Poesia e impegno civile nel lavoro della poetessa israeliana, che sapeva dare amore attraverso le parole. Una lettura di “Neon”
Oggi la poetessa israeliana Tali Latowicki avrebbe compiuto quarantatré anni. È una ricorrenza amara, che a sei mesi di distanza dalla sua scomparsa lascia sbigottiti e senza parole. Tuttavia, in questa giornata celebrare la sua vita e, prima di tutto, la sua poesia.
Affermare che Tali Latowicki è stata una poetessa è vero e sacrosanto, anche se molto riduttivo. Tali è stata una docente brillante, una ricercatrice impeccabile, un’editor scrupolosa, un’attivista appassionata. Eppure, la frase che meglio potrebbe riassumere le sue numerose attività mi pare una sola: Tali è stata un essere umano che amava profondamente l’altro.
Se Agi Mishol, un’altra celebre poetessa d’Israele, sostiene che “la scrittura è la più tortuosa delle vie / per ricevere amore”, per Tali è vero il contrario. La scrittura, infatti, è stata per lei il modo più sincero per offrire amore a chi le stava attorno, in uno strenuo tentativo di colmare quelle che considerava le peggiori ingiustizie della società in cui viveva.
Negli ultimi giorni della sua esistenza, nonostante la malattia, Tali stava correggendo le bozze della sua terza raccolta poetica, Ha-zkhut li-shlemut ha-guf, “Il diritto all’integrità del corpo”, uscita postuma presso la casa editrice Pardes. La compagna di Tali Latowicki, Tal Levin, ha dichiarato che, più di ogni altro documento legale, questo terzo volume rappresenta l’unico vero testamento della sua autrice, un lascito poetico, ma non solo. Vi si ritrovano, infatti, alcuni degli aspetti essenziali dell’opera e della vita di Tali, non da ultimo la maternità, esperienza che si era aggiunta di recente colmandola di stupore e di bellezza.
A mio parere, il titolo del libro è sconcertante nella sua assoluta precisione. Il corpo cui l’autrice allude è prima di tutto il suo, fragile e malato. Più volte abbiamo discusso di come, in ambito poetico e letterario, l’infermità fisica possa offrire un’occasione interpretativa unica, aprendo sulla realtà uno sguardo che, in circostanze più felici, sarebbe rimasto sigillato. E in questo libro Tali Latowicki ce ne fornisce una testimonianza puntuale. Basta, però, scorrere velocemente le poesie per rendersi conto che il corpo è anche quello della nazione o, meglio, della collettività declinata nei vari sensi possibili, in un’incessante oscillazione tra pubblico e privato, tra impegno civile e interiorità, che da sempre caratterizza la poesia israeliana.
La questione dell’impegno civile è fondamentale nella realtà dello Stato ebraico, dove il coinvolgimento dei cittadini nella vita sociale e politica è notevole e di gran lunga superiore a quello che conosciamo nel nostro Paese. In questo ambito le arti sono sempre state in prima linea, pronte a farsi latrici dei più intimi mutamenti della società. Ciò è valido soprattutto per la poesia, la quale ha raccolto un testimone derivatole addirittura dalla profezia biblica, la quale, di fatto, costituisce la prima raccolta di poesia politica della storia ebraica.
Da attenta osservatrice del suo tempo qual era, nella poesia “Neon” Tali Latowicki contempla le sottili trasformazioni avvenute al riguardo all’interno della sua generazione, con uno sguardo ironico e distaccato, ma non privo di sofferenza. Qual è la misura dell’impegno nella contemporaneità? Qual è il divario tra azione e parola per generazioni che sembrano ormai distanti dalle gesta grandiose del passato? Siamo noi, per nostra scelta, stanchi, indolenti, disinteressati o è il destino che ci ha voluto tali? La verità, questa volta ‒ lascia intendere la poetessa ‒ non sta nel mezzo.
Neon
Ci sono generazioni cui non è stato concesso in sorte
di essere quelle che reggono la storia sulle spalle. A costoro è stato offerto
di sedere nei caffè, pregando al futile,
sanno che l’essenziale balugina soltanto dall’interno,
e l’uno dipende dall’altro
perciò non bisogna calcare la mano, né con il dialogo né con il tempo.
Ma la storia è comunque atterrata
sulle loro spalle,
è atterrata come un colpo d’ariete, come un affanno,
e ora con la colonna vertebrale spezzata,
siedono
soppesando l’essenziale e il futile,
come banconote contraffatte alla luce del neon.
Sara Ferrari insegna Lingua e Cultura Ebraica presso l’Università degli Studi di Milano ed ebraico biblico presso il Centro Culturale Protestante della stessa città. Si occupa di letteratura ebraica moderna e contemporanea, principalmente di poesia, con alcune incursioni in ambito cinematografico. Tra le sue pubblicazioni: Forte come la morte è l’amore. Tremila anni di poesia d’amore ebraica (Salomone Belforte Editore, 2007); La notte tace. La Shoah nella poesia ebraica (Salomone Belforte Editore, 2010), Poeti e poesie della Bibbia (Claudiana editrice, 2018). Ha tradotto e curato le edizioni italiane di Yehuda Amichai, Nel giardino pubblico (A Oriente!, 2008) e Uri Orlev, Poesie scritte a tredici anni a Bergen-Belsen (Editrice La Giuntina, 2013).
Sempre interessanti le Vostre pagine, grazie, mi sento a casa.
Grazie Miriam!