Riflessioni sulla via di casa, una sera di fine estate di un paio di settimane fa, in attesa di celebrare il capodanno ebraico.
Le calde giornate estive stanno andandosene senza che ce ne rendiamo conto e già si sente l’aria rinfrescarsi a inizio sera. Mentre le persone rincasano nella tenue luce del crepuscolo, circondate dai profumi dell’autunno, guardo il telefono e nell’angolo dello schermo leggo la data ebraica: in meno di due settimane sarà Rosh Hashanà, l’inizio dell’anno e il giorno che tradizionalmente segna il nostro apprezzamento del Regno di Dio, la base del nostro credo. Dieco giorni dopo sarà Yom Kippur, il giorno del pentimento- il tempo della riverenza, del potere, della grazia e del perdono – sùbito seguito da Sukkot e Simchat Torah, festività di gioia e felicità.
Mi hanno sempre detto che il mese di Elul viene dall’ebraico “אני לדודי ודודי לי” [ani ledodi vedodi li] – “Io sono per il mio amato e il mio amato per me”. Spesso inteso come simbolo dell’amore divino per ognuno di noi e come un messaggio per questo periodo dell’anno in cui, mentre le giornate che si accorciano, dovremmo riavvicinarci al nostro amato Dio e pentirci.
Camminando per le strade che si stavano svuotando, mi è venuta in mente una domanda: se lo scopo del mese di Elul è di essere più vicini a Dio e quello di Rosh Hashanà è di riaffermare il nostro impegno al suo Regno, perchè ci pentiamo solo dieci giorni dopo, a Kippur? Non dovremmo pentirci prima e solo dopo, una volta che siamo stati perdonati, riconfermare in modo puro la nostra dedizione nei confronti di Dio?
Cercando una risposta, scopro che non sono la prima persona a porsi questa domanda e che uno dei più grandi Maestri del Mussar, Rabbi Israel di Salant, risponde dicendo che voler attaccarsi all’amore di Dio a Elul non basta per un sincero pentimento e che, di conseguenza, è solo dopo la scossa di Rosh Hashanà, dove affermiamo il potere supremo di Dio, che siamo motivati abbastanza per chiedere perdono per i nostri peccati. Altri rispondono che Rosh Hashanà è anche parte del giorno del giudizio e l’inizio del processo che culmina a Yom Kippur.
A volte, ci dimentichiamo quanto siamo necessari gli uni agli altri
e ci riesce difficile vedere quanto siamo connessi,
fino a che qualcosa di più grande arriva a unirci di nuovo.
Senza voler peccare di tracotanza, vorrei proporre un aspetto leggermente differente, sulla falsariga della prima risposta. Possiamo vedere gli effetti degli estremismi e processi di divisione in tutto il mondo. Ci sono così tanti punti di vista nella sfera pubblica e coloro che si ritrovano su posizioni diametralmente opposte hanno enormi difficoltà a trattare con rispetto gli altri, spesso legittimando la violenza contro quelli che la pensano diversamente. Credo fortemente che ciò accada perché ci dimentichiamo quanto siamo necessari gli uni agli altri e perché a volte ci riesce difficile vedere quanto siamo connessi, fino a che qualcosa di più grande arriva a unirci di nuovo.
Una delle cose più belle della religione è che porta le persone a essere umili: quando pensiamo di essere solo una piccola pedina nella vastità dell’universo e della storia, ci rendiamo conto che le nostre opinioni e le nostre ideologie non sono importanti quanto il bene supremo. Rosh Hashanà ci porta a questo, ci permette di essere umili e ci ricorda la nostra mortalità – la stessa mortalità che ci consente di sforzarci e di raggiungere la consapevolezza che ogni giorno potrebbe essere l’ultimo. Come recita la famosa preghiera cantata da Leonard Cohen: “E chi col fuoco. chi con l’acqua, chi alla luce del sole, chi di notte?” (Who by fire, who by water, who in the sunshine and who in the night time?). Nessuno sa quando arriverà il proprio momento per andarsene e soprattutto, nessuno può dire di essere più importante del bene o del piano supremi.
Avendo questo bene in mente e con un nuovo senso di comunità scevro del nostro orgoglio personale, possiamo cominciare Kippur, coi cuori ardenti di volontà di mettere le cose a posto e di essere certi che l’anno venturo sia esente dal peccato. Questo avviene perché solo dopo che realizziamo quanto piccoli siamo e quanto abbiamo bisogno di restare uniti, possiamo davvero cominciare a realizzarci, espiare e pentirci.
Il mio augurio per tutti noi, di qualsiasi religione – o no – è il seguente: che questa stagione di Festività possa lasciarci con un’accresciuta consapevolezza di chi siamo e di quanto abbiamo bisogno di prenderci cura gli uni degli altri e del resto del pianeta. Mano a mano che i giorni diventano più grigi e che le sere più cupe, rivolgi un sorriso al tuo vicino e una parola gentile a chi ne ha bisogno. Una comunità è molto facile da costruire, molto più difficile da distruggere. Ma soprattutto è la cosa più importante cui possiamo aggrapparci in un mondo che si è perso.
Ronni Gurwicz is a Public Speaking Coach and Ecosystem Sciences Student at Lund University, Sweden. He grew up in the UK and has lived and worked in various countries including Israel and the USA in the teaching, religious and environmental fields.
Ronni Gurwicz è un Public Speaking Coach e studente di Ecosystem Sciences all’Università di Lund in Svezia. È cresciuto nel Regno Unito e ha vissuto e lavorato in diversi paesi, tra cui Israele e USA nei campi dell’educazione, della religione e dell’ambiente.
come cristiano, ma rispettoso e interessato al giudaismo in maniera molto sostenuta, voglio esprimere un pensiero condensato in ” la fede, in generale, qualsiasi fede, ha per i propri adepti , un percorso lastricato di buone, belle e vere intenzioni. tu segui e obbedisci ai miei dettami e, il premio sarà il paradiso, o l’inferno! questo nell’aldilà ma, sulla terra chi è agnello, mite, obbediente, ma imbelle perchè così vuole la fede, patirà e parecchio giacchè molti, ben preparati con costrizioni e terrore, approfitteranno e vinceranno. i cristiani furono perseguitati, gli ebrei furono e lo sono, orrendamente perseguitati. da chi? STRANO: gli altri no. vogliamo stare a guardare? “AM ‘ OL’AM” !….