Si intitola proprio “Shabbat” ed è un viaggio nelle ricette e nelle tradizioni culinarie della diaspora e di Israele. Tra storie e ricette, ma anche stili di vita. Per scoprire, naturalmente, che ognuno celebra questo giorno di festa a modo proprio…
Come molti dei piatti della tradizione di Shabbat sono irresistibili, anche Shabbat è un libro a cui è impossibile resistere. Sia per il suo design, le cui immagini ci fanno quasi annusare l’odore dei piatti descritti, sia perché ogni ricetta è accompagnata dalla storia personale dell’autrice e di come e chi l’abbia portata a concepire il piatto proposto: un percorso a metà strada tra un ricettario e un trattato di antropologia. A solo poche settimane dalla sua uscita Shabbat entra immediatamente nella classifica del New York Times come best seller. E la storia del suo successo è anche la storia della sua autrice: Adeena Sussman, che abbiamo intervistato.
Nata a Palo Alto, dove il padre si era recato a studiare all’Università di Stanford, figlia di genitori newyorkesi di origini ashkenazita – figli a loro volta di migranti provenienti da quella che oggi è Polonia ma un tempo era la zona al confine tra Bielorussia e Ucraina – è cresciuta in una famiglia in cui hanno sempre conservato a praticato la tradizione dello Shabbat.
Proprio le sue origini ebraiche l’hanno portata, mentre studiava Comunicazione Politica presso la Boston University, a scegliere una specializzazione in storia delle religioni.
Terminati gli studi, negli anni ‘90, la sua passione per l’ebraismo la porta a vivere per qualche anno a Gerusalemme, dove lavora come editor per quello che una volta era il Canale 2 della televisione israeliana.
Tornata in USA, si rende conto che la sua vera passione è il giornalismo culinario, quello che le permette di entrare davvero in contatto con le persone e nelle loro case. Comincia a lavorare a New York per Gourmet Magazine e, parallelamente, torna a studiare presso l’Institute for the Cultinary Education, a Manhattan.
Con l’inizio del nuovo millennio nella Grande Mela si verifica un fenomeno inaspettato: comincia a prendere piede la cucina israeliana, con rinomati chef israeliani che lavorano per prestigiosi ristoranti stellati.
È allora che Sussman capisce che è arrivato il momento, anche per lei, di andare a scoprire la vera anima di Israele.
Nel 2016 si trasferisce definitivamente a Tel Aviv, nei pressi del mercato di Shuk ha Carmel, dove comincia la sua personale esplorazione della cultura israeliana attraverso il cibo e le sue tradizioni culinarie.
Nel 2019 conquista il pubblico internazionale grazie al suo primo libro su Israele a tavola: Sababa, nominato dal New York Times miglior libro di cucina nel 2019.
Co-autorice di 14 libri, Sussman nel settembre del 2023 pubblica il suo secondo solo-book: Shabbat che, questa volta, esce dai confini di Israele abbracciando la tradizione dello Shabbat nelle diverse declinazioni della diaspora.
Come ci spiega, si tratta di un libro “corale”, con una collezione di ricette provate a casa di chi l’ha ospitata a Shabbat: dal gefilte fish preparato da un’ultraortodossa di Bnei Brak con 13 figli, alla dushpara, una ricca zuppa di gnocchi bukhariana che Sussman ha paragonato al brodo italiano con i tortellini. Fino al pollo al curry, preparato assieme ad un ebreo di origine indiana, a sua volta immigrato, come lei, in Israele.
Se il primo libro, scritto quasi di getto, in un anno, rappresentava per Sussman la sua scoperta del Paese, questo secondo volume risulta la continuazione di un viaggio, durato quasi tre anni, attraverso la (ri)scoperta dell’ebraismo e delle sue evoluzioni, soprattutto da quando ha fatto aliya e si è trasferita a Tel Aviv, nel quartiere di Shuk ha Carmel, immersa nel mondo delle verdure e delle spezie e di chi ci si reca ogni venerdì a fare gli acquisti per la grande cena della vigilia del sabato.
Il suo nuovo libro è quasi una lettera d’amore nei confronti di questo mercato storico e del suo quartiere. Ma è anche la scoperta, attraverso la lente culinaria, di altre culture e altri sapori, come quelli raccontati da un americano di Pittsburgh che si è trasferito in una remota città del Negev dove oggi prepara bagel come da tradizione americana.
Israele, da sempre, è un incontro tra oriente e occidente. Come ci racconta Sussman “per qualcuno come me che è cresciuto in una cultura dominata da ebrei ashkenaziti, questa è la più grande rivelazione nel vivere qui. Oltre alle ovvie radici palestinesi e arabe, c’è cibo proveniente dagli ebrei immigrati da tutto il mondo e ho trovato che lo studio dello Shabbat fosse il modo migliore per mostrare questi incontri di culture, lungo i piatti inventati per rispettare l’osservanza del sabato, come il cholent – stufato di tradizione ashkenazita cotto lentamente su una fonte di calore che rimane accesa per l’intero sabato – conosciuto anche come hamin nelle cultura misrachi.”
Come ci spiega, anche la cultura dello Shabbat, in Israele, si differenzia da quella vissuta nella diaspora: “Io sono cresciuta in una famiglia osservante; quindi, mi ci è voluto un po’ di tempo per arrivare al mio attuale rapporto con questo giorno sacro. Trasferirsi in Israele ha, in un certo senso, concretizzato l’idea che lo Shabbat non è solo un elemento religioso, ma anche culturale. Ovviamente, per molte persone, ha ancora un significato religioso, ma mi piace l’approccio con cui qui in Israele ognuno osserva Shabbat a modo suo”.
E con il suo nuovo libro, Sussman spera anche di aiutare chi lo legge a trovare “il modo suo”: “esiste un termine talmudico, hamevin yavin – ‘coloro che capiranno, capiranno’ – Se lo Shabbat già significa qualcosa per chi lo legge, questo libro sarà una opportunità in più per esplorare la tradizione del sabato in maniera diversa. E, se anche così non fosse, un modo, attraverso lo Shabbat, per sperimentare nuove idee culinarie”.
Ogni ricetta proposta porta con sé anche una sua storia: “Un esempio classico è il kugel, la casseruola ashkenazita. Sono cresciuta nella San Francisco Bay e per me questa ricetta è un’interessante fusione della tradizione dei kugel, con un tocco di California. Il kugel racchiude diverse memorie: ricordi di famiglia, il cibo dell’infanzia, qualcosa di proustiano oltre al fatto di farlo qui, oggi, in Israele, con prodotti locali e inusuali”.
Lo sviluppo delle ricette è un altro degli aspetti interessanti che contraddistingue questo volume: “Probabilmente ho sviluppato più di 5.000 ricette tra i miei libri, quelli di altre persone, progetti per cui ho lavorato, articoli e ricette che ho testato. Lo sviluppo delle ricette è simile al principio della programmazione informatica. Ad esempio, so che se taglio un certo tipo di cipolla in un certo modo e poi lo cucino in una determinata maniera, otterrò un certo risultato, proprio come quando si scrive la riga di un codice. Lo sviluppo di ricette, di fatto, consiste semplicemente nel mettere insieme più righe di un codice, e poi introdurre nuovi elementi per personalizzare la programmazione.”
Proprio come un ingegnere informatico, Sussman ha ben calibrato la struttura del libro per permettere al lettore di districarsi al meglio, soprattutto nell’esecuzione dei piatti proposti.
Nell’indice, infatti, si comincia dal pane – dalla celebre chala di tradizione ashkenazita al jachnun di tradizione yemenita – passando per i piatti di portata, siano essi “bassari”, a base di carne, o “chalavi”, a base di latte e/o pesce, fino ad arrivare al dolce. L’incontro tra oriente e occidente è costante, come il risotto fatto con gli ptitim – letteralmente “fiocchi” di grano – inventati dal Primo Ministro David Ben Gurion quando negli anni ‘50 in Israele il riso scarseggiava, considerato un bene di lusso.Persino quando si tratta di pesce Sussman riesce a mettere d’accordo i gusti delle diverse diaspore, dalla variante messicana del gefilte fish al chraime tunisino, passando per il caciucco alla livornese.
C’è addirittura un capitolo dedicato ai cocktails, impreziositi da tipici prodotti israeliani, tra cui il dattero e il melograno, con cui preparare un’interessante variante del margarita.
E il lato ingegneristico della Sussman fornisce per ogni piatto, sia il così detto “active time”, il tempo effettivo impiegato per la preparazione, sia il “total time”, cruciale per i piatti che vengono lasciati sul fuoco fino a consumarsi, come si faceva una volta a Shabbat, prima che inventassero la cosiddetta “plata”.
Come ci racconta Sussman “sono tutti piatti di facile preparazione, come è sempre stata la cucina ebraica, spesso basata sugli avanzi. Ma le tempistiche, soprattutto per chi osserva lo Shabbat, sono cruciali. Per cui non ho voluto lasciare nulla al caso.”
Non mancano le proposte vegane, per andare incontro a tutti: “Questo libro di cucina è anche un po’ personale – continua Sussman – si rifà alla mia infanzia in una famiglia tradizionalmente osservante in cui mia madre cucinava sempre, ogni venerdì, gli stessi piatti, prima dell’ingresso di Shabbat”.
Fino al suo incontro con l’Israele contemporaneo. “Voglio che questo libro sia una ‘grande tenda dello Shabbat’ e che dia il benvenuto a tutti. Che funzioni per coloro che sono religiosamente osservanti, così come per coloro che non lo sono ma abbracciano la tradizione, soprattutto culinaria, dello Shabbat come rituale ebraico che, negli ultimi anni, si è espanso ben oltre la comunità ebraica”.
E il viaggio di Sussman non è ancora concluso. Oltre ad aver iniziato un nuovo progetto di viaggi culinari in Israele, anche per chi non vi è mai stato e vuole conoscere questo Paese così ricco e affascinante, in un modo diverso. Nel frattempo, tra un viaggio e l’altro, sta già bollendo in pentola un nuovo libro che, questa volta, vedrà nuovamente protagonista la cucina locale israeliana e i suoi chef.
Adeena Sussman, “Shabbat, Avery, pp. 384, 35 euro