Seconda comunità ebraica della Germania, quella sulle sponde del Meno nasce nel XII secolo. Un percorso tra passato e presente
La popolazione ebraica di Francoforte nel 1933 contava più di 26mila membri. Oggi, pur restando la seconda in Germania dopo quella Berlino, è ridotta a poco più di un quarto, circa 7mila anime. Eppure la storia della città sul Meno è segnata fortemente dalla presenza degli ebrei. Che vi risiedono almeno dal XII secolo, ma che già dal secolo successivo hanno dovuto subire periodici pogrom, persecuzioni e deportazioni fino alla devastazione della seconda guerra mondiale. Con l’avvento del nazismo quella che si era ormai affermata come una comunità attiva e integrata nella vita cittadina era stata pressoché cancellata, con oltre 11mila dei suoi membri deportati nei campi di sterminio e quasi tutti gli altri costretti alla fuga. Solo una sua minima parte, circa 400 sopravvissuti, vi avrebbe fatto ritorno alla fine del conflitto. Dal 1947, però, la comunità di Francoforte si è ricostituita, con il rabbino Leopold Neuhaus, sopravvissuto al campo di sterminio di Terezin, incaricato nel 1945 dal governo militare statunitense della sua rifondazione.
Quanto oggi si può vedere della Francoforte ebraica è in parte il risultato di un intenso quanto amorevole lavoro di recupero del passato e in parte la testimonianza di un presente quanto mai vivace. Tra i simboli di questo connubio c’è senz’altro il Museo Ebraico. Si tratta del primo a essere nato in Germania, fondato nel 1988 e antecedente quindi al più famoso di Berlino (inaugurato ufficialmente solo nel 2001). Dislocato in due sedi, una sulle rive del Meno e l’altra poco distante, nell’area dell’antico ghetto, ha come immagine simbolo il primo sito, ospitato in un palazzo dei Rothschild, la famiglia di banchieri ebrei che proprio da Francoforte ha iniziato la sua ascesa.
Affiancato da una struttura moderna realizzata dallo studio Staab Architects, il candido palazzo neoclassico risalente al 1820 del Jüdisches Museum Frankfurt si trova in Bertha-Pappenheim-Platz 1 ed è stato riaperto da poco più di un anno dopo cinque anni di lavori di ristrutturazione. La nuova mostra permanente porta l’emblematico titolo di “Wir sind Jetzt”, traducibile con “Noi siamo ora”. Non è difficile dunque capire come mai la prima parte dell’esposizione, situata al terzo piano dell’edificio, si concentri sul presente e si occupi della storia ebraica dal dopoguerra a oggi. Sempre in questa sezione si racconta come gli ebrei abbiano contribuito a plasmare la città di Francoforte in tutti i settori della vita dopo l’abolizione della ghettizzazione, passando quindi al periodo nazista e trattandone le conseguenze sulla base di biografie selezionate. Scendendo al secondo piano, l’attenzione si sposta sulla religione e sul cambiamento delle tradizioni al suo interno. La nascita di nuove correnti occupa uno spazio privilegiato, dedicato in particolare alla neo ortodossia che all’inizio dell’Ottocento ha mosso i primi passi proprio a Francoforte prima di guadagnare rilevanza mondiale. Passando al primo piano, il fuoco si sposta sulla storia di tre famiglie rappresentative della rilevanza ebraica in città. Accanto a quella dei già citati Rothschild si conosce così quella dei Frank, commercianti e appartenenti alla classe media, e quella, proveniente dall’Europa orientale, dello scrittore e giornalista Valentin Senger. Oltre a conoscere i casi singoli, l’indagine si allarga sulla rilevanza dei rapporti famigliari nel conservare e tramandare di generazione in generazione la cultura ebraica.
La seconda sede espositiva, il Museum Judengasse di Battonnstrasse 47 ha una storia che la dice lunga sui rapporti della comunità ebraica con la città di Francoforte e con la Germania in genere negli anni successivi all’Olocausto. Riconducibile a un dibattito che prende il nome di Börneplatzkonflikt, il conflitto di Börneplatz, la nascita di questa sede espositiva si ricollega a una scoperta archeologica, la più rilevante riguardante un insediamento ebraico dal tardo Medioevo a oggi. Nel corso degli scavi per la costruzione di un edificio amministrativo nell’area della ex Judengasse, nel 1987 vennero alla luce le fondamenta di 19 case e di due bagni rituali. La cosa non avrebbe dovuto stupire nessuno, ma bloccare i lavori, però, sì. Almeno per la comunità ebraica e per quanti erano sensibili a una parte così importante della memoria cittadina.
Sede di quello che viene considerato il più antico ghetto d’Europa, istituito nel 1464 e quindi precedente di mezzo secolo persino a quello Venezia, la Judengasse era la via nella quale gli ebrei di Francoforte, presenti in città come si è visto fin dal 1100, cacciati poi con i pogrom del 1241 e del 1349 e quindi rientrati nel 1360 con il supporto del Codice di residenza ebraico (Stättigkeit), erano stati costretti a risiedere. Almeno fino alla fine del Settecento, quando le truppe francesi distrussero gran parte dei suoi edifici, gli ebrei di Francoforte avevano dovuto occupare le circa 160 case addossate negli appena 330 metri di questa via, obbligati a restarvi rinchiusi la notte oltre che nei giorni di festa.
Revocato ufficialmente solo nel 1811, il ghetto fu presto abbandonato dai residenti più facoltosi, cadendo poi gradualmente in rovina negli anni successivi. Tra il 1874 e il 1884 le sue case ormai inabitabili furono abbattute quasi completamente così come gli altri edifici, con le importanti eccezioni della Green Shield House, che era stata la prima residenza a fine Settecento dei Rothschild, e della Sinagoga Principale, centro del movimento liberale dell’ebraismo riformato consacrata nel 1860. All’estremità meridionale della via, gli ortodossi avevano costruito inoltre la Sinagoga di Börneplatz, che nel novembre del 1938 sarebbe stata distrutta con quella Principale nel corso dei pogrom della cosiddetta Notte dei cristalli.
Alla fine della seconda guerra mondiale, le tracce di quello che per 350 anni era stato il luogo di residenza forzato ma anche il cuore della vita ebraica di Francoforte erano state cancellate pressoché totalmente, fatta salva una targa commemorativa che nel 1946 gli americani avevano fatto erigere dove un tempo sorgeva la Sinagoga di Börneplatz.
Si giunge così senza troppi scossoni e molte omissioni al 1984 e al concorso per la costruzione di un palazzo amministrativo, cosa che fin dall’inizio suscita le proteste della popolazione, ebraica e non solo. Nella primavera del 1987 l’inizio degli scavi porterà alla luce, come prevedibile, i resti dell’antico ghetto, ma nonostante le proteste della cittadinanza, che occuperà Börneplatz accusando la città di “smaltire la storia” e di sopprimere la storia ebraica, i lavori proseguono. Quello che la protesta riesce a ottenere è che cinque delle fondamenta delle antiche case e i due mikveh siano rimossi, conservati e ricostruiti nel seminterrato dell’edificio amministrativo sul sito originale. Il passo successivo sarà l’istituzione del, inaugurato nel 1992, che oggi comprende appunto anche quelle rovine con tanta fatica salvate dalle ruspe e i resti dell’antico cimitero ebraico. Visitare la seconda sede del museo ebraico, che oggi vanta una smagliante nuova veste dopo la ristrutturazione del 2016, significa quindi muoversi tra le fondamenta delle case dell’antico ghetto e da qui addentrarsi nella vita quotidiana negli ebrei di Francoforte negli anni della segregazione.
Adiacente al museo, il cimitero di Battonnstrasse è accessibile varcando un cancello posto sulla via che gli dà il nome. Considerato il luogo di sepoltura ebraico più antico della Germania, era rimasto attivo fino al 1828 per essere quindi devastato dai nazisti, che distrussero 4.666 lapidi delle sue quasi 7mila tombe, le più antiche delle quali risalivano al 1272. Oggi, grazie al recupero dei resti e alla ricollocazione di alcune delle lapidi rimosse, la visita al cimitero resta comunque un’esperienza da fare. In particolare, sarà interessante riconoscere gli stemmi delle famiglie dei defunti riportati sulle pietre tombali con la raffigurazione, caratteristica distintiva di questo cimitero, di animali, creature e oggetti mitici.
Fortemente legata alle proteste di Börneplatz è la Neuer Börneplatz, la piazza pedonale costruita sul retro del famigerato edificio municipale sorto sui resti dell’ex quartiere ebraico. Posta tra Battonnstrasse e Rechneigrabenstrasse, dal 1996 ospita un monumento alle vittime dell’Olocausto progettato dallo studio Hirsch, Lorch und Wandel. L’istallazione è costituita da un cubo centrale di 5 metri di lato costruito con i resti della Judengasse e circondato da 60 alberi piantati su una superficie complessiva di 4.500 metri quadri. La pavimentazione è costituita da ghiaia di basalto, con parte della pianta della distrutta sinagoga Börneplatz contrassegnata da una superficie in asfalto fuso delimitata da una fascia di acciaio. Dal muro dell’adiacente cimitero, lungo 286 metri e posto a nord della piazza, spuntano 11.915 piccoli blocchi di acciaio. Ognuno di essi riporta il nome, le date di nascita e di morte e il luogo di deportazione di ciascuno degli ebrei di Francoforte che furono assassinati nei campi tra il 1933 e il 1945. Sempre sul muro esterno del museo si può distinguere anche la già citata targa commemorativa del 1946.
Passando al presente, l’attuale comunità ebraica di Francoforte è costituita in parte dai discendenti dei sopravvissuti polacchi alla Shoah, affiancati da quelli ungheresi e romeni giunti negli anni Cinquanta, seguiti nel ’68 da quelli cecoslovacchi e, dopo la caduta del muro, da quelli provenienti dall’ex Unione Sovietica. Modello di integrazione e di convivenza tra le più diverse correnti, la comunità di Francoforte rappresenta l’intero spettro religioso ebraico, tanto che dall’ottobre 2007 il suo tempio centrale offre servizi sia ortodossi sia liberali. Unica scampata alle devastazioni naziste in città, quella del Westend è anche una delle poche sinagoghe monumentali sopravvissute alla guerra nell’intera Germania. Era stata fondata nel 1910 come luogo di culto del movimento liberale, dopo che con l’emancipazione gran parte dei suoi membri, perlopiù appartenenti alla nuova borghesia, si erano spostati a vivere nella zona del Westend della città. Disegnata da Franz Roeckle, si distingue architettonicamente per la grande cupola in stile egiziano-assiro che sovrasta l’edificio centrale, caratterizzato sul frontone da un medaglione con un leone araldico stilizzato che regge uno scudo con la stella di David sotto la zampa. Tutto intorno si distribuiscono gli altri edifici di diverse altezze, adibiti alle diverse funzioni della vita comunitaria e destinati a tutti i suoi membri, di qualunque gruppo appartengano. Così, oltre alla sala per il servizio, che può ospitare fino a 1000 persone, vi si trovano anche i locali per l’amministrazione, alcuni appartamenti, una sala di preghiera per il servizio liberale e una utilizzata come aula dagli studenti del Talmud del movimento Chabad.
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.