Un’ascesa a Masada che desta ineludibilmente profonde emozioni in tutti, anche in un Ebreo non Ebraico
L’Ebreo non ebraico, quando è salito a Masada – a piedi e all’alba, nonostante le gambe corte e i chili di troppo – era affannato ma orgoglioso.
Era una bellissima giornata d’ottobre, pochi giorni dopo Kippur.
Uccelli e vento, pietre e fantasmi.
Arrivato su, aveva lasciato andare il respiro al ritmo che voleva lui – sincopato prima, quieto poi. Aveva visitato, letto, calpestato, sfiorato. Aveva guardato l’orizzonte fuori e dentro di sé. Non trovava le parole, non trovava pensieri adatti – e la cosa era strana per lui, ciacolòn di natura. Si era guardato attorno, e aveva visto i volti di chi era appena arrivato con la teleferica. Aveva sentito gli occhi inumidirsi, e non era il vento – o forse sì. Si era sentito stanco, ma stanco-stanco. Si era seduto. Si era disteso. Deve essersi addormentato, e deve aver sognato, perché quando si era di colpo risvegliato faceva caldo, ma caldo-caldo, e la voce che gli aveva parlato non lo lasciava parlare che con la sua: “ MAI PIÙ MASADA ! ” gli sussugridava. Lui l’aveva ripetuta più volte, gridandola ad alta voce – a fiato corto ma alta-alta. La gente che gli si era raccolta attorno non capiva. L’Ebreo non ebraico per un attimo si era vergognato, così si era rimesso in piedi e aveva tranquillizzato tutti. Stava per riprendere a pensare, a dire qualcosa ai suoi soccorritori, quando si rese conto che la maggior parte di loro aveva nello sguardo espressioni orgogliose, quasi trionfanti. Gli si piegarono le gambe, scoppiò in un pianto interminabile, a dirotto.
Piange anche adesso, riuscite a sentirlo ?