Di cosa parliamo quando parliamo di scrittura? Le risposte dell’ironico e immaginifico scrittore israeliano
Intelligente, originale, mai banale, umile. Stiamo parlando di Etgar Keret, ovviamente. E la lista degli aggettivi potrebbe continuare all’infinito. Si è svolto domenica scorsa, 21 novembre, il tanto annunciato incontro Esercizi di immaginazione che ha visto lo scrittore israeliano sul palco di Bookcity, grazie all’organizzazione del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea e alla Rassegna di nuovo cinema ebraico e israeliano. Di sicuro Keret non ha deluso le aspettative del suo pubblico, accorso come sempre numeroso ad ascoltarlo.
Come abbiamo più volte affermato, Keret non è soltanto uno scrittore straordinario, che ha rivoluzionato la letteratura israeliana, ma un artista eclettico, capace di sperimentare ogni genere espressivo disponibile, dal cinema ai fumetti, dall’animazione alle serie televisive (L’agent immobilizer, scritta insieme alla moglie Shira Geffen, e prodotta dalla rete francese Arte). Al centro dell’incontro c’è stato, infatti, il cortometraggio Outside, un piccolo capolavoro, anch’esso esito di una felice collaborazione, questa volta con la coreografa Inbal Pinto. Outside è la rielaborazione in danza e immagini dell’omonimo racconto di Keret pubblicato sul New York Magazine nel luglio del 2020 e incentrato sulla recente esperienza del lockdown e della pandemia. “Tre giorni dopo la revoca del coprifuoco, era chiaro che nessuno aveva intenzione di uscire da casa”: Outside è innanzitutto la fotografia perfetta di un momento che tutti, presto o tardi, abbiamo vissuto, un trauma globale dal quale non è possibile prescindere.
Attento com’è ai più minuti mutamenti della società ‒ non solo quella israeliana ‒ Keret ha dedicato una lunga riflessione su questo tema, soffermandosi soprattutto su quella che ha definito la “forza d’inerzia”, il motore che conduce le vite di noi tutti, spesso in una maniera così sottile da risultare impercettibile. Il lockdown ci ha obbligati ogni giorno a reinventare noi stessi in forme differenti, con nuovi modi per intrattenerci, per guidarci verso la fine dell’incubo. Se, come lo stesso Keret ci ha ricordato, uno scrittore di storie brevi è un individuo preparato per sua natura ad assumere identità diverse, l’arresto forzato di molte attività connesse alla scrittura ‒ ad esempio gli incontri col pubblico, soprattutto all’estero ‒ lo ha obbligato ha trovare forme alternative per raggiungere i lettori. Da qui è nata la scelta di aprire una newsletter sulla piattaforma Substack, The Alphabet Soup, il cui successo è stato tale che anche il celeberrimo Salman Rushdie ha deciso di imitare Keret, pubblicandovi addirittura il prossimo romanzo a puntate. Se amate il genere, affrettatevi a iscrivervi! Potrete interagire direttamente con lo scrittore, ponendogli domande ‒ “chiedetemi tutto quello che volete, da ‘qual è il significato della vita’ a ‘porti un parrucchino’” ‒ giocando con lui a Obbligo o verità, oppure suggerendogli l’argomento per una nuova storia. Se sarete abbastanza originali, Keret potrebbe finire per dare il vostro nome a uno dei molti teneri perdenti che popolano i suoi racconti. I personaggi di successo no, perché non vuole essere accusato di favoritismi.
In ogni caso, la chiave di tutto è l’immaginazione, un’arte che Keret ha appreso per la prima volta dalle labbra di suo padre, un superstite della Shoah, il quale durante la guerra, da ragazzino, ha vissuto per oltre un anno nascosto in una buca nel terreno, immaginando altri mondi possibili, mondi assurdi, dove, ad esempio, i nazisti non esistevano o, eventualmente, cercavano gli ebrei soltanto per dare loro caramelle. In altre parole, la sopravvivenza dell’uomo in circostanze estreme è dovuta anche alle infinite possibilità della sua mente. Eppure Keret non ritiene che la letteratura debba essere considerata come una fonte di salvezza collettiva, una sorta di religione laica i cui sacerdoti – gli scrittori – detengono ogni segreto dell’esistere. L’umiltà, a suo parere, è la grande lezione che la letteratura ci insegna, con la certezza di aver offerto al mondo e alla società un contributo personale, piccolo o grande che sia. Nel caso di Keret – inutile dirlo – un contributo enorme.
Sara Ferrari insegna Lingua e Cultura Ebraica presso l’Università degli Studi di Milano ed ebraico biblico presso il Centro Culturale Protestante della stessa città. Si occupa di letteratura ebraica moderna e contemporanea, principalmente di poesia, con alcune incursioni in ambito cinematografico. Tra le sue pubblicazioni: Forte come la morte è l’amore. Tremila anni di poesia d’amore ebraica (Salomone Belforte Editore, 2007); La notte tace. La Shoah nella poesia ebraica (Salomone Belforte Editore, 2010), Poeti e poesie della Bibbia (Claudiana editrice, 2018). Ha tradotto e curato le edizioni italiane di Yehuda Amichai, Nel giardino pubblico (A Oriente!, 2008) e Uri Orlev, Poesie scritte a tredici anni a Bergen-Belsen (Editrice La Giuntina, 2013).