Fotografie da un paese in guerra
Giorno 20.
Sembra ieri l’allarme delle 7.00 del mattino che ha svegliato mezzo Israele, e che nessuno mai dimenticherà, perché nessuno se lo aspettava come, tanto meno, ci si aspettava il massacro nei kibbutz del sud, al confine di Gaza.
Gli stessi kibbutz che, per anni, hanno accolto palestinesi della Striscia bisognosi di cure mediche.
Gli stessi kibbutz che, per anni, hanno offerto lavoro ai quei 15.000 palestinesi che entravano ed uscivano dall’Enclave ogni giorno e che, per anni, hanno preso appunti dettagliati che hanno permesso, ai terroristi, di mettere a ferro e fuoco il sud di Israele.
1410 morti in meno di 24 ore.
La lista non farà che aumentare, man mano che vengono riconosciuti i corpi fatti, letteralmente, a pezzi: bruciati, polverizzati.
Chi non fa parte di questa lista fa parte di quella degli ostaggi nell’Enclave: ad oggi 220.
Poi c’è la lista “grigia”, quella dei “dispersi”: un intero Paese che vive nel limbo ma che, malgrado tutto, deve continuare a vivere.
E a sopravvivere, nonostante le scuole chiuse e la frutta e la verdura che ormai cominciano a scarseggiare. La maggior parte dell’agricoltura proveniva dai kibbutz che sono stati distrutti o che sono stati evacuati.
Sono orami 200.000 i profughi israeliani che hanno dovuto lasciare il sud e il nord del Paese, a causa dei missili – siamo a 8.000 – che colpiscono Israele ininterrottamente da tre settimane.
Alcuni sfollati hanno trovato rifugio a casa di famigliari che vivono al centro del Paese.
Alcuni kibbutz sono stati interamente adottati da altri kibbutz, come nel caso di Shafaim, che ha accolto i superstiti del massacro di Kfar Aza.
Le operazioni di solidarietà sono infinite: dagli hotel riconvertiti in rifugi, specie nelle aree turistiche del Mar Morto e di Eilat, a catene alberghiere e ostelli che hanno aperto le loro porte anche a Tel Aviv e Gerusalemme.
Ma avere un tetto sotto cui stare non basta. Molte di queste persone hanno lasciato la loro casa senza nulla, nemmeno una valigia.
Tuttavia, la catena della solidarietà e del passa parola, attiva 24/7 come solo gli israeliani sono in grado di fare, aiuta a raccogliere e distribuire ogni bene di prima necessita: dai vestiti ai giocattoli, dagli apparecchi elettronici alle stoviglie.
In questo momento in Israele gli eserciti sono due: quello al fronte e quello di volontari.
C’è chi cucina e chi va a raccogliere quel che è rimasto nei campi. Chi porta il necessario viaggiando da una parte all’altra del Paese e chi coordina il tutto, persino l’adozione degli animali – quelli sopravvissuti – al massacro del 7 ottobre, ma rimasti senza padrone.
Un Paese da un lato distrutto ma che dall’altro si è rimboccato le maniche il giorno stesso.
Ognuno fa quello che può: gli psicologi offrono terapia gratuita, gli educatori cercano di intrattenere i bambini – senza scuola – nei rifugi antimissili dove, tra un bombardamento e l’altro, si pratica judo, danza, disegno. Nonostante tutto il dolore, la vita va avanti.
Anche durante i funerali, per citare le parole di Yotam Kipnis, italo-israeliano, che così ha salutato, per sempre, i suoi genitori – Liliach Lea Havron assistente sociale, da sempre impegnata nel perseguimento del processo di pace come suo marito, l’artista Eviatar Kipnis – entrambi vittime del massacro del kibbutz Beeri: “In queste ore così terribili, mentre affrontiamo ogni giorno un altro funerale, non dimentichiamo la vita. Perché c’era vita prima della guerra, c’è vita durante, e ci sarà vita dopo. Dobbiamo continuare ad amare la vita che c’era e quella che ci sarà: amare il nostro mondo e tutti gli esseri umani che ne fanno parte”.
Anche questo è Israele.
Curatrice presso il Museo Eretz Israel, nasce a Milano nel 1981 e dal 2009 si trasferisce a Tel Aviv per un Dottorato in Antropologia a cui segue un Postdottorato e nel 2016 la nascita di Enrico: 50% italiano, 50% israeliano, come il suo compagno Udi. Collaboratrice dal 2019 per l’Avvenire, ha pubblicato nel 2015 il suo primo romanzo “Life on Mars” (Tiqqun) e nel 2017 “The Israeli Defence Forces’ Representation in Israeli Cinema” (Cambridge Scholars Publishing). Il suo ultimo libro è Tel Aviv – Mondo in tasca, una guida per i cinque sensi alla scoperta della città bianca, Laurana editore.