Suggestioni poetiche a partire dall’anagramma misterico Rota / taro / tora. Un gioco con cui guardare l’anno appena cominciato
Rota / taro / tora è un anagramma dall’aura misterica reso celebre dall’occultista del XIX secolo Eliphas Lévi nel libro La storia della magia (1860), dove è attribuito all’autorità esoterica dell’umanista poliglotta francese Guillaume Postel (1510–1581). Come suggerirebbero la ripetizione e il rimescolamento delle lettere che compongono le tre parole, ruota / tarocchi / torah non costituirebbero entità estranee le une alle altre: i cicli dell’universo, predeterminati o casuali che siano, le carte come strumento divinatorio e la sapienza ebraica possono essere letti come facce differenti con cui codificare la realtà esteriore e soprattutto interiore – e possono anche funzionare assieme.
La storia dei tarocchi come oggetto culturale è ben più complessa e meno sacrale di come le diverse tradizioni esoteriche fanno sembrare: più che di atavici simboli di universalità (più antica sembra una cosa, più ci illudiamo che sia vera), i tarocchi erano in effetti un mazzo di carte nato come gioco in Europa nel Rinascimento – e consacrato come mezzo di divinazione solo un paio di secoli più tardi. Nel mondo fervido di sincretismi culturali che è l’esoterismo moderno, non mancheranno le combinazioni tra taro e tora, tra tarocchi e sapienza ebraica. È il caso del mazzo di tarocchi elaborato da Oswald Wirth (1860–1943), occultista svizzero perito, tra l’altro, di cartomanzia e massoneria. Qui troviamo associata a ciascuno dei 22 arcani maggiori dei tarocchi una delle 22 lettere dell’alfabeto ebraico.
E, per chi sappia maneggiare la lingua ebraica, le possibilità di divinazione – o, forse, di gioco – si moltiplicano: dall’estrazione di un set fortuito di carte si potrà ricavare non solo l’interpretazione di una combinazione di simboli visuali ma anche, alle volte, la lettura di una parola, aggiungendo senso ulteriore a quel che il Caso o il Destino hanno posto davanti agli occhi. Non è però l’unica via di ricerca di messaggi asconditi: vale infatti anche il procedimento inverso. Ovvero, una parola ebraica può essere scomposta negli arcani corrispondenti alle lettere che la compongono, aprendo uno spiraglio immaginativo e inaspettato fatto di congiunture arbitrarie e accidentali – e, proprio per questo, poetiche.
Perché allora non tentare un esperimento poetico, per l’appunto? Quello passato è stato un anno dove la scienza ha fatto – giustamente – da padrona. A mo’ di rito di passaggio, concediamoci un po’ di poesia e magia, senza pretese. Prendiamo allora – come si suole a inizio annata solare – l’oroscopo: cosa avrà da dire ciascun segno dello zodiaco quando interrogato “cabalisticamente”? Ecco dunque un frammento visivo per ciascuna delle combinazioni di tarocchi che corrispondono al nome ebraico dei segni zodiacali. In fondo, è pur sempre un gioco.
1 ARIETE – TALEH – טלה
L’eremita / L’appeso / Il papa
Non è buio e tuttavia la lampada dell’esperienza dondola di fronte alle ciglia cieche. È un bastone messo in mano da chissà chi a fare da avanguardia. Sarà il sentiero giusto, vero, buono? Poco importa perché il piede cade in fallo: un laccio agguanta la caviglia ed è subito sottosopra. Lo sguardo finalmente dissipa la cataratta di nebbia e si apre allo stesso orizzonte che diviene più nitido perché la lente si è capovolta. Con un colpo di reni si può sbrigliare l’impiglio e raddrizzare la prospettiva ancora una volta. Allora quel bastone pretenzioso lucerà della propria sostanza – una prova del fuoco – e adempirà alla propria funzione: illustrare la via a chi chiede un consiglio canuto.
2 TORO – SHOR – שור
Il matto / L’innamorato / Il giudizio
Per il mezzadro con l’aratro, il trucco è arretrare in un ciclo infinito: guardare alle spalle, osservando la strada percorsa, e illudersi di proseguire quando sono le proprie impronte che si seguono. Evita il baratro, certo, ma finisce per calpestare i radi rigogli di natura. La natura, però, ne sa di più – e la rotazione terrestre, coi suoi magnetismi esoterici, introduce a tradimento un bivio. Due vie e ciascuna emana esalazioni floreali o miraggi di cristalli. Lo stallo scalda il cuore, finché il sibilo della spada di Damocle sfreccia tra i riccioli ingenui. Non resta che mettere in piedi la propria dimora su questo pianeta: il proprio posto al mondo è quello che si riflette negli occhi di chi sta intorno.
3 GEMELLI – TE’OMIM – תאומים
Il mondo / Il bagatto / La morte / La ruota
La vita è un teatro dal pubblico puntiglioso: coi riflettori addosso, la perizia delle dita sfoglia gli assi nelle maniche. Strumenti svariati di meraviglia e presenza scenica centrifugano le attenzioni. In attesa, invano, degli applausi. Ecco, infine, la maschera perlata degli epiloghi sospesi. Spazza via gli arredi custoditi tra le quinte e, forse, oltre la quarta parete, i rimasugli anatomici dei critici mortificati dall’attore. Ma chi è, in fondo, il protagonista della narrazione: chi l’architetta o chi vi assiste? Il poligrafo post-moderno rimesta le carte del vero, del finto, del dissimulato, del taciuto. Al richiudersi di ogni sipario, già redige il canovaccio della notte seguente.
4 CANCRO – SARTON – סרטון
Il diavolo / Il giudizio / L’eremita
La fiammella dell’interferenza sociale anima l’antro oscuro dell’interiorità scissa, proiettando ombre vellutate e piroette scintillanti sulla superficie umida di stalattiti. Un fruscio sonnolento di ali membranose da pipistrello riscalda il processo alchemico della riflessione creativa. Quand’è tempo di uscire allo scoperto, non senza trilli di tromba da annunciazione apocalittica, le mani si aggrappano ai capelli – e le teste si scuotono calve. La missione profetica è compiuta anche a questo giro di luna. Ammantato di porpora e individualismo, il solitario si allontana.
5 LEONE – ARIEH – אריה
Il bagatto / Il giudizio / La ruota
Un altro prestigiatore dei propri talenti, perito di autoconsapevolezza e smargiasso a puntino. È, però, uno che quando sfonda la quarta parete sa fare l’occhiolino al pubblico. Non teme i pomodori sul palcoscenico né gli applausi di cortesia: sa leggere l’assenso collettivo e incanalare lo stupore sotto il riflettore più atto – al gusto proprio e al bisogno altrui, o viceversa. Quando tutti pendono dalle labbra del sicofante, i casi sono due: o sono le sue parole ben calibrate a scombussolare l’aula o, a scaraventare i deretani giù dalle poltrone, è una scossa di terremoto. E chissà chi ha minato i pilastri del cosmo. Qualcuno lassù? Il monologhista quaggiù? Lo spettatore lassù che batte i piedi scompisciandosi per la commedia quaggiù? Quando si sa tenere la scena è facile montarsi la testa.
6 VERGINE – BETULAH – בתולה
La papessa / Il mondo / L’appeso
È vergine perché tiene stretto un diaframma di sacertà, una cortina trapunta di saggezza così naturale da risultare sospetta. La sua modestia non arrossa le guance di imbarazzo villano, ma imbianca il marmo degli zigomi alteri con la nonchalance urbana di chi su un trono di cattedrale ci è nato e – soprattutto – ci sta bene. Dall’altare dell’introspezione la vista toglie il fiato: le concause e le coincidenze nel mondo là fuori appaiono nitide come a volo d’uccello, dinamiche e sinergiche come la migrazione di una mandria esotica. La sacra sapienza, tuttavia, è un monolite che ha senso adorare quando si regge in piedi, sì, ma ancor di più quando rovina al suolo, perché induce a rovesciare il capo di novanta gradi per poter apprezzare con gli occhi la sua estensione materiale. E allora, con la testa in giù o giù di lì, il mondo di prima cambia connotati. Ricordatelo alla vergine!
7 BILANCIA – MOZNAYIM – מאזניים
La morte / Il bagatto / Il carro / La temperanza
Ogni mutazione è un lutto: la pelle di serpente abbandonata sull’erba fresca si bagna di lacrime contemplative. Lacrime sprecate, perché le scaglie secche non si rimpolperanno di carne, nuova o vecchia che sia. Tanto vale versarle – queste lacrime che abbondano – in un alambicco sterile. E, visto che tanto abbondano, dileguarle sul nocciolo fecale dei grumi di dolore. Sono tante e tanto sarà lo spazio-tempo per sperimentare. Finché, eureka!, la formula magica: l’alchimista festeggia inebriato dalle esalazioni speziate della materia trasmutata, stringendo la dolce medicina al cuore (non più) malandato. Attenzione, però: non è una panacea. Il farmaco va stemperato a seconda del clima, del male e del paziente.
8 SCORPIONE – ‘AQRAV – עקרב
La torre / Il sole / Il giudizio / La papessa
E fu sera e fu mattina. I luminari d’argento e d’oro si avvicendano nel firmamento, prima nero poi celeste, poi nero e ancora di nuovo celeste. Tutto muta e niente cambia. Vano come il vento, diceva l’Ecclesiaste. Due millenni e più sono trascorsi e tutto è mutato e niente è cambiato. Il nichilista si impunta e non si scolla da una duna anonima del deserto. Si cosparge il capo di cenere e getta polvere sugli occhi degli anacoreti sconsolati del suo eremo. Si scava la fossa – perché tutto muta e niente cambia – e vorrebbe che gli altri facessero lo stesso. E, in quella trincea di atarassia, ecco che qualcosa infine cambia: si ripulisce della cenere e si incorona di alloro, eleggendosi pontefice di se stesso. È un pontefice, però, che, per brillare di luce propria, i ponti li taglia e non li riallaccia. E fu sera e fu mattina.
9 SAGITTARIO – QESHET – קשת
Il sole / Il matto / Il mondo
I raggi si tendono miti alla mattina presto, la battigia ancora fresca di brezza e iodio. In poche ore il calore esplode in una bolla di fuoco insostenibile, salato e pungente. Non resta che puntare alla via di scampo più prossima: saltellando sulla sabbia con le piante dei piedi arse, schivando conchiglie sbeccate e alghe macerate, con impaccio sudaticcio malcelato in atletismo ostentato – ecco che le onde sempre algide assicurano ristoro. Dalle caviglie alla vita e dalla vita alla punta del naso, la salvezza è liquida. Se non che il fluido della quiete offre riparo anche a meduse sonnacchiose e nondimeno moleste: i tentacoli violacei si avvinghiano a una coscia e lo scotto sottomarino brucia più del sole di mezzogiorno. Non era questo il posto giusto – la prossima volta in montagna. O semmai al lago.
10 CAPRICORNO – GHEDI – גדי
L’imperatrice / L’imperatore / La ruota
Veste di porpora e cobalto, indossa un diadema prezioso, impugna in una mano un vessillo di potere e nell’altra un sigillo di senso. (Lui o lei?) Poggia le poderose natiche nobiliari sul globo sublunare ma, sopra all’ombelico, scintilla della luce riflessa dagli astri del cielo. (Ma lei o lui?) È un’icona di stabilità aurea a cui invocare preci di desiderio o di gratitudine. (È lei? È lui? Chi è?) Ma come “Chi è?”! Chi sarebbe lei e chi sarebbe lui?! Non c’è nessun lui e non c’è nessuna lei. Ci sei tu. Talvolta sei più lei – quando accogli con le braccia quel che capita. Talvolta sei più lui – quando scalci via quello che combini. Il sé è androgino e la fortuna non dà in lotto una faccia sola. In fondo chi meglio di Giano bifronte può porgere l’altra guancia?
11 ACQUARIO – DELI – דלי
L’imperatore / L’appeso / La ruota
“Il re è morto – viva il re!”. Aspettate però. Non basta che un figlio succeda al padre per sventare un regime antico. Lo status quo è duro a morire, tenace come gramigna, incartapecorito come un manoscritto sepolto in una grotta. Neanche paramenti di gemme e fili di seta riescono a rispolverare il tempismo di una mummia imperiale – eppure non c’è suddito o visitatore che non zittisca in soggezione. È vero che, a corsi e ricorsi, la rivoluzione seduce e tenta, con successo, ad alterare l’ordine. I morti si condannano all’oblio e i vivi alla forca. Non c’è restaurazione senza vestigia sbaragliate. Fino al prossimo ciclo – quando il boia verrà appeso da un vassallo malcontento. E così via all’infinito. Lo storico lo sa bene. È il suo mestiere dipanare il passato per accettare, senza rancore, il futuro.
12 PESCI – DAGIM – דגים
L’imperatore / L’imperatrice / La morte
Ciascuno è figlio di qualcuno. Corporalmente, porta nelle vene gradini a pioli rubati a un padre e a una madre. La natura è cruda più che crudele: il torto o il dritto lo fa chi quella materia grezza la cucina. Arrosto con contorno di verdure di stagione o all’occhio di bue con una spruzzata di sale grosso. Ciascuno ha qualcuno che lo educa nelle arti gastronomiche. Per ciascuno, c’è qualcuno che in cucina rimarrà sempre mentore insuperabile: è per questo che l’apprendista non fiata quando sente il fiato sul collo del maestro che “No! Troppo pepe! No! Poco cardamomo!”. Eppure alla fine succede, ineluttabilmente. Alla fine: qualcuno – o ciascuno – se ne va e l’apprendistato si chiude, spesso come una porta che sbatte. Perché, alla fine, fa male ma d’altronde non si può essere figli per sempre.
Ilaria Briata è dottore di ricerca in Lingua e cultura ebraica all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha pubblicato con Paideia Editrice Due trattati rabbinici di galateo. Derek Eres Rabbah e Derek Eres Zuta. Ha collaborato con il progetto E.S.THE.R dell’Università di Verona sul teatro degli ebrei sefarditi in Italia. Clericus vagans, non smette di setacciare l’Europa e il Mediterraneo alla ricerca di cose bizzarre e dimenticate, ebraiche e non, ma soprattutto ebraiche.