Cultura
Francesco De Gregori compie 70 anni: come Bob Dylan e Leonard Cohen hanno influenzato la sua arte

Le affinità poetiche con due icone della musica mondiale: artisti senza tempo che hanno raccontato la vita, la morte, i sogni e le speranze. Di ieri e di oggi

Ha reso il volo de La donna cannone una traiettoria ricca di poesia e di emozioni, ha raccontato con eleganza la follia della guerra in Generale, ha fatto mettere il Rimmel a una dea come Venere, ha fatto cavalcare Bufalo Bill nel far west italiano, ha insegnato ai calciatori in erba che un campione non si giudica da un calcio di rigore sbagliato ne La leva calcistica della classe ’68. La sua inconfondibile voce nasale, dalle vocali larghe, è stata imitata da ogni adolescente che si avvicinava allo studio della chitarra. Stiamo parlando naturalmente di Francesco De Gregori, uno dei più importanti cantautori italiani, che oggi taglia il traguardo dei 70 anni.
Nella sua poetica sono evidenti le influenze di due giganti del cantautorato come Leonard Cohen e Bob Dylan: basti pensare che al bardo di Duluth ha dedicato un intero album, Amore e Furto, pubblicato nel 2015. In esso il cantautore romano ha tradotto e interpretato, con amore e con rispetto, undici brani di Dylan. “Tradurre Dylan è stata una grande avventura, in tutti i sensi -ha dichiarato De Gregori – E credo che non avrei mai potuto nemmeno pensare ad un progetto del genere se non avessi amato da sempre il suo straordinario repertorio e il suo incredibile talento di musicista”. Non sono stati né la voce, né il virtuosismo strumentale, né le semplici strutture musicali a rendere Dylan una leggenda, ma un aspetto a cui purtroppo oggi si presta sempre meno attenzione: la parola.
Le sue canzoni sono evocative, ricche di metafore e di figure retoriche, talvolta oscure, ma indubbiamente di grande fascino, proprio come i brani di De Gregori. I due cantautori, divisi da 10 anni esatti di età (Dylan compirà 80 anni il 24 maggio), sono entrambi uomini schivi e riservati che, partendo da piccoli locali in cui erano accompagnati soltanto dalla loro inseparabile sei corde (il Folkstudio di Roma per il “principe”, la fervente scena culturale del Greenwich Village di New York per il Premio Nobel della Letteratura 2016) sono arrivati a esibirsi di fronte a migliaia di persone, in estenuanti “never ending tour” caratterizzati da poche parole e moltissima musica. Un’altra cosa che li accomuna è la ricchezza della loro discografia, frutto di un’ispirazione che è riuscita ad attraversare con intatta freschezza i decenni, che consta di 39 album in studio per Dylan e di 21 per De Gregori: un corpus di opere davvero notevole, senza considerare i numerosi album live e le raccolte dei loro più grandi successi. Come tutti i grandi artisti, anche loro sono stati, in periodi diversi della loro carriera, presi di mira per la loro arte. Come dimenticare la leggendaria esibizione del bardo di Duluth a Newport del 1965, dove, a causa della celebre svolta elettrica dell’album Bringing It All Back Home, pubblicato soltanto due mesi prima, fu contestato dai suoi stessi sostenitori. Accompagnato dalla Paul Butterfield Blues Band, Dylan, al posto della consueta chitarra acustica, si presentò con chitarre elettriche e amplificatori, lasciando di sasso i fan del folk, che lo fischiarono sonoramente per aver “tradito” la purezza della loro musica preferita. Andò perfino peggio a De Gregori il 2 aprile del 1976, quando, nel corso di un concerto al PalaLido di Milano nell’ambito del tour di Bufalo Bill, subì un vero e proprio processo politico da parte di alcuni esponenti di Autonomia Operaia che, dopo aver interrotto più volte il concerto e dopo aver fomentato tafferugli, lo raggiunsero minacciosamente nel camerino e lo riportarono sul palco per una sorta di pubblica gogna, contestandogli di essersi venduto all’industria musicale, di vivere in modo troppo agiato per un “compagno” e di far pagare un biglietto troppo alto agli spettatori (allora era in voga l’idea delirante che i concerti dovessero essere gratuiti, come se non ci fossero decine di persone che lavorano dietro le quinte di un evento).  De Gregori commentò a caldo: “Non canterò mai più in pubblico. Stasera mancava solo l’olio di ricino, poi la scena sarebbe stata completa”. Per un anno e mezzo il cantautore romano si ritirò completamente dalle scene, per fortuna l’amico Lucio Dalla riuscì a convincerlo a intraprendere un tour negli stadi insieme a lui, il leggendario Banana Republic del 1979.
Un altro tratto in comune tra i due cantautori è l’abitudine di modificare costantemente nel tempo le loro canzoni più famose, quasi per prendere le distanze dalla loro mitologia: non icone immutabili, ma materia viva, sottoposta a un work in progress che continua inesorabile nel tempo e che si rinnova a ogni esibizione dei rispettivi never-ending tour. Mentre l’omaggio di De Gregori all’arte di Dylan è esplicito, quello nei confronti di Leonard Cohen è meno evidente, ma non per questo meno interessante, da cercare nei nomi o nelle citazioni nascoste nelle sue canzoni. Nel brano Marianna al bivio, contenuto nell’album album Alice non lo sa del 1973, spiccano i nomi di Marianna e di Suzanne, ovvero le protagoniste delle celebri So long, Marianne e Suzanne di Cohen, mentre il personaggio di Lili Marlene accomuna le canzoni Famous blue raincoat e Alice. Numerosi i punti di contatto tra le canzoni Story of Isaac e La casa di Hilde, pur avendo due temi assai diversi: entrambe le canzoni hanno per protagonisti un padre e un figlio, ma la voce narrante è sempre quella del bambino. In tutti e due i brani la scena si svolge in montagna, durante una salita, così come ricorrono i temi del vino e del sacrificio. D’altra parte, l’amore di De Gregori per Cohen era evidente fin dagli albori della sua carriera, come dimostra il suo live registrato al Folkstudio nel 1970, in cui l’artista eseguiva Suzanne, So long, Marianne e Un letto come un altro, traduzione di Tonight will be fine. Nel 1992 il cantautore romano ha reso omaggio al collega canadese traducendo la sua The future in Il futuro, ma la canzone sarà poi ceduta e registrata dall’amico Mimmo Locasciulli, che ha intitolato così il suo album del 1998.
Gabriele Antonucci
Collaboratore

Giornalista romano, ama la musica sopra ogni altra cosa e, in seconda battuta, scrivere. Autore di un libro su Aretha Franklin e di uno dedicato al Re del Pop, “Michael Jackson. La musica, il messaggio, l’eredità artistica”,  in cui ha coniugato le sue due passioni, collabora con Joimag da Roma


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