Chi viaggia sulla via Emilia? Rabbini, medici, stampatori, commercianti, artigiani, ricamatrici, musicisti e compositori, bibliofili, donne, uomini… storia di comunità ebraiche in movimento tra l’Emilia e la Romagna
L’intento del film-documentario “Culture ebraiche lungo la via Emilia” di Bruna Bertani è quello di “raccontare gli ebrei vivi portatori di grandi valori di condivisione e inclusione”.
Nasce così un viaggio geografico ma anche ideale alla ricerca degli insediamenti ebraici, lungo una strada che diventa vettore di affari, di conoscenze, di relazioni umane e perfino amorose. È interessante indagare il concetto di “mobilità” ebraica e osservarne gli sviluppi. Gli ebrei venivano invitati – tramite le condotte, atti vergate su pergamena con il sigillo del signore – in località o ducati; erano utili soprattutto quando il prestito cristiano cessò di esistere ed erano attivatori instancabili di iniziative economiche. Erano quindi abituati a spostarsi per sopravvivere. Ma alla base dell’idea di mettersi in cammino ci sono anche profonde radici filosofiche. Come dice la parasha di Abramo, il detto Lech lecha può essere interpretato a priori proprio come un invito al viaggio in sé, in tutte le sua sfaccettature: vai verso il futuro. La migrazione infatti non è solo dovuta a questioni sociali o a condizioni avverse, ma nasce come bisogno spirituale: Abramo, come dichiara il suo nome, è “colui che passa”, nella geografia ma anche nel tempo, attraversandone l’interiorità. In fondo ogni lettura stessa del testo della Torah invita a un movimento verso un progetto futuro e verso noi stessi.
Sulla via Emilia ci si muove continuamente, per svariati motivi.
Viaggiano i rabbini, per insegnare e svolgere la loro attività, come Rav Lampronti, che era un medico. Allo stesso modo dell’’Arca Santa anche loro si spostavano per portare il messaggio divino – e anche per controllare i prodotti usati per l’alimentazione.
Viaggiano i prestatori, i rigattieri che vendevano e affittavano mercanzie – sedie per le funzioni religiose, drappi di damasco per le processioni cristiane.
Viaggiano le ricamatrici, gli artigiani del cuoio e gli orafi e gli argentieri che lavoravano per gli Estensi ma anche per i Gonzaga e i Borgia.
Tra Quattro e Cinquecento esistono confronti intellettuali importanti e fluttuazioni tra mondo cristiano e ebraico, i cui confini sono porosi.
Un esempio tra i più notevoli è la corte a Ferrara. I banchieri, i medici ebrei fanno parte dell’élite estense e lo scambio tra universi culturali è fruttuoso.
Qui vive ad esempio Giovanni Pico della Mirandola che scopre la lingua e la mistica ebraica, cambiando la storia dell’umanesimo italiano ed europeo: questo accade grazie alla collaborazione con Flavio Mitridate, un convertito a cui Pico affida testi cabalistici da tradurre.
Sfilano nel documentario, come una grande costellazione di stelle e stelline, le comunità grandi e piccole, protagoniste della Via Emilia.
Bertinoro, patria di rabbi Ovadia, che a trent’ anni decide di lasciare il paese e recarsi a Gerusalemme, non per pressione ma per vocazione personale. Lì trova una comunità disastrata; apre istituzioni di studio e riorganizza il tessuto religioso cittadino in modo che quando i correligionari saranno cacciati dal Portogallo vi troveranno un luogo accogliente. Ovadia è noto per il Commento alla Mishnah o l’interpretazione al testo di Rashì. Ferrara e Bologna pubblicheranno i suoi scritti. Con l’avvento della stampa gli ebrei si gettano infatti in questa impresa culturale, mettendo insieme grandi collezioni di volumi, come quella di Bernardo De Rossi a Parma o di Mose Beniamino Foa, grande bibliofilo e provveditore della biblioteca ducale a Modena.
Il 25 gennaio 1482 a Bologna venne stampata per la prima volta la Torah, nella tipografia di Joseph Bar Avraham Caravita. Nel 1553 Papa Giulio però ordina di bruciare e sequestrare le copie del Talmud a Roma; anche a Bologna si accendono fuochi che distruggono molti altri testi oltre al Talmud. Quando il ghetto viene aperto i residenti scacciati migreranno verso Cento, a bordo di carrette, con sopra cassette con il terreno del loro cimitero.
Arriviamo a Soragna, piccola comunità, tra Parma e Piacenza. Qui il documentario ci permette di entrare nel museo e visionare parte della collezione Fausto Levi: oggetti legati alla vita rituale ma che fanno anche parte del quotidiano delle famiglie, arredi, oggetti preziosi, tessili, rotoli della Torah e perfino un grande camino in stucco che rappresenta il sacrificio di Isacco.
Alla fine del 1500 nasce invece a Mantova Salomone Rossi, il compositore che ci racconta ancora una volta una storia di collaborazione unica tra mondo ebraico e mondo circostante. De Rossi ha infatti una formazione classica nella polifonia; ma unisce questa educazione alla conoscenza dei testi sacri.
Viaggiano quindi sulla via Emilia lui e i i musicisti della sua orchestra d’archi, probabilmente non solo intorno a Mantova, ma arrivando alle corti degli Este, di Modena e Reggio, ospiti anche di Pico della Mirandola.
Viaggiano le donne ebree, dai nomi “preziosi” come Perla, Diamante, Smeralda, Zaffira: nomi che richiamano il valore monetario, capitali umani da investire attraverso matrimoni e doti che entrano poi a far parte del gruzzolo del banco o finanziano molte attività.
Il viaggio non può non arrivare al presente, toccando anche il campo di concentramento di Carpi, memoria cupa insieme a Fossoli dell’Italia fascista. E dopo aver conosciuto tanta vita in questo percorso movimentato, articolato, vivace, di cui sono state protagoniste le comunità dell’Emilia e della Romagna, la ferita diventa ancora più devastante, al pensiero di tanto patrimonio disperso, di tanti fili spezzati, di tante stelle spente, di cui possiamo comunque intravedere la scia luminosa.
Il documentario di Bruna Bertani andrà in onda il 27 gennaio su Rai5 alle 21.45 e in replica domenica 28 alle 16.50.