Breve storia del kibutz conosciuto anche come The International Dance Village
Pur essendo un Paese così giovane, fin dalla sua fondazione, nel 1948, Israele ha sempre mostrato di essere all’avanguardia in tutto: dall’agricoltura all’intelligence, dall’arte contemporanea al cinema.
Non stupisce che anche la danza rappresenti uno dei suoi fiori all’occhiello, sia in patria che all’estero, tanto che la passione e la dedizione per questa disciplina ha portato numerose compagnie israeliane, prima di tutte la Batsheva Dance Company, a esibirsi nei teatri più prestigiosi di tutto il mondo.
Ció che non tutti sanno è che molti dei più grandi danzatori israeliani si sono formati in un piccolo kibbutz al nord di Israele, quasi al confine con il Libano. Si tratta di Ga’aton, conosciuto anche come “The International Dance Village” perché lí si sono formati primi ballerini, non solo israeliani, attratti dalla fama internazionale che caratterizza questa scuola in cui, oltre agli studenti, anche i coreografi arrivano da tutto il mondo. Inclusa l’Italia: “E’ sicuramente una delle migliori scuole al mondo per il numero incredibile di coreografi che ospita” racconta Andrea Costanzo Martini, che qui insegna da anni in uno dei tanti seminari riservati a professionisti. I programmi offerti, infatti, sono diversi, dal corso biennale, analogo ad un diploma universitario di primo livello, a workshop intensivi per professionisti. Nel percorso di studi è previsto anche lo studio dell’ebraico “con lo scopo di permettere agli stranieri di integrarsi perfettamente con la cultura locale, con cui si entra in contatto anche attraverso escursioni che organizziamo in tutto il Paese” spiega Yoni Avital, International Director della Kibbutz Contemporary Dance Company (KCDC), compagnia che oggi vanta una fama mondiale e il cui successo, come spesso accade in Israele, affonda le sue radici in una storia che è anche una storia di resistenza, come quella di Yehudit Arnon, la fondatrice della scuola. Nata nel 1926 in Cecoslovacchia, nel 1944 venne deportata con tutta la famiglia ad Auschwitz, per poi essere spostata, da sola, a Birkenau. Nonostante la condizione di prigionia, non smise mai di danzare, intrattenendo, con la sua danza, i suoi compagni. Fino a quando, scoperta dagli SS, venne obbligata a ballare per loro in occasione della vigilia di di Natale. Essendosi rifiutata, fu costretta a trascorrere la notte al gelo, nel mezzo di una tempesta di neve, durante la quale giura a se stessa che se fosse sopravvissuta, un giorno avrebbe fondato una sua scuola di danza. Terminata la Guerra, nel 1945, a Budapest, conosce un altro superstite, che sposerà nel 1946, per poi raggiungere assieme a lui Israele, nell’anno della sua fondazione, nel 1948. Qui, assieme ad un altro gruppo di sopravvissuti provenienti dall’Ungheria, fondano nello stesso anno Kibbutz Ga’aton, nella Galilea Occidentale, zona che si contraddistingue per la varietà di gruppi etnici che convivono assieme pacificamente.
Nel 1970 il sogno di Yehudit diventa realtà. Da allora sono state ormai formate due generazioni di danzatori, provenienti da tutto il mondo che, attraverso la propria esperienza, portano anche un messaggio di speranza, basato sulla passione per l’arte che accomuna ballerini di ogni origine, appartenenza e religione diverse.
Qui, infatti, il programma biennale apre ogni anno un bando per 100 ballerini, sia israeliani che stranieri: “Sono due anni di danza ininterrotta dal mattino a notte fonda, perché finite le ore accademiche, la sera si va a ballare nel bar del kibbutz, dove arrivano visitatori da ogni parte del Paese” racconta Dana Terracina, ballerina italiana che ora vive e lavora a Tel Aviv e che ha studiato e vissuto a Ga’aton: “Si tratta di un luogo davvero magico, immerso nella natura, in cui ho imparato anche il prezioso valore del silenzio”.
A Ga’aton ha studiato anche Gianni Notarnicola, che oggi fa parte del corpo di ballo di Batsheva: “l’atmosfera che si respira in questo luogo è davvero unica al mondo: un incontro tra danza, natura e spiritualità che mi ha fatto subito sentire a casa e per cui, ancora oggi, sono innamorato di questo Paese. Solo qui – conclude Notarnicola – sono riuscito a esprimermi fino in fondo attraverso il linguaggio della danza. Perché, in Israele, l’innovazione viene sempre incoraggiata, sia nell’high tech che in ogni altra forma di creatività”.
Curatrice presso il Museo Eretz Israel, nasce a Milano nel 1981 e dal 2009 si trasferisce a Tel Aviv per un Dottorato in Antropologia a cui segue un Postdottorato e nel 2016 la nascita di Enrico: 50% italiano, 50% israeliano, come il suo compagno Udi. Collaboratrice dal 2019 per l’Avvenire, ha pubblicato nel 2015 il suo primo romanzo “Life on Mars” (Tiqqun) e nel 2017 “The Israeli Defence Forces’ Representation in Israeli Cinema” (Cambridge Scholars Publishing). Il suo ultimo libro è Tel Aviv – Mondo in tasca, una guida per i cinque sensi alla scoperta della città bianca, Laurana editore.