Dialogo con rav Haim Fabrizio Cipriani intorno alla festività
La festa di Hanukkah quest’anno ha significati particolari. Il fatto di non avere un animo pronto a festeggiare la rende un appuntamento molto diverso dal solito e la storia stessa su cui si basa, fa riflettere. Ne abbiamo parlato con rav Haim Fabrizio Cipriani.
Che valore ha Hanukkah quest’ anno?
Sicuramente possiamo trovarne diversi, ma uno che mi è particolarmente chiaro è quello di reinaugurare. Hanukkah non celebra infatti una inaugurazione, ma una reinaugurazione del Tempio. Credo che sia un punto importante. Dopo questa fase estremamente critica per la storia ebraica sarà necessario trovare nuove modalità di espressione, e nuove forme di energia spirituale.
Luce e tenebre: una lettura del/sul presente?
Quella fra luce e tenebre è una dicotomia talvolta tracciata in maniera troppo netta. Anticamente l’idea della scuola rabbinica di Hillel, per esempio, era di aumentare il numero di lumi ogni sera, ma secondo la scuola del contemporaneo Shammay il numero di lumi doveva invece diminuire. In entrambi i casi però c’è un movimento, un ricordare che ci troviamo sempre in uno stato oscillatorio fra diversi gradi di luce e tenebra. Oggi senza dubbio una serie di voci e di atti sono volti a nascondere la dignità e lo splendore del popolo ebraico e delle sue emanazioni culturali, spirituali e politiche, relegandole a una tenebra che non possiamo e non dobbiamo accettare.
Si festeggia una rivolta: che significato e che valore ha dal punto di vista etico e teologico?
In realtà non è del tutto esatto. La rivolta e la guerra che ne seguì furono mezzi necessari per acquisire la libertà e l’autonomia necessarie a vivere in pace e soprattutto in armonia spirituale con la propria identità. I testi rabbinici, a partire dal Talmud, fanno infatti riferimento molto limitato all’aspetto della rivolta e della guerra, ed enfatizzano il miracolo dell’olio, che la festa celebra. Non a caso i Maestri scelsero come motto per la festa il verso di Zaccaria: “Non nella prodezza né nella forza, ma nel mio spirito” [Zac. 4:6]. Proprio perché il conflitto, anche quando è inevitabile, non deve diventare un elemento centrale, ma sempre rimanere un mezzo che tende verso un fine più elevato.
E il senso dell’olio miracoloso? Potrebbe essere una metafora della forza miracolosa che ha l’uomo in termini di resilienza?
Certamente sì. Il miracolo qui è la capacità dell’ebraismo di rinascere anche quando sembra ormai spento dalle forze, esterne ma talvolta anche interne, che lo vorrebbero relegato a una dimensione museale.
Quali sono i suoi auguri per Hanukkah?
Il più grande miracolo di Hanukkah non fu che l’olio durasse otto giorni, ma che si trovasse una fiala d’olio e la motivazione per accendere nonostante la fonte d’energia apparisse insufficiente.
Per prima cosa auguro che i nostri ostaggi tornino alle loro case, che lo Stato d’Israele ritrovi pace e unità e che le sofferenze di tutti, senza eccezioni, possano avere fine. Auguro anche un’energia nuova nell’ebraismo mondiale, che sia in grado di trovare quella fiala d’olio in modo non solo di continuare il cammino ebraico, ma di rivitalizzarlo e nutrirlo in modo creativo. Troppo spesso ci si è accontentati, metaforicamente parlando, di riaccendere sempre la stessa candela. Un ebraismo vitale richiede invece una crescita costante e quindi anche una capacità di rinnovamento. “Si cresce in Kedushà/Distinzione, e non si diminuisce” [Rashi, TB Meghillà 26a s.v. אבל מכרו תורה].
Personaggi e interpreti della storia di Hanukkah. Chi sono e perché diventano esempi emblematici per noi?
La cultura ebraica tende a non avere veri e propri eroi. La forza dei suoi personaggi è proprio quella di essere invece persone normali con le loro luci e oscurità, per riprendere la metafora di prima. A maggior ragione nel momento in cui lasciano prevalere la luce è come se squarciassero un velo e la loro visione si ampliasse dando loro la forza e la determinazione per agire in un modo che potrebbe essere definito come eroico. Nel caso di Hanukkah intanto va osservato che tutti i personaggi sono presentati in libri che non appartengono al Canone ebraico anche perché esistevano solo in greco, aspetto particolare per una celebrazione che ricorda l’opposizione proprio alla cultura greca.
Fra le figure di rilievo abbiamo i Maccabei che chiaramente vedono nel trattamento riservato al popolo ebraico e nell’accettazione supina e spesso condiscendente di modelli di vita greci, la perdita dell’identità ebraica, di valori fondanti e fondativi, di autonomia e diversità, quella distinzione che è scintilla nella piatta uniformità.
Hanna/Anna e Yehudit/Giuditta portano invece la luce della forza d’animo. Yehudit mostra grande coraggio, il suo intelletto è illuminato dall’arguzia, e rapida e decisa agisce senza timore per l’intera collettività a rischio della vita. Hanna è il simbolo di una madre forte che davanti al dolore per la perdita dei figli non rinnega la sua identità e vive con emunà, con fiducia. La morte di Hanna e dei suoi figli non è fine a sé stessa, scatenerà infatti come una risposta immunitaria contro la dominazione “aliena”, risposta che come un domino guiderà le eroiche sollevazioni contro il dominio politico e culturale straniero.
È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.