Abbiamo posto una domanda impossibile. Haim Fabrizio Cipriani ci ha risposto.
Chi è ebreo? Questa la domanda a cui mi è stato chiesto di rispondere.
Domanda che si è da sempre rivelata complessa. Non a caso, quando D. Ben Gurion chiese a decine di intellettuali ebrei di definire chi dovesse essere considerato ebreo, S.Y.Agnon osservò che tale quesito avrebbe creato solo problemi.
La classica definizione halachica, secondo cui è ebreo chi nasce da madre ebrea o è convertito secondo la halachà, è di per sé ambigua perché non prevede nessun grado minimo di osservanza della halachà stessa da parte dei membri del gruppo. Senza contare che in diversi momenti della storia, compresi i più tragici, individui che non corrispondevano a tale definizione hanno condiviso il destino del resto della popolazione ebraica.
Nella tradizione ebraica troviamo tre appellativi principali per qualificare l’ebreo.
Il primo è ivrì, ossia colui che passa e attraversa, appellativo che la Torah usa per Avraham, probabilmente perchè era colui che aveva attraversato l’Eufrate. La radice è la stessa di ubar, embrione, una creatura nuova e non autoctona che interviene a portare uno sguardo nuovo sulla realtà.
Vi è poi Yehudì, ossia colui che prende coscienza con gratitudine.
E infine Israel, il nome acquisito dal patriarca Yaaqov al momento della sua maturità. A questo proposito E. Lévinas scrive “Quando nel Talmud si parla di Israel, siamo ovviamente liberi di intendere un particolare gruppo etnico […]. Ma dimenticheremmo che Israel è il popolo che ha ricevuto la Legge e, di conseguenza, un’umanità giunta alla pienezza della sua responsabilità e della sua consapevolezza di sé. I discendenti di Avraham, Itzhaq e Yaaqov, sono l’umanità che non è più infantile” ( E. Lévinas: Du sacré au saint, Editions de Minuit, 1977, p. 18.).
In questo tipo di lettura il nome Israele è quindi espressione delle dimensioni più elevate dell’etica e della responsabilità umana, in un senso che trascende definizioni etniche e religiose.
Anche se dal punto di vista rabbinico la dimensione normativa è imprescindibile, è sempre necessario conservare la nozione dei limiti della stessa, che non sempre rende onore alla complessità del soggetto.
Il nome Israel caratterizza sia il gruppo che l’individuo, forse perché è frutto di un processo, ma anche perché non è mai definitivo. Dopo la sua imposizione infatti, i due nomi Yaaqov e Israel continuano ad alternarsi, a sottolineare che si tratta di una dimensione mai definitivamente acquisita. Essere ebrei significa quindi ricercare l’equilibrio fra queste tre dimensioni, Ivrì, Yehudi, e Israel, assumendone pienamente e coscientemente l’incompiutezza e l’instabilità, con gratitudine.
Haim Fabrizio Ciprianiè rabbino e musicista.
Svolge il ministero rabbinico in Italia presso la comunità da lui fondata Etz Haim, unica comunità ebraica italiana associata al movimento Massorti/Conservative, e in Francia presso la comunità Kehilat Kedem di Montpellier. È autore di diversi saggi a tema ebraico editi da Giuntina e Messaggero.
In campo musicale è attivo come violinista e direttore. Si produce da trent’anni nelle più grandi sale da concerto e ha effettuato centinaia di registrazioni discografiche.
Ora capisco meglio la straordinarietà dell’essere Ebreo un incastro perfetto di molteplicità .
Molto interessante. Grazie.
In tutta semplicità ma con profondità ha dato una definizione completa ma dinamica…la cercavo da tempo! Grazie
Vi ringrazio dell’apprezzamento e resto a disposizione.
Rav Haim
http://www.etzhaim.eu
Grazie dell’apprezzamento. Resto a disposizione per ogni chiarimento o approfondimento.
Rav Haim Fabrizio Cipriani
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Tutto questo per me è molto interessante. Sarò lieta di “mettermi in ascolto” per tutto ciò che questo sito mi potrà far conoscere. Grazie
Grazie infinite per la sua disponibilità e per questa bellissima definizione che ho trovato nel sito Joimag.
Grazie