Storia di un’opera d’arte collettiva pensata per «trasmettere ai visitatori una sintesi dello stato d’animo dei milioni di esseri umani ridotti a schiavitù, senza cadere nell’episodico, nel patetico o nella retorica» (Lodovico Belgiojoso)
Visitatore, osserva le vestigia di questo campo e medita: da qualunque paese tu venga, tu non sei un estraneo. Fa che il tuo viaggio non sia stato inutile, che non sia stata inutile la nostra morte. Per te e per i tuoi figli le ceneri di Auschwitz valgano da ammonimento: fa che il frutto orrendo dell’odio, di cui hai visto qui le tracce, non dia nuovo seme, né domani né mai.
Primo Levi
Il Memoriale in onore degli italiani caduti nei campi di concentramento nazista situato nel blocco 21 del campo I di Auschwitz, voluto dall’Associazione Nazionale Ex Deportati (ANED), è stato progettato, realizzato e allestito con la collaborazione di un folto gruppo di intellettuali e architetti italiani.
Nel 1971, dopo l’approvazione da parte delle autorità polacche per l’utilizzo dello spazio, e dopo una raccolta di fondi da parte dell’allora presidente dell’ANED Piero Caleffi, viene presentato il primo progetto concepito per il Memoriale italiano di Auschwitz, che vede tra i principali fautori il gruppo BBPR, lo scrittore Primo Levi, il pittore Pupino Samonà, il regista Nelo Risi e il compositore Luigi Nono. Nell’ottobre 1978 il comitato operativo dell’associazione si mette al lavoro con il principale obiettivo di creare un memoriale dedicato non solo alle vittime di Auschwitz, ma a tutta la vicenda della deportazione italiana. Scartata fin da subito l’ipotesi di una mostra documentaria, l’intento è quello di proporre un’opera che avesse il compito di «illustrare con mezzi visuali i fatti da documentare […] per cogliere gli elementi essenziali di quel momento e per trasmettere ai visitatori una sintesi dello stato d’animo dei milioni di esseri umani ridotti alla condizione di schiavi o di bestie da macello, senza cadere nell’episodico, nel patetico o nella retorica», come afferma lo stesso architetto Lodovico Belgiojoso, uno dei progettisti del memoriale, che ha vissuto sulla propria pelle il dramma della deportazione.
Con il coinvolgimento di diversi linguaggi espressivi, dunque, nell’istallazione, non si è cercato solo di immergere emotivamente il visitatore, né di spingerlo verso un’identificazione con le vittime, ma si è avvertita la necessita di trasmettergli una consapevolezza della storia affinché il ricordo diventasse fonte di conoscenza.
L’opera è stata realizzata sotto forma di spirale, concepita come una composizione di segni pittorici che sottolineano i valori intensionalmente emotivi dello spazio, che restituisce attraverso immagini evocative eventi della storia italiana dall’inizio del fascismo, fino al drammatico esito della deportazione nazista e dello sterminio.
Le tele che compongono la spirale sono state realizzate dal pittore Samonà, che così descrive il suo lavoro: «Ho scelto colori di sicura resistenza ma di nessuna preziosità, così che il gioco delle luci positive e negative fosse il più schematico e povero possibile […] I corpi e i volti delle figure studiate divennero diafani e incorporei per lasciare intravedere la loro intima sofferenza ma anche la loro grandezza morale». I colori predominanti sono il giallo, il rosso, il bianco e il nero che rappresentano simbolicamente gli ebrei, il marxismo, i cattolici e l’oscurantismo nazifascista. A completare l’effetto sensoriale dell’opera la poesia di Primo Levi, posta all’ingresso come monito per i visitatori e la composizione musicale di Luigi Nono, Ricordati cosa ti hanno fatto in Auschwitz, che risuona durante tutta la visita.
Il memoriale è stato realizzato a Milano nella primavera-estate del 1979 dalla ditta Quadri, che si è occupata anche del suo trasferimento e montaggio ad Auschwitz tra l’agosto e il settembre dello stesso anno.
Nei primi anni 2000 la direzione del museo statale di Auschwitz-Birkenau, riteneva, con una motivazione piuttosto approssimativa, che il memoriale italiano fosse un’opera che non riusciva più a sviluppare e trasmettere il giusto valore educativo. In seguito a ciò, in un primo momento, il memoriale è stato chiuso al pubblico e nel 2014 la direzione ha avvisato che l’opera sarebbe dovuta essere completamente rimossa, sostituita con un’altra installazione, o modificata mediante integrazioni.
È ovvio che il memoriale avesse un’unità di senso con lo spazio circostante, tuttavia non è facile capire quali siano stati i punti di attrito tra la politica museale lì condensata e la presenza del memoriale, dal momento che in linea di massima questo non sembrava e non sembra ancora oggi un’opera poco attuale e poco comunicativa. Nel 2008 l’ANED accetta la proposta dell’Accademia di Brera e dell’Istituto Bergamasco per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea di avviare un cantiere di studio e lavoro per riportare il Memoriale alla sua bellezza originaria e per risvegliare nella collettività italiana la consapevolezza della specificità e originalità del Memoriale italiano del Blocco 21. La complessa storia del memoriale continua con il lavoro del Gruppo 32 degli studenti di Brera, accompagnati dai loro docenti e dai collaboratori dell’Isrec di Bergamo. Al ritorno da Auschwitz il gruppo di lavoro prepara una mostra documentaria sul memoriale in occasione del 27 gennaio 2009, una mostra-convegno che si è svolta tra Milano e Bergamo. Il memoriale è rimasto ad Auschwitz fino al 2015, in quello stesso anno dopo la firma di un protocollo d’intesa tra Comune di Firenze, Regione Toscana, Ministero per i Beni e le Attività Culturali e la stessa ANED, proprietaria dell’opera, è stato incaricato l’istituto centrale per il restauro di Roma di smontare l’installazione e di trasportarla a Firenze, dove arriva nel 2016. Al termine dei lavori di ristrutturazione dell’edificio che la ospita, l’Opificio delle Pietre Dure ha curato la direzione tecnica degli interventi di restauro delle tele. L’ANED, infine, si è incaricata di progettare una mostra sulla memoria della deportazione italiana lungo i decenni.
L’opera nel 2019 è così definitivamente situata nel centro Ex3 di Firenze, dove si trova ancora oggi a disposizione dei visitatori. Anche se strappata dal contesto per il quale era stata concepita, l’installazione ancora mantiene intatta la sua forza di documento unico della memoria dello sterminio nazista, voluto a tutti i costi dagli ex deportati e da alcune delle personalità di maggior rilievo della cultura italiana del Novecento.
La vicenda analizzata, lunga e piena di ostacoli, restituisce oggi non solo la storia della deportazione, ma anche la singolare storia di questo memoriale, che l’ANED avrebbe voluto lasciare ad Auschwitz. Tuttavia, la scelta forzata di trasferirlo in Italia è servita a salvarlo almeno come testimonianza tangibile di avvenimenti da non dimenticare e da apprendere attraverso la multisensorialità e la multimedialità prevista e messa in atto dai suoi realizzatori, tanto da rendere il memoriale un esempio unico di complesso documentario, custode di strumenti e di valori da trasmettere.
Classe 1991, è PhD Candidate dello IULM di Milano in Visual and Media Studies, cultrice della materia in Sistema e Cultura dei Musei. Studiosa della Shoah e delle sue forme di rappresentazione, in particolare legate alla museologia, è socia dell’Associazione Italiana Studi Giudaici.
Una spirale maledetta che trascina ed inghiotte i martiri. Nella prospettiva che risulta dalla foto (purtroppo nn ho visto l’originale), l’ampio ingresso indica la facilità con cui, nell’indifferenza dei popoli, fu perpetrato il male, mentre il cul de sac in fondo, rappresenta i miseri resti in cui furono ridotte le vittime. Quest’opera mi ricorda il memoriale Benjamin di Port Bou: anche qui la porta grande come la speranza della fuga ed in fondo, sul mare, una minuscola finestra: la delusione proprio alla soglia della salvezza. La mia commozione è sempre tanta.