Dalla Roma antica al resto d’Europa, dalla Spagna a Livorno. Storia di un dolce al latte e dela sua ricetta all’arancia
Chi ha inventato la crème caramel? Non lo sappiamo. Messo in chiaro questo punto essenziale, possiamo procedere con l’esposizione di una storia che coinvolge più di mezzo mondo. E dalla quale gli ebrei non potevano certo essere esclusi, risultandone anzi tra i protagonisti.
La faccenda parte da lontano, ma prima di affrontarla va fatta piazza pulita degli equivoci linguistici. Per quanto il termine crème caramel sia diffuso in molti Paesi europei, non è certo l’unico né forse il migliore per indicare la famiglia di preparazioni a cui appartiene. Più genericamente, si potrebbe parlare infatti di flan. È questo il nome con il quale in Spagna, Portogallo e America Latina viene indicato quel delizioso dolce al cucchiaio a base di latte e uova e impreziosito dal caramello.
C’è qualche differenza con la crème caramel? Apparentemente solo la forma, dato che il flan viene generalmente cotto in uno stampo unico mentre la crème caramel viene preparata in formine monodose. Questo per quanto riguarda la versione dolce, ossia di crema cotta su una base di zucchero caramellato e quindi rovesciata su un piatto per il servizio. Si può dire però che la crème caramel sia solo una delle tante forme che può assumere il flan e che questo sia un nome attribuibile a una infinità di sformati cotti a bagnomaria, sia dolci sia salati. In Italia, per esempio, con flan si intende di solito un tortino a base di verdure lavorate con uova e besciamella. Tutte cose buonissime, sia chiaro, ma che ora è bene lasciare da parte perché ci porterebbero fuori strada.
Per semplificare, restando in ambito dolciario possiamo dire che il flan è una delle forme assunte dal budino, probabilmente la più antica. Noto già agli antichi Romani, ha la particolarità di non impiegare addensanti come farina, fecola o gelatina, ma di fondarsi unicamente sulle proprietà coagulanti delle uova. Già lo scrittore e cuoco romano Marco Gavio Apicio nel primo secolo parlava della tiropatinam, una crema preparata mescolando le uova con latte e miele e quindi cotta a fiamma bassa fino a trasformarsi in budino. Poi, alla fine, veniva spolverizzata di pepe, ma ai tempi il confine tra dolce e salato era sfumato… Caduta Roma, le tecniche culinarie dell’Impero avevano finito col disperdersi, e la versione salata di questa crema cotta aveva preso il sopravvento, con il formaggio perlopiù divenuto protagonista al posto del latte. La consistenza finale non doveva poi essere troppo soda se le preparazioni non venivano sformate ma avevano invece bisogno di un guscio di pasta che le contenesse. Di una crosta, insomma. Era nata la crostata, prelibatezza particolarmente in voga in Italia in epoca medievale e rinascimentale. Curiosamente, pare che il termine anglo-francese che indica questo piatto, crustade, sia all’origine di quello inglese che oggi indica la crema pasticciera, ossia custard. Era avvenuto, insomma, qualcosa di molto simile a quanto accaduto nel rapporto tra gnocchi e ravioli, nati come un tutt’uno e quindi scorporati in due pietanze, una delle quali priva della pasta. Un cambiamento che non è stato registrato dalla lingua inglese, che continua tranquillamente a usare il termine dumpling per indicare sia i ravioli sia gli gnocchi (che propriamente ne costituirebbero solo il ripieno, non essendo altro che dei ravioli “gnudi”…).
Tornando alle nostre creme, mentre in una parte di Europa si preparavano crostate alla crema, nella parte occidentale del continente sempre in epoca medievale si stava perfezionando una specie di torta al formaggio chiamata flaon. È da qui che si deve partire per individuare l’origine del flan, o perlomeno del nome con cui è conosciuto nella Penisola Iberica e nei paesi di lingua spagnola e portoghese. Sarebbero stati proprio i cuochi arabi della Spagna medievale, infatti, a perfezionare la ricetta di una crema finissima a base di latte, uova, zucchero e spezie varie (la vaniglia sarebbe arrivata molto dopo) da cuocere in una pirofila di terracotta anziché in un guscio di pasta frolla. Tra le innovazioni introdotte dai cuochi moreschi ci sarebbe stato anche il caramello, ossia quel sottile strato di zucchero fatto imbiondire e quindi imbrunito sul quale veniva poi versato il composto di uova e latte prima di cuocerlo sul fuoco, coperto e possibilmente a bagnomaria.
Tra i massimi estimatori di questo dolce, dalla consistenza incredibilmente morbida e insieme soda nonostante l’assenza di farina, non potevano che esserci gli ebrei sefarditi. Il leche flan diventò in breve uno dei dessert preferiti nei menu senza carne, adatto per l’assenza di farine (e ovviamente di lievito) anche sotto Pesach, oltre naturalmente che in feste dove latte e derivati sono i protagonisti come Shavuot. Per quanto la storia qui scivoli nella leggenda, si può immaginare che siano stati sempre gli ebrei a diffondere questo capolavoro di equilibrio dolciario anche in Italia. Tra i tanti piatti che i sefarditi portarono con sé in Italia dopo essere stati espulsi dalla Penisola Iberica ci sarebbe infatti anche una versione della crème caramel molto più simile al flan ancora oggi diffuso nei paesi di lingua spagnola che ai comuni budini monoporzione. Si chiama, non a caso, latte alla portoghese e con questo nome è conosciuto e diffuso in Toscana, con Livorno in prima fila. Che vi sia arrivato con gli ebrei scacciati da Isabella la Cattolica o grazie agli scambi con i marinai portoghesi che passavano dal porto non è dato sapere, ma di sicuro ha attecchito nelle tradizioni della comunità ebraica almeno quanto in quella locale. Ricordato anche da Pellegrino Artusi nella sua Scienza in cucina, il latte alla portoghese viene accostato nel libro al molto simile (ma di più lunga cottura) latte brûlé. Realizzata in un numero sterminato di ore, questa preparazione è tipica della Romagna e prevede la bollitura del latte con lo zucchero fino a ridurlo e a scurirlo prima di lavorarlo con le uova e cuocerlo prima sul fornello e poi nel forno.
Passando a quella che invece si può a buon diritto definire la crème caramel sefardita, vi ritroviamo alcuni dei punti fermi della pasticceria ebraica. Parliamo del flan de naranjas, un budino che, come dice il nome, viene preparato con le arance. Il loro succo sostituisce il latte un po’ come avveniva in epoca romana, quando per i flan si utilizzava più spesso del vino o, appunto, degli estratti di frutta. Nel caso della tradizione ebraica, l’impiego del succo d’arancia consentiva (e consente tuttora) di preparare questo dolce anche nelle occasioni di festa in cui tradizionalmente le portate di carne sono le protagoniste in tavola. Già privo di farina, questo budino diventava in tal modo adatto a tutti i menu. Si suppone inoltre che la sua sopravvivenza fino a noi sia dovuta anche alla sua diffusione tra i conversos. Nascondendo la propria ebraicità e con essa il rispetto della casherut, pure in piena Inquisizione i cosiddetti cripto-ebrei avrebbero infatti continuato a consumare la loro versione pareve del dolce tipico spagnolo. Sviluppatosi, si immagina, in contemporanea con il flan de leche, quello all’arancia sfruttava tra l’altro uno dei cardini della gastronomia e dell’economia degli ebrei iberici. Storicamente, oltre a partecipare in modo massiccio alla loro coltivazione, pare infatti che fossero soprattutto i sefarditi a occuparsi della distribuzione e della vendita degli agrumi nel mondo occidentale medievale. Non a caso, le zone più densamente abitate dagli ebrei in quell’epoca coincidono con quelle in cui si concentrava la produzione di arance, cedri e compagni. L’acidità del succo conferisce al prodotto finale una consistenza meno ricca rispetto a quello preparato con il latte e questa diversità, come sottolinea Joyce Goldstein nel volume The New Mediterranean Jewish Table, potrebbe sorprendere quanti sono abituati alla versione classica. Si tratta comunque di una preparazione deliziosa e assolutamente da provare, tanto più se, come proposto a sua volta da Claudia Roden nel suo The Book of Jewish Food, al composto di zucchero e uova si aggiungono anche le mandorle macinate. Un’altra firma indiscutibile della tradizione dolciaria ebraica.
Flan de naranja y almendra
Ingredienti:
5 uova
120 g di zucchero per il caramello
90 g di zucchero per il flan
180 g di mandorle spellate
210 ml di succo di arance appena spremute
1 arancia non trattata
2 cucchiai di Grand Marnier o altro liquore (a piacere)
Versare lo zucchero per il caramello in un pentolino a fondo spesso e cuocerlo a fiamma bassa fino a quando si scioglie e assume un colore dorato più o meno scuro, a piacere. Versarlo sul fondo di uno stampo per flan, rigirandolo in modo da ricoprirlo uniformemente. Macinare le mandorle con lo zucchero per il flan nel frullatore fino a ottenere una polvere fine, poi aggiungere il succo, la scorza grattugiata dell’arancia e frullare ancora. Aggiungere le uova e il liquore e montare il tutto fino a ottenere un composto liscio e omogeneo. Versare la crema preparata nello stampo con il caramello, poi trasferirlo in una teglia che contenga acqua molto calda fino a circa metà della sua altezza. Mettere in forno già caldo a 160° e cuocere per circa 50-55 minuti, fino a quando uno stecchino inserito al centro ne uscirà pulito. Sfornare, togliere dal bagnomaria e lasciare raffreddare a temperatura ambiente. Coprire lo stampo con pellicola trasparente e riporlo in frigo per qualche ora, fino al momento di servirlo. Immergere parzialmente e per pochi istanti lo stampo in un recipiente contenente acqua calda, poi scolarlo e capovolgerlo su un largo piatto da portata. Eliminare lo stampo facendo scendere il caramello sulla superficie del flan rovesciato e servire.
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.