In un documento, precisazioni, commenti e un invito alla riflessione su quanto accaduto nei giorni antecedenti l’evento alla Cappella Paolina.
Riceviamo una comunicazione da parte della Consulta Rabbinica dell’Ucei a proposito dei fatti accaduti in occasione del Concerto al Quirinale in memoria di Tullia Zevi che si è svolto il 3 febbraio. La pubblichiamo integralmente, a seguito del nostro articolo pubblicato la mattina del 5 febbraio.
Non entriamo nelle polemiche politiche anche se ci associamo all’appello di Rav Momigliano ad abbassare i toni della polemica.
Non vogliamo nemmeno entrare nelle questioni strettamente halakhiche che non riteniamo dover essere trattate via chat e indiscriminatamente da tutti. Ci dichiariamo però fin d’ora disponibili a dare una spiegazione più dettagliata della decisione della Consulta nella prossima riunione di Consiglio.
Crediamo però sia utile, a scanso di equivoci, chiarire alcuni punti.
1. Come sono andate le cose e in che modo la Consulta è stata coinvolta.
Siamo venuti a sapere dell’invito al Concerto nella Cappella Paolina in data 15 gennaio. Immediatamente rav Momigliano è intervenuto sulla Presidente segnalandole l’inopportunità di svolgere l’evento in quel luogo e che sarebbe stato il caso di ripensarci. Ciò non è stato fatto, a quanto a noi risulta, ma la Presidente ha espresso il desiderio di ricevere un parere della Consulta.
La Consulta si è immediatamente attivata e in data 17 gennaio ha emesso il suo parere e l’ha inviato direttamente alla Presidente e alla segreteria Ucei (nel parere specificavamo che si trattava di un luogo di culto, non perché l’avessimo letto su Wikipedia, ma perché nasce come luogo di culto e, a tutt’oggi, vi si svolgono funzioni ed è quindi a tutti gli effetti, dal punto di vista della Halakhà, un luogo di culto).
Dopo il parere, la Presidente ci ha fatto presente che si rischiava di creare un incidente diplomatico e che non si trattava comunque di un’iniziativa Ucei e che il Quirinale non era disponibile a un cambio di sala che sembrava la soluzione più semplice.
Quest’ultimo punto ci è stato confermato dal consigliere Grasso del Quirinale (il contatto è avvenuto in tempo ritardati sia per impegni nostri sia per impegni del consigliere Grasso; comunque quella conversazione non ha aggiunto nulla di rilevante).
A questo punto la Consulta ha accettato, in via del tutto eccezionale, di riesaminare ulteriormente la situazione avvalendosi della consulenza di un’importante autorità rabbinica israeliana. Non ne abbiamo rivelato il nome perché in realtà la decisione è comunque una decisione della Consulta e ce ne assumiamo completamente la responsabilità.
Siamo comunque arrivati alla conclusione che non c’era spazio per dare una risposta positiva alla partecipazione all’evento.
In data 30 gennaio abbiamo emesso il secondo parere comunicandolo alla Presidente e alla segreteria con preghiera di inoltrarlo all’intero Consiglio e mettendo in copia i membri del Consiglio che avevano fatto richiesta di un chiarimento da parte della Consulta e a cui avevamo anche precedentemente risposto in maniera generica. Ciò che è avvenuto dopo, è noto a tutti.
Crediamo che la Consulta si sia comportata in maniera estremamente responsabile e prudente e abbia fatto semplicemente il proprio dovere.
2. In alcune mail è stato affrontato in maniera abbastanza superficiale il tema halakhico sostenendo che, in realtà, per ogni questione di halakhà ci siano più opinioni. Vorremmo spiegare che le cose non stanno esattamente così.
Sulla maggior parte delle questioni la Halakhà è unica e accettata da tutti. Quando le questioni sono invece controverse ci sono comunque autorità rabbiniche chiamate a prendere una decisione.
Queste autorità rabbiniche sono:
a. il Marà deatrà (il rabbino del luogo) e, nel caso specifico dell’Unione delle comunità, per norma statutaria, la Consulta Rabbinica.
b. i posekìm (decisori halakhici) più importanti della generazione. Non è quindi esatto dire che su tutto ci possono essere opinioni diverse, o meglio ci possono essere, ognuno è libero di pensare ciò che vuole ma non hanno lo stesso valore. Questo non lo diciamo solo noi ma lo dice lo Statuto Ucei. Mettere in discussione l’autorità della Consulta significa mettere in discussione lo Statuto cioè le norme che regolano il nostro stare insieme. Vorremmo che nella foga della discussione non buttassimo il bambino con l’acqua sporca.
3. Ci viene spesso chiesto da più parti di intervenire per stigmatizzare interventi ritenuti offensivi da parte di altri consiglieri. In genere ci asteniamo dal farlo perché ci troveremmo nella condizione di intervenire quasi sempre e non ci sembra utile, ma soprattutto perché ci viene chiesto di censurare la parte politica avversa. La situazione attuale ci sembra però particolarmente grave.
Ormai in Ucei non si discute più, ci si limita a presentare in genere in maniera piuttosto aggressiva le propri posizioni. Dobbiamo re-imparare a discutere, mantenendo intatto il rispetto della persona. Questo non significa non poter esprimere un dissenso, a volte anche forte ma significa essere pronti ad ascoltare gli altri e dare per scontato che tutti siamo in buona fede e partiamo da alcuni principi comuni. Ma significa anche che a volte è necessario mettere in discussione se stessi, mettere in conto che ci si può anche sbagliare, fare anche un po’ di autocritica.
L’ebraismo italiano e l’Ucei si reggono su un precario equilibrio, distruggere questo equilibrio è estremamente facile, rimettere insieme le macerie dopo è estremamente difficile. Chiediamo a tutti di riflettere su tutto ciò e di provare a ritrovare dentro di noi le ragioni del nostro stare insieme.
Per poterlo fare è necessario riprendere a parlare tra di noi in maniera schietta e con la coscienza di dover conservare e sviluppare qualcosa di prezioso che ci è stato consegnato dalle generazioni precedenti.
Rav Shlomo Wolbe dice che il contrario della parola kà’as, ira – in ebraico è savlanùt, pazienza – e secondo lui deriva dalla radice sabbàl, facchino, cioè una persona che porta un peso.
Ognuno di noi è chiamato a portare il peso degli altri, ovviamente anche gli altri sopportano il nostro peso. Questo significa essere comunità e popolo: quando si decide di cedere al kà’as è come se ci liberasse di quel peso ma in questo modo si rinuncia a essere comunità.
Consulta Rabbinica
Rav Alfonso Arbib
Rav Giuseppe Momigliano
RAv Elia Richetti
Avete montato una polemica divisiva sul nulla. La lettera della consulta rabbinica ha chiarito.
Indicibile tristezza.
Premesso che le decisioni alachiche non si discutono ma si accettano come quelle dei tribunali e la consulta rabbinica è il massimo grado del tribunale rabbinico non possiamo non avere un opinione personale che deve essere espressa senza se e senza ma.
Esistono dei doveri istituzionali e un invito del Presidente della Repubblica che non è né Maduro né Hitler ne’ Mussolini va accettato altrimenti si rischia lo “sgarbo istituzionale” e noi in questo paese ci dobbiamo vivere ,anzi ci vogliamo vivere ,e non possiamo permettere di essere né criticati ne’ tanto meno evitati.
Quando la prossima volta saranno invitate le autorità religiose del paese e non gli ebrei nessuno potrà fiatare e ci goderemo l’ennesima esclusione in “religioso silenzio” un cordiale shalom.
Vittorio Ravà
bene … allora dichiariamo chiaramente che nella fantastica italia del 2019, gli ebrei sono costretti ad andare in chiesa per ricordare una presidente ebrea, altrimenti governo e presidente si offendono. A 150 anni dalla apertura dei ghetti, davvero un bel traguardo.
Ci saranno però ancora degli ebrei non disposti a giocarsi la propria identità per paura o capaci di affermare la nostra cultura, almeno quando si tratta della commemorazione di una ebrea.