Tre racconti, tre confessioni, tre esperienze estreme. Omri il musicista che si trova ad essere complice involontario in un omicidio (ma lo è stato davvero o è stato manovrato dalla misteriosa sposa insoddisfatta del suo viaggio di nozze?). Asher il medico che ha perso da poco la moglie e si sente attratto da una specializzanda, un’attrazione che forse non ha tanto a che fare con il sesso quanto con la paternità e conduce a un segreto che finalmente viene svelato. Una donna che vede il marito entrare in un frutteto ma non lo vedrà mai più uscirne. Che cosa gli è accaduto? E’ stato ucciso? E da chi? Pare che proprio quest’ultimo episodio, ispirato a un fatto realmente accaduto all’autore quando ha incontrato questa signora disperata per la perdita del compagno scomparso, sia stata la molla scatenante per la scrittura dell’intero libro. Quella moglie in lacrime che aveva smarrito d’un tratto il suo uomo, sparito tra gli alberi. Nevo ha subito collegato il frutteto a quello del racconto mistico forse più famoso del Talmud, il Pardès, che non è un semplice giardino o l’Eden della tradizione cristiana. Racchiude un concetto molto più complesso. Si narra infatti che quattro rabbini entrassero nel frutteto ma soltanto uno riuscì ad attraversarlo indenne e a uscire rafforzato dall’esperienza, Rabbi Akiva. Gli altri o morirono o persero il senno o la fede. I quattro personaggi alludono a quattro modi diversi di interpretare la Torah e la parola stessa, Pardès, è composta da quattro lettere, che formano l’acrostico di Phsat, Remez, Drash, Sod: semplice, simbolico, interpretativo, segreto. Ecco, forse il concetto più giusto e più attinente al libro di Nevo è proprio quest’ultimo. Il Pardès è il giardino dei segreti, un luogo rischioso, in cui chi si addentra potrebbe non trovare più la strada della salvezza.
In questa raccolta di tre racconti, tradotta con il titolo un po’ fuorviante “Le vie dell’Eden” – un titolo che dispone il lettore a tutt’altro tipo di immaginario, quello del paradiso terrestre di Adamo ed Eva – i personaggi cercano la verità, tentano di interpretare i fatti drammatici che accadono loro e facendolo si addentrano nelle ombre dell’anima, finendo per conoscere parti di se stessi che avevo rimosso o negato o dimenticato. Vivono situazioni radicali che richiedono fede o comunque coraggio, chiarezza, lucidità spietata. Solo attraversando l’esistenza nei suoi aspetti più complessi, penetrando sempre di più nel giardino della conoscenza, si può arrivare alla completezza. Anche se non esistono risposte ma solo domande, anche se forse non c’è un’uscita, la garanzia di una visione rincuorante e il confine tra lucidità e follia è labile e pericoloso. Nevo scrive sempre benissimo (casual lo ha definito Alessandro Piperno); ma è proprio questo paradossalmente il problema e il limite per i lettori italiani. Le storie scorrono, emozionano, sono intense, ricche di umanità, come nel caso di “Tre piani”, forse il suo libro più celebre, trasformato in film da Nanni Moretti. Io l’ho visto quel film e per me è stato illuminante. Moretti era senz’altro rimasto affascinato dallo spessore dei personaggi ma il film mancava di senso, non riusciva a scavare nel profondo, risultava non credibile, a tratti perfino ridicolo. Il regista si era fermato alla storia “casual”. E invece è impossibile togliere Nevo dal contesto culturale in cui è cresciuto: Israele.O togliere quel contesto ai suoi personaggi. Sarebbe come privare Madame Bovary della provincia e lasciar parlare solo gli eventi della storia. Tanto è scritta talmente bene che regge ovunque, è universale! Forse. Ma un vecchio in un racconto di Nevo non è lo stesso vecchio di un film di Moretti. Altri sono i passati, i vissuti, i contesti. O la formazione etica, psicologica, religiosa. Come avviene proprio in questo libro.
Senza conoscere la storia mistica del Pardès quanti riusciranno a capire cosa l’autore voleva dirci davvero? Quanti si aggrapperanno alla parola “Eden” immaginandosi la passione, il peccato, la colpa, la mela e il serpente quando invece non si tratta del giardino della lussuria ma del frutteto della conoscenza? La sensazione cioè è che ci sia un gap tra lettori non ebrei e i lettori che conoscono le sfumature di un contesto in cui sono cresciuti. La letteratura serve anche a creare ponti, ad accendere curiosità, quindi ben vengano i libri spesso stupendi degli scrittori israeliani. E speriamo che sia sempre possibile ascoltarli, avere l’occasione e lo stimolo per capire da dove nasce la loro ispirazione, in modo che il pubblico abbia strumenti di interpretazione affilati per addentrarsi nel giardino della letteratura. Forse sarebbe stato necessario fare questo passaggio prima di trasporre una vicenda situata in un condominio Tel Aviv nella borghesia romana, saltando a piè pari l’ambientazione di Nevo, secondo l’abitudine tutta italiana (che ormai detta legge anche nei romanzi) che basta la storia, il plot, bastano i comportamenti; dei personaggi non è necessario conoscere il passato, le radici, i motivi delle loro azioni o del loro destino, basta osservarne gli effetti. Godiamoci la trama casual, senza porci troppe questioni complicate. Solo che quello che rende i personaggi di Nevo complessi e interessanti è proprio che hanno una memoria, che l’autore ha un legame non solo geografico ma culturale e morale con il suo paese, che per lui il Pardès non è quello della mela e del serpente ma quello dei quattro rabbini.
Magari ci pensino un attimo i prossimi registi prima di trarne un film.