Viaggio nella città britannica di Spagna
Gibilterra è un luogo eccezionale. E non soltanto per la sua posizione ai confini meridionali dell’Europa, sperone di roccia lanciato verso l’Africa tra l’Atlantico e il Mediterraneo. Posta sotto il dominio britannico dal 1713, la città della Rocca è sempre stata un conteso territorio di passaggio. I primi a conquistarla erano stati i musulmani, nell’VIII secolo, ed era ancora in mano ai mori quando nel 1356 un gruppo di ebrei che vi risiedeva fu catturato dai pirati. La richiesta di aiuto per riscattarli è la prima testimonianza giunta fino a noi di una presenza ebraica, ma non si possono ovviamente escludere insediamenti precedenti.
Quello che si sa per certo è che nel 1474 si stabilì a Gibilterra una delegazione di conversos provenienti da Cordova e Siviglia, guidati da Pedro de Herrera. Le autorità spagnole avevano concesso loro di risiedere in città in cambio del mantenimento di una guarnigione, salvo poi rispedirli nelle terre di origine appena due anni dopo, facendone perdere le tracce. Del resto, la storia ebraica di Gibilterra è stata per anni la storia di conversos e di cripto ebrei in fuga dall’Inquisizione. Molti vi passarono per raggiungere il territorio africano, altri scelsero di fermarsi nella speranza di sfuggire alle persecuzioni della vicina Spagna. Non furono comunque anni semplici, tanto che oggi è difficile ricostruire la presenza di una comunità fino al XVIII secolo. È solo con la conquista di Gibilterra da parte degli inglesi che le cose avrebbero cominciato ad andare un po’ meglio. Al punto che, nel celebrare i trecento anni del dominio inglese, Jonathan Sacks, allora rabbino capo del Regno Unito, nel 2004 parlò di Gibilterra come di uno dei luoghi in cui gli ebrei sono stati più integrati, sorta di faro nell’epoca buia delle persecuzioni e delle espulsioni.
A questo riguardo, è interessante notare come lo stesso scontro tra Spagna e Gran Bretagna sia stato combattuto anche sulla pelle degli ebrei. Nel sottoscrivere il trattato di Utrecht, che nel 1713 ufficializzava il dominio inglese su Gibilterra, gli spagnoli si giocarono una delle loro ultime carte. Tentarono di imporre, pena l’abrogazione del patto, che gli inglesi non offrissero accoglienza per nessun motivo né a mori né a ebrei. Bisognosi della materia prima proveniente dal Marocco e con buona pace del re cattolico, i governanti di Gibilterra non diedero granché peso alle carte bollate. E nel 1729 siglarono un accordo con il sovrano marocchino in cui si stabiliva che i suoi sudditi, ebrei o musulmani che fossero, avrebbero goduto a Gibilterra degli stessi diritti che spettavano ai cittadini britannici che risiedevano nel Maghreb.
Prima ancora, nel 1724, Richard Kane, allora governatore della colonia, aveva concesso agli ebrei locali un appezzamento di terra perché vi costruissero una sinagoga. Oggi nota come la Grande Sinagoga, la Kahal Kadosh Sha’ar HaShamayim è stata il primo tempio della Penisola Iberica a operare dopo il decreto dell’Alhambra. Sede della più antica congregazione ebraica di Gibilterra, è stata fondata ufficialmente nel 1749 dal rabbino sefardita Isaac Nieto. Figlio di David, rabbino capo della congregazione portoghese Bevis Marks di Londra, Isaac era diventato rabbino di Gibilterra quando la comunità locale aveva ormai raggiunto le 600 unità, un terzo della popolazione complessiva. Nonostante le numerose ricostruzioni, che ne hanno modificato anche l’accesso, ora al 47/49 di Engineer Lane, la Sha’ar HaShamayim ricorda tuttora nello stile il tempio londinese dove Nieto era cresciuto nonché la sinagoga di Amsterdam che le aveva fatto da modello.
Nei successivi cento anni Gibilterra vedrà triplicare il numero dei suoi abitanti ebrei. Questi fonderanno altre tre sinagoghe e fino al 1848 seppelliranno i propri morti presso il Jews’ Gate Cemetery, il cimitero inerpicato su Windmill Hill che con le sue lapidi risalenti al Sette e Ottocento è tuttora una delle attrazioni imperdibili per chi visita la riserva naturale dell’altipiano.
Oggi la comunità è nettamente ridimensionata, ma i suoi luoghi di preghiera sono tutti ancora attivi, così come le sue due scuole religiose e il mikvah. Le stime più recenti parlano di poco più di 700 fedeli, ma secondo i membri della comunità i servizi potrebbero far fronte alle esigenze di almeno 2.000 persone, compresi i turisti che possono contare anche su diversi negozi e ristoranti kosher. Particolarmente accoglienti, gli ebrei di Gibilterra si distinguono per un profondo senso della comunità e delle regole, come si può facilmente verificare passeggiando di sabato lungo le vie del centro. Se da una parte si vedranno tanti esercizi con la serranda abbassata, dall’altra, al 91 Irish Town, si troveranno aperte le porte della Etz Chaym. La Piccola Sinagoga occupa i locali di quella che era stata la yeshivah di Isaac Nieto ed è stata fondata nel 1759 dagli ebrei marocchini, insofferenti alla formalità del culto portoghese osservato presso la Grande Sinagoga (o Sinagoga Olandese).
Pare siano state le dispute formali a portare alla fondazione anche della cosiddetta Sinagoga Fiamminga. Se da una parte i marocchini ritenevano troppo severi i riti portoghesi, dall’altra i rappresentanti più rigidi dell’antica congregazione volevano scongiurare un pericoloso allontanamento dalla tradizione. Erano gli albori dell’Ottocento e la comunità ebraica di Gibilterra stava vivendo il suo periodo di massimo splendore. Per farsene un’idea, basta pensare che nel 1805 gli ebrei costituivano la metà della popolazione complessiva della città. La nuova sinagoga era stata costruita all’interno di un giardino su Line Wall Road. Si trattava di un edificio sontuoso, ispirato nello stile oltre che nelle pratiche rituali alla sinagoga sefardita di Amsterdam, nota come la Sinagoga Portoghese. Colpita nel 1913 da un incendio che ne distruggerà gli interni, sarà ricostruita da un architetto italiano che l’arricchirà di elementi in marmo vagamente ispirati a una chiesa cattolica mentre gli esterni manterranno le linee olandesi originarie.
La quarta sinagoga, tuttora aperta come le altre sia per Shabbat sia per le festività, è quella di Abudarham. Prende il nome dal rabbino capo di Gibilterra morto di febbre gialla nel 1804 e occupa gli spazi di quella che era stata la sua Scuola Talmudica, al 19 di Parliament Lane. Fondata nel 1820, doveva offrire a parte dei fedeli della Grande Sinagoga un ambiente più piccolo e informale dove pregare.
Una ventina di anni dopo, nel 1843, la comunità di Gibilterra sarebbe stata così influente da creare anche un quotidiano in ladino, Cronica Israelitica, oltre a sviluppare le proprie attività professionali fino a dominare, nel 1878, la maggior parte del commercio al dettaglio. La stessa lingua parlata in città sarà influenzata dai suoi abitanti ebrei, che tuttora usano anche il ladino o l’arabo, a seconda della loro provenienza. Al tempo stesso, diversi termini del llanito, il dialetto locale costituito da un mix di spagnolo andaluso e inglese britannico, deriverebbero dall’ebraico.
Con il Novecento, e soprattutto con la seconda guerra mondiale, la comunità ebraica ha subito un netto ridimensionamento, pur riuscendo a scampare alla persecuzione nazista. Come il resto della popolazione civile, anche gli ebrei sono stati evacuati in altri territori del Regno Unito per consentire un rafforzamento militare della Rocca. E al termine del conflitto molti hanno scelto di non fare più ritorno a casa. Questo non ha impedito comunque ai pochi rimasti o rientrati di imporsi nella vita sociale cittadina. Tra i nomi ebraici più importanti del dopoguerra spicca quello Joshua Hassan, Primo Ministro dal 1964 al 1969 e dal 1972 al 1987 e, più recentemente, di Solomon Levy, sindaco dal 2008 al 2009.
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.