Cultura
Cittadini del Reich e crisi dei sistemi democratici

Gli arresti in Germania confermano ancora una volta la presenza di una costellazione di soggetti e ideologie che aspetta di potersi sdoganare ed agire approfittando della debolezza e delle difficoltà delle democrazie occidentali

Intendiamoci, se di mezzo non ci fosse una cospirazione per sovvertire l’ordine istituzionale e costituzionale tedesco, sulla quale già da tempo gli inquirenti andavano indagando, per riannodarne tutti i fili e consegnare ai magistrati i responsabili, ci sarebbe quasi di che sorridere. Parrebbe infatti di essere precipitati dentro i meandri della sceneggiatura di una deliziosa e sarcastica pellicola, «Vogliamo i colonnelli», firmata nel 1973 da Mario Monicelli. In essa, dove il mattatore era un Ugo Tognazzi che rivestiva i panni di un golpista velleitario e pasticcione, tutta una galleria di improbabili eversori, a ricalco di certi cliché allora diffusi tra la destra radicale (e nella sua rappresentazione mediatica), veniva messa alla berlina. La morale del film era chiara: a beneficiare del fallito tentativo di colpo di Stato erano quei poteri che, pur non avallandolo direttamente, intendevano imprimere una svolta autoritaria al paese. Cogliendo, per così dire, la palla al volo. Un po’ come quel frutto gustoso, generato dal duro lavoro del contadino, che viene invece casualmente raccolto e goduto da chi nulla ha fatto affinché maturasse. Ebbene, storicamente il cospirazionismo, al pari del terrorismo che ad esso spesso si accompagna, ha quasi sempre prodotto, nel suo agire fallimentare, una sorta di calcolata eterogenesi dei risultati. Poiché ha, più o meno involontariamente (e inconsapevolmente) aiutato coloro e quanto diceva di volere invece “abbattere”, rafforzandone semmai la presa sui poteri e restringendo gli spazi di pluralismo dentro le società interessate.

Veniamo tuttavia al dunque, quindi ai dati della cronaca. Nei giorni scorsi la polizia tedesca, schierando un imponente apparato di agenti (tremila) e inquirenti, ha operato nel giro di poche ore, con una maxioperazione, decine di arresti e moltissime perquisizioni un po’ in tutto il paese. Tra quanti sono stati consegnati alle celle di sicurezza c’è un’ampia tipologia di soggetti, molti dei quali per nulla marginali o subalterni rispetto alla società tedesca, come una figura capofila del tentato golpe dei giorni scorsi, ovvero il principe di Turingia Heinrich XIII Reuss. Tra di loro, anche una ex deputata, un magistrato e così via. Nel mentre, si indaga ancora sulle connessioni con quegli apparati dello Stato che, in Italia, sarebbero stati definiti come «deviati».

L’obiettivo, evidentemente raggiunto, era quello di smantellare l’organizzazione dei  «Reichsbürger» (più propriamente il Reichsbürgerbewegung), letteralmente quei «cittadini del Reich» (un’espressione dove la nozione di cittadinanza è un rimando alle radici etniche, non al costituzionalismo moderno) che da tempo professano, perlopiù alla luce del sole, la necessità di trasformare la Germania, con il ricorso alla violenza, da repubblica costituzionale in un «Deutsche Reich», la cui impronta di fondo sarebbe stata sospesa tra il neonazismo e il vecchio legittimismo monarchico. Alla base di questa intenzione non vi è solo l’inconsolabile passione per l’hitlerismo, e per tutto il suo corollario criminale, ma anche il convincimento che la Repubblica federale sia uno Stato artificiale, generato dagli Alleati dopo la loro vittoria militare sui nazisti, e da esso artatamente alimentato fino ad oggi. Primo punto da prendere in considerazione, nei continui cortocircuiti dei congiurati: per contrastare quella che è presentata come una «dittatura dei poteri forti», si propugna la necessità storica di una dittatura che da sé dovrebbe dare corso alla “liberazione” delle energie preservate dal corpo della «nazione». L’idea di un’epurazione collettiva, a spese della società pluralistica, da ripulire di tutti quegli elementi che sono dichiarati come «estranei», e quindi ostili, si nutre dell’idealizzazione di una purezza etnorazziale del “corpo della nazione” della quale i congiurati sono consapevoli vessilliferi.

Andiamo oltre: nell’opinione pubblica, che era al corrente dell’esistenza dei «Reichsbürger», l’idea corrente era che non costituissero un reale pericolo. La Germania, al pari di tutti i paesi europei che hanno conosciuto la presenza nazista, perlopiù come Stati occupati, è a tutt’oggi attraversata da una corposa presenza della destra radicale, dentro la quale coesistono molti gruppi, alcuni dei quali dichiaratamente eversivi. Nel caso dei solerti e virtuosi «cittadini del Reich» è venuta alla luce una rete terroristica pronta ad aggredire operativamente le istituzioni. Una rete di cui facevano parte, ed è questo è uno degli elementi più inquietanti, anche alcuni membri in servizio della polizia e dell’esercito. Secondo punto da evidenziare, quindi: se i singoli aderenti, presi come caso a sé, possono rivelarsi inconsistenti o comunque incongrui rispetto allo stesso principio di realtà, nei fatti il network ha invece rivelato un’indiscutibile solidità, diversi addentellati in quelle stesse istituzioni che intende sabotare e una discreta legittimazione in alcuni segmenti dell’opinione pubblica. A tale riguardo il presidente del Consiglio centrale degli ebrei di Germania Josef Schuster ha ribadito come da tempo gli enti ebraici tedeschi considerassero il «Reichsbürgerbewegung» non come «un innocuo gruppo di complottisti, ma [un complesso di organizzazioni che] comprendono anche gruppi terroristici di estrema destra», aggiungendo che «la portata di questa rete è sconcertante. Le menti di queste persone possono essere confuse, ma il pericolo da destra è reale», ancorché frequentemente trascurato dalle autorità. Negli ultimi anni, ha dichiarato alla Jüdische Allgemeine il ricercatore Lorenz Blumenthaler, nel tempo si sono ripetuti chiari segnali che questo movimento avesse elementi al suo interno pronti a usare la violenza. «Soprattutto negli ambienti della sicurezza, i gruppi sono stati spesso derisi e il loro enorme potenziale di pericolo è stato preso alla leggera, nonostante i ripetuti avvertimenti della società civile».

Il Reichsbürgerbewegung nasce negli anni Ottanta, alimentandosi delle trasformazioni geopolitiche che stavano interessando l’Europa, con il declino e poi la scomparsa del comunismo insieme all’unificazione delle due Germanie. In quanto movimento, non costituisce un organismo unitario ma un circuito a rete, che evolve nel corso del tempo, rivelando anche una complessa capacità adattiva. All’interno di esso si riconoscono non solo diversi neonazisti ma il milieu paleo e cripto-monarchico, che rimpiange la corona degli Hohenzollern, la galassia dei gruppi esoterici, i componenti del conservatorismo nostalgico dell’idea di «Grande Germania», gli epigoni del movimento della «rivoluzione conservatrice», soprattutto il vasto cotè dell’antisemitismo tedesco. E qui c’è un terzo passaggio da evidenziare: l’elemento del pregiudizio antiebraico ancora una volta fa da collante a posizioni altrimenti tra di loro diverse. Il convincimento che l’illegittimità delle attuali istituzioni tedesche derivi dalla vittoria alleata trova il suo “riscontro” ideologico nel sempreverde paradigma del «complotto giudaico», la volontà degli ebrei di dominare il mondo, partendo dalla medesima Germania. Non sono per nulla temi nuovi.

Già alla fine della Seconda guerra mondiale la destra radicale, risorgente dalle ceneri fumanti della catastrofe nazista, aveva chiesto ai vincitori di riconoscere l’integrità e la sovranità nazionale nei limiti dei confini che lo Stato tedesco aveva raggiunto nel 1937. Ovvero, prima delle politiche attive di conquista militare che, nel marzo dell’anno successivo, con l’annessione dell’Austria, avevano avviato lo sconvolgimento dell’intero Continente. Un fatto in sé significativo in quanto le rivendicazioni di un’area politica che era appena uscita con le ossa rotte dalla guerra che aveva essa stessa scatenato, precedono la divisione della Germania in due Stati e la nascita della Bundesrepublik ad Ovest. La presenza militare delle quattro potenze vincitrici sul territorio tedesco era quindi dichiarata illegale e le classi dirigenti autoctone, costituitesi dopo la fine del conflitto, venivano denunciate come antipatriottiche e «traditrici», avendo accettato la volontà degli occupanti. Il tutto era poi frullato e servito ai non pochi sostenitori come il prodotto dell’abominio giudaico, ossia della persistenza del «Weltjudentum», la rete di potere degli ebrei nel mondo.

Di fatto, questi motivi di fondo hanno animato tutta la destra radicale germanica, da allora in poi. Così nel caso del Sozialistische Reichspartei, messo fuorilegge nei primi anni Cinquanta, del Deutsche Reichspartei (a sua volta dissoltosi nel 1965), del Nationaldemokratische Partei Deutschlands (a tutt’oggi esistente, accompagnato dalla triste nomea di costituire il più grande partito della destra radicale filonazista), dalla Deutsche Volksunion (esistita per una quarantina d’anni, tra il 1971 e il 2011), della NeuDeutschland, della Patriotische Union (conosciuta anche come Der Rat, il «consiglio»), del Zentralrat Souveräner Bürger, dell’Interim Partei – Das Reicht e così via. In questa congerie di gruppi e formazioni politiche, da tempo si sono costituiti e hanno figliato modelli, in dura competizione tra loro, di Kommissarische Reichsregierung («Governo commissariale del Reich»), di Exilregierung («Governo in esilio»), di Exilregierung Deutsches Reich, di Deutsches Reich AG (“esiliatosi” negli Stati Uniti). Ognuno di essi vanta, o per meglio dire millanta, un’inesistente legittimazione a governare la Germania, dichiarando illegale il sistema istituzionale e costituzionale attualmente vigente.

Fin qui la storia di un paradosso paranoide. Come tale, esso si alimenta della visione capovolta della realtà. Il cospirazionismo, tradottosi adesso nella volontà di assaltare il Parlamento tedesco, è tuttavia il punto di coagulo e di sintesi della visione razzista non solo della Germania ma del mondo in quanto tale. In ciò, l’eredità nazionalsocialista gli è non solo funzionale ma indispensabile, costituendo un passato al quale richiamarsi nelle lotta contro la democrazia e l’idea stessa di «società aperta» e pluralista. La stima fatta dal ministero federale dell’Interno è che solo una parte minore delle formazioni politiche radicali sia neonazista. Tuttavia, il vero problema, anche in questo caso, più che il solo riferimento ad un passato “glorioso” è soprattutto il rimando ad un presente dove dinanzi alla latitanza della politica e all’affaticamento delle democrazie sociali, si contrappone una sorta di «realtà aumentata» del tutto alternativa, basata per l’appunto sul capovolgimento del rapporto con i dati di fatto. Ad esempio, il complottismo di Qanon ne è un grande contenitore poiché coniuga insieme la sua diffusività virale, il suo tracciato suprematista, la sua trasversalità alle tradizioni politiche della destra radicale, l’antisemitismo dichiarato o velato che sia. Una costellazione di soggetti e ideologie che aspetta di potersi sdoganare nel momento in cui la crisi dei sistemi democratici dovesse rivelarsi tale da poterne mettere in discussione la solidità e la continuità istituzionale.

 

 

Claudio Vercelli
collaboratore

Torinese del 1964, è uno storico contemporaneista di relazioni internazionali, saggista e giornalista. Specializzato nello studio della Shoah e del negazionismo (suo il libro Il negazionismo. Storia di una menzogna), è esperto di storia dello stato di Israele e del conflitto arabo-israeliano.


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