Storia e poetica di una coppia di artisti che disegna una memoria della città che non dorme mai
Tel Aviv è la città dai mille strati. Alla fine dell’Ottocento, prima ancora della sua fondazione nel 1909, un gruppo di pionieri, in fuga dai pogrom della vecchia Europa, sbarca al porto di Jaffa e, sulle pendici della cittadella fortificata, comincia a costruire quello che è in assoluto il primo quartiere della Città Bianca: Neve Tzedek.
Tra questi pionieri c’è anche Shimon Rokach, uno dei fondatori del quartiere e, più tardi, della città. Rokach deve la sua fama per aver svolto un ruolo fondamentale nell’aiutare i primi immigrati ebrei a integrarsi nell’allora Palestina ottomana, e per aver fondato la prima cooperativa agricola proto-israeliana, con la realizzazione di “Pardes”, “piantagioni” in ebraico, un pilastro dell’economia del nascente stato.
Anche suo figlio Israel si attiva fin da subito politicamente, fino a diventare il secondo sindaco di Tel Aviv, dal 1936 al 1953.
E la nipote, Lea Majaro-Mintz, famosa scultrice che, negli anni, perde completamente la vista a causa dell’uso intensivo della fiamma ossidrica, trasmette la propria passione nei confronti della città attraverso la pittura, continuando a dipingere, in modo quasi ossessivo, il paesaggio di Tel Aviv, in base ai suoi ricordi. Nel 2021, a 95 anni compiuti, vive ancora all’ultimo piano dell’edificio, costruito a Neve Tzedek dal nonno nel 1887, un caposaldo architettonico perfettamente conservato e oggi trasformato in una casa-museo: Casa Rokach, con la sua inconfondibile cupola in rame, pietra miliare della storia della città e di Israele.
Lungo i muri di Neve Tzedek Nitzan Mintz, classe 1989, nipote di Lea e trisnipote dello stesso Rokach, durante gli anni del militare comincia a scrivere poesie tra i vicoli del quartiere più antico di Tel Aviv. A volte con la vernice, altre con la tecnica del collage. Spesso un collage sono anche le parole da lei utilizzate per raccontare la sua città, i suoi conflitti politici, i suoi conflitti interiori.
Negli anni, il lavoro di Nitzan comincia a sconfinare nelle vie di Florentin, il cuore della Street Art israeliana. Qui, già dal 2006, emerge il lavoro di Dede “Bandaid”, coetaneo e telaviviano come lei, il cui nickname risale alla sua fama per aver tappezzato la città di cerotti, una sorta di art therapy per risanare le ferite della guerra e della sua stessa esperienza durante gli anni del militare. Dede è noto anche per i suoi animali dagli arti di legno: un ossimoro che sta a rappresentare la precarietà della libertà, che procede parallelamente alla gentrificazione di Tel Aviv, il cui percorso di distruzione e ricostruzione viene mappato dalle orme di questi animali in fuga, ma costretti in un’armatura di legno.
Camminando per le strade della città, ciascuno per conto proprio, alla ricerca di un nuovo muro da trasformare in tavola da disegno, Nitzan si innamora delle creature di legno di Dede e Dede si innamora delle poesie urbane di Nitzan. Nel 2010 si contattano per la prima volta su Facebook per scambiarsi opinioni sull’arte e, dopo qualche tempo, mentre camminano di notte per le strade di Tel Aviv, armati soltanto di talento e bombolette spray, tra una fuga e l’altra dalla polizia, scoprono di essersi innamorati.
Ormai sono passati dieci anni dal primo incontro, e da allora hanno anche cominciato a collaborare assieme, con le poetiche parole di Nitzan che, attraverso l’equilibrio geometrico che ricorda le opere di Mondrian, vanno a complementare i malinconici disegni di Dede.
Assieme hanno girato il mondo, invitati a portare la propria arte tra le strade di Berlino, Londra, Mexico City, Miami, Monaco, Montreal, New York, Parigi, Praga, Vienna.
“Per noi viaggiare è in assoluto il modo migliore per trovare insipirazione per altri progetti, confrontrandoci con l’arte, e la street art, di tutto il mondo. Ma il nostro sogno nel cassetto – confessano – sarebbe portare i nostri lavori tra le strade di una delle città italiane, i cui artisti, sia concettuali, che legati all’arte povera e alla poesia visiva, sono sempre stati immensa fonte di ispirazione”.
Oggi i due street artist israeliani condividono, oltra allo stesso tetto, anche uno studio a Herzl Street, nella zona sud-est di Tel Aviv, tra Florentin e Kibbutz Galuyot, dove si trovano la maggior parte degli atelier e delle gallerie più all’avanguardia di Israele, tra cui la Zemach Gallery, che rappresenta entrambi e dove hanno esposto per la prima volta come coppia nel 2019. Quella mostra era una ricerca sui palazzi di Tel Aviv in via di demolizione, sui quali hanno dipinto le proprie opere d’arte che un giorno, come gli edifici, sarebbero stati distrutti e che, invece, grazie a questo lavoro di riappropriazione dei luoghi simbolici, avranno sempre un posto nella memoria collettiva della città.
Ora, infatti, è possibile acquistare i lavori dei due artisti che, negli anni, pur continuando con i propri progetti site specific tra le strade di Tel Aviv, hanno cominciato a portare le strade della città “dentro” i propri lavori.
Nitzan scrive le sue poesie su porte e finestre abbandonate, o su stratificazioni di poster pubblicitari che, negli anni, creano veri e propri fossili urbani, su cui l’artista disegna le proprie memorie che un giorno, a loro volta, si trasformeranno in geroglifici di lettere ebraiche.
Dede, che ha cominciato tappezzando la città di enormi cerotti, metafora dell’arte come terapia individuale e sociale, ora, con la stessa bomboletta o con la tecnica del collage, realizza piccole composizioni di cerotti su cartelloni stradali e materiale di scarto trovato tra i marciapiedi di Tel Aviv.
Così, assieme, ma ognuno con il proprio stile e la propria tecnica, recuperano pezzi di città per ri-costruirne la memoria tra passato, presente e futuro. Fino a quando, in un futuro non troppo lontano, questi pezzi di archeologia urbana entreranno a far parte delle collezioni dei musei, raccontando una storia d’amore, prima di tutto nei confronti dell’arte, nata tra le strade della città che non dorme mai.
Curatrice presso il Museo Eretz Israel, nasce a Milano nel 1981 e dal 2009 si trasferisce a Tel Aviv per un Dottorato in Antropologia a cui segue un Postdottorato e nel 2016 la nascita di Enrico: 50% italiano, 50% israeliano, come il suo compagno Udi. Collaboratrice dal 2019 per l’Avvenire, ha pubblicato nel 2015 il suo primo romanzo “Life on Mars” (Tiqqun) e nel 2017 “The Israeli Defence Forces’ Representation in Israeli Cinema” (Cambridge Scholars Publishing). Il suo ultimo libro è Tel Aviv – Mondo in tasca, una guida per i cinque sensi alla scoperta della città bianca, Laurana editore.