Sull’uso della parola “ebreo” e sulla sua definizione. Vicissitudini, critiche e orgoglio ebraico intorno alla voce “jude” di un noto dizionario tedesco
No, la parola ebreo non è discriminatoria. Quello che a molti sembra una cosa ovvia, evidentemente non lo era per il Duden, uno dei principali dizionari della lingua tedesca. Nella sua edizione online, alla voce Jude il blasonato vocabolario aveva recentemente inserito una nota, contrassegnata da una lampadina. Vi si leggeva: “Occasionalmente, la designazione di ebreo/ebrea è considerata discriminatoria a causa della memoria dell’uso nazionalsocialista. In questi casi si scelgono solitamente formulazioni come popolo ebraico, concittadino ebraico o persone di fede ebraica”. La cosa non è sfuggita alle comunità ebraiche tedesche, e la risposta non si è fatta attendere. In un articolo di Ayala Goldmann uscito a inizio febbraio su Jüdische Allgemeine , pur riconoscendo le buone intenzioni degli autori (ma anche ricordando che di queste è lastricata la strada per l’inferno), si è subito messo in chiaro che la vera definizione odiosa sia quella di “concittadini ebraici”, mentre tirare in ballo la fede non valga comunque per tutti gli ebrei. Che lo sono indipendentemente dalla loro assiduità in sinagoga. Sempre nell’articolo del principale periodico ebraico tedesco si mette in luce una contraddizione rispetto alla stessa definizione che il dizionario fornisce di Jude, cioè: “Membro di un popolo semitico, una comunità religiosamente o etnicamente legata, rappresentata in quasi tutti i paesi della terra”. In seguito, Goldmann ricorda come non conosca nessun ebreo, credente o no, che si senta trattato ingiustamente quando viene chiamato ebreo, e che il problema sia semmai dei non ebrei, che riferendosi in qualche modo alla “questione della memoria” si trovano in imbarazzo nel chiamare le persone con il loro nome. E ritendendolo, loro sì, discriminatorio. Il pezzo si chiude con un appello agli “stimati concittadini della redazione di Duden” di rivedere la nota.
Ripostato su Twitter da Daniel Botmann, direttore esecutivo del Zentralrat der Juden in Deutschland (Consiglio Centrale degli Ebrei in Germania), l’intervento dello Jüdische Allgemeine è stato commentato così: “Va bene dire ebreo? Sì! Per favore, non dite ‘concittadini ebraici’ o ‘persone di fede ebraica’. Solo EBREI. Grazie!”. Dello stesso avviso del direttore è anche il capo dello stesso Consiglio, Joseph Schuster, che ha ricordato come per lui il termine “ebreo” non sia né una brutta parola né discriminatoria, dichiarando a AP News che “anche se ‘ebreo’ è usato in modo peggiorativo nei cortili delle scuole o solo in modo esitante da alcune persone, e gli editori di Duden sono certamente ben intenzionati nel sottolineare questo contesto, si dovrebbe fare di tutto per evitare di consolidare il termine come discriminatorio”.
Detto fatto, l’editore di Duden ha prontamente accolto le critiche e ha aggiornato la sua definizione per riflettere il contributo della comunità ebraica. Oggi, cliccando alla voce Jude del sito web del dizionario, si troverà così ancora la lampadina di alert, ma con un testo che contestualizza l’immagine negativa del termine e ne prende più nettamente le distanze: “A causa dell’uso antisemita nel passato e nel presente, specialmente durante l’era nazionalsocialista, le parole ebreo/ebrea sono state dibattute dalla comunità linguistica per decenni. Allo stesso tempo, le parole sono ampiamente utilizzate come una cosa ovvia e non sono percepite come problematiche. Il Consiglio Centrale degli Ebrei in Germania, che usa il nome stesso, ne sostiene l’uso”.
Nella stessa nota si fa poi riferimento allo studio Antisemitismus in der Sprache di Ronen Steinke, in cui l’impiego del termine viene ulteriormente approfondito. Una questione che, come ricorda JTA in un recente articolo dedicato alla stessa nota del Duden, ha coinvolto le istituzioni ebraiche, che in passato avrebbero a loro volta optato per termini come “ebraico” e “israelita”. Citando un’intervista del 2020 a Sarah Bunin Benor, docente dell’Hebrew Union College specializzata in ebrei e linguaggio, JTA ricorda come storicamente le persone non ebree abbiano evitato di usare il termine ebreo per non sembrare antisemite, anche se la parola non è intrinsecamente dispregiativa. “Molte persone presumono che sia un insulto perché sanno che gli ebrei sono storicamente un gruppo stigmatizzato, quindi sono preoccupati di usarlo perché non vogliono sembrare offensive”, specificava la Benor.
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.
Stesso discorso per “giudeo”. Parola poco usata, ma validissima.