo gaon delle accademie rabbiniche babilonesi, rav Sherira bar Hanina.

Shanà Tovà!

Giorgio Berruto
collaboratore
Cresciuto in mezzo agli olivi nell’entroterra ligure, dopo gli studi in filosofia e editoria a Pavia vive, lavora e insegna a Torino. Ama libri (ma solo quelli belli), musei, montagne

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