Oltre al digiuno c’è di più: spunti per conoscere meglio la ricorrenza più importante del calendario ebraico
Yom Kippur, il giorno più solenne del calendario ebraico, abbonda di curiosità e usanze, più o meno note. Dall’antichità fino ai giorni nostri, vediamo – con l’aiuto di fonti diverse – alcuni fatti per conoscere meglio questa festività.
Yom Kippur non è (meglio, non era) una festa per animali
Per una capra o per una gallina gironzolare intorno a una famiglia ebraica nel giorno di Kippur potrebbe non essere la più felice delle idee. Non parliamo di cibo, ma di antichi rituali. Alle celebrazioni di Yom Kippur dell’antica Israele dobbiamo l’esistenza di un’espressione tutt’oggi popolarissima: capro espiatorio. Come osserva My Jewish Lerning, gli ebrei nella storia sono stati usati come capro espiatorio nelle più disparate circostanze, ma di una cosa hanno “colpa” davvero: l’aver veicolato l’espressione stessa. All’epoca del Tempio infatti a Yom Kippur venivano scelti due capri uguali: il primo (capro emissario) veniva immolato presso l’altare dei sacrifici, il secondo (capro espiatorio) riceveva simbolicamente i peccati del popolo ebraico – tramite un’imposizione delle mani del sommo sacerdote – e veniva poi condotto fuori città per fare anch’esso – qui non simbolicamente – una brutta fine. Questa usanza ha scatenato la curiosità di filologi, biblisti e storici per un riferimento in particolare: il versetto di Levitico 16:8 che parla di un capro da designare “per Azazel”. Chi o cosa era questo Azazel, questo nome misterioso che nella Bibbia non compare altrove, ma si trova tuttavia in testi apocrifi e pagani? Un luogo, una cosa, una persona, una divinità? L’ipotesi più probabile sulla quale i commentatori si sono orientati, spiega Mosaic Magazine è che si trattasse di una divinità semitica, o ancora più precisamente di una figura demoniaca: una delle tante tracce di contaminazione tra l’ebraismo e gli altri credi della regione presenti nella Bibbia. Come tutta la ritualità legata peculiarmente al Tempio, anche questa usanza oggi è scomparsa. Tuttavia, per chi proprio ci tiene, un modo di onorare la tradizione c’è. Niente spargimenti di sangue: c’è un sito, www.escgoat.com, dove potete “scaricare” su una simpatica capretta virtuale i fatti non proprio lusinghieri che vi hanno visto protagonisti nell’anno appena trascorso. Le regole: stare nei 120 caratteri e accettare la reciprocità. Solo dopo aver condiviso il vostro brutto affare potrete farvi quelli degli altri. Naturalmente, nel più totale anonimato.
E la gallina? A differenza del rito del capro espiatorio, quello delle kapparot (notare che in ebraico la stessa radice dà il nome sia alla festività sia all’animale) ancora sopravvive, benché stia cadendo sempre più in disuso. Si tratta di prendere una gallina (viva) e farla roteare sulla testa della persona prescelta di modo che i suoi peccati vengano trasferiti sulla povera bestia (simbolicamente), che dopo di ciò farà una brutta fine (non simbolicamente). Un costume popolare giunto fino ai giorni nostri, malgrado l’avversione nel corso della storia dei più illustri commentatori, da Ramban a Rabbi Yosef Caro, date le sue implicazioni pagane e superstiziose. Nel 2015, riporta Julie Wiener su Jewish Telegraphic Agency, negli Stati Uniti ci sono state due cause legali: una pro-kapparot, portata avanti da una congregazione Chabad nel Detroit e una anti-kapparot, promossa da un gruppo di animalisti a New York. In quest’ultimo caso, il giudice ha dato ragione ai celebranti: il rituale, dice la sentenza, non presenta elementi che turbano l’ordine pubblico. Galline avvisate, quindi. Di chi dice che ormai non si usa più conviene non fidarsi. Meglio fidarsi del film: Galline in fuga!
Yom Kippur, la festa dell’amore
Strano pensarlo oggi, ma nella letteratura talmudica troviamo un forte legame tra Yom Kippur e Tu B’Av, definiti “i giorni più gioiosi che mai vide Israele”: in entrambe le ricorrenze le donne nubili solevano uscire vestite di bianco e danzare alla presenza degli uomini, che avrebbero così potuto scegliere una sposa. Un rituale dalla leggerezza apparentemente stonata con il contesto di Yom Kippur, ma in realtà recante elementi di solennità e condivisione di valori: le vesti bianche indossate dalle ragazze dovevano passare per la purificazione del mikveh e dovevano essere prese in prestito, affinché nessuna potesse fare sfoggio del suo status sociale elevato – o viceversa, sentirsi umiliata per la sua condizione – mostrando un abito diverso dalle altre.
Questa tradizione, una delle tante fortemente legate alla terra, alle stagioni e al ciclo della vendemmia (le danze avevano luogo nei vigneti fuori città) è scomparsa con la dispersione del popolo ebraico a seguito della distruzione del Tempio. Si potrebbe pensare di riportarla in vita oggi? Beh, anacronismo a parte, scegliere la persona giusta è già difficile in condizioni normali, figuriamoci quando l’unico pensiero è calcolare quante delle 25 ore di digiuno sono già trascorse. Su My Jewish Learning commentano: “Data la difficoltà di prendere una decisione a stomaco vuoto e in astinenza da caffeina, siamo lieti che questa tradizione non esista più”. Aggiungiamo la proibizione di farsi belli – indossare gioelli, profumi, oggetti in pelle – ma soprattutto di lavarsi: forse per il corteggiamento ci sono giorni migliori!
Yom Kippur, una festa per l’ambiente
Nella nostra contemporaneità, Yom Kippur è anche un giorno in cui chi osserva la festa “dà tregua” alla natura. Yom Kippur segue perfettamente quel consiglio che molto spesso ci viene dato quando chiediamo cosa possiamo fare per l’ambiente: la miglior cosa da fare è non fare. Spegnere il motore, le luci e il volume, non fare nuovi acquisti, non consumare, non sprecare. Liberare le strade dalle auto e dai suoi rumori, riprendersela, riprendersi il silenzio, il tempo, lo spazio. E perché no? Il movimento a misura di persona. È quello che succede in Israele, dove Yom Kippur è una doppia festa: il giorno più sacro del calendario per i religiosi e il Bike Day per i laici. Usare la propria auto non è proibito dalla legge, ma per tradizione semplicemente non si fa. E lo spettacolo delle strade piene di persone – tra cui i bambini – che si divertono su bici, pattini, skateboard, senza la paura di essere investiti è uno dei più belli a cui si possa assistere in Israele e una delle spie che rivelano come il giorno di Kippur sia caro a tutti, indipendentemente dalla presenza o meno di fede. Naturalmente, come precisa Amarelle Wenkert su Calcalist, con tutte quelle ruote per strada, anche se senza motore, non è che non succede mai niente: ogni anno il soccorso del Magen David Adom deve intervenire da qualche parte. Senza motore non vuol dire senza prudenza!
Yom Kippur, una festa istituzionale
Yom Kippur è naturalmente festa nazionale in Israele e nel 2015 è stata riconosciuta festa ufficiale anche dalle Nazioni Unite. E a proposito di ufficializzazione c’è un’interessante curiosità. Il primo Paese a fare di Yom Kippur una festa nazionale non è stato il moderno Stato di Israele. Fu la Tunisia sotto il Protettorato francese, attraverso l’emissione di due Decreti beylicali, il primo del 1926 e il secondo del 1954.
Del primo provvedimento abbiamo traccia nell’archivio online di Jewish Telegraphic Agency, mentre per il secondo (da ricordare che in mezzo c’era stata la guerra, il regime Vichy e un’occupazione tedesca di sei mesi) abbiamo a disposizione il lavoro degli storici (si può consultare ad esempio Histoire des Juifs de Tunisie di Paul Sebag).
“Nessun pagamento di nessun tipo, nessuna cambiale, vaglia postale, assegno, conto corrente, fondo o obbligazione con cedola può essere richiesto, né alcun reclamo può essere presentato durante il giorno ebraico per il digiuno, Yom Kippur”, si legge nel testo. La comunità ebraica locale ottenne questo risultato dopo un lungo lavoro di diplomazia, facendosi forza soprattutto del fatto che anche ai musulmani era stato concesso lo stesso per un giorno di digiuno le cui origini derivano proprio da Yom Kippur (e che quest’anno coincidono sul calendario): la Ashura, il decimo giorno del mese di Muharram. Ricorrenza questa che, secondo la tradizione, fu istituita da Muhammad proprio a imitazione di Yom Kippur, che aveva visto osservare dalle tribù ebraiche d’Arabia e dal quale era rimasto colpito. Ma questa è ancora un’altra storia.
Molto carino e originale-
Bel lavoro!