Storia di un luogo magico e del suo altrettanto magico padrone di casa. Anzi no, di due amiche che con una magia… salvano una biblioteca dal valore inestimabile
Una storia a lieto fine. Quella del CYCO, l’Yiddish Book Center di New York, ha tutte le carte in regola per essere narrata come una favola moderna. E se ci sarà un happy end lo si dovrà a un variegato quanto agguerrito gruppo di persone, unite da una determinazione rara oltre che da un impagabile idealismo.
A raccontare la storia di questo luogo simbolo della lingua e cultura yiddish al New York Jewish Week è stato il suo stesso responsabile, Hy Wolfe. Nato nell’immediato dopoguerra a Brownsville, enclave ebraica di Brooklyn, Hy è figlio di due sopravvissuti all’Olocausto. Ex attore di teatro e della tv, cresce circondato da persone che parlano yiddish e porta anche nel suo lavoro la lingua dei suoi nonni. Sarà proprio la sua professione a farlo entrare per la prima volta al CYCO mentre è in cerca di nuovo materiale da mettere in scena. È il 1998 e da allora non si staccherà più dal centro, organizzando eventi, catalogando (a modo suo) parte dei circa 80mila libri, servendo tè a visitatori e clienti e mescolando proverbi yiddish con citazioni shakespeariane. Tutto questo prevalentemente senza stipendio, mosso unicamente dal desiderio di tenere in vita un mondo che sta rischiando di scomparire.
Del resto, lo stesso CYCO Yiddish Book Center era stato istituito nel 1938 a Manhattan per offrire a scrittori e lettori yiddish un rifugio sicuro mentre l’antisemitismo stava crescendo in Europa e il futuro della stessa lingua era a rischio. Negli oltre otto decenni successivi il centro diventerà anche casa editrice, pubblicando quasi 300 titoli, ma soprattutto si rivelerà un rifugio sicuro per gli amanti dell’yiddish quando la pubblicazione di libri in questa lingua stava diventando difficile e pericolosa in Europa. Dalla sede principale di New York nasceranno diverse filiali, in luoghi vicini come Paterson, nel New Jersey, o in altri ben più lontani come l’Argentina, ma solo quella principale supererà la prova del tempo, soprattutto grazie al sostegno della Fondazione Atran.
L’istituzione, che dal 1965 sovvenzionava il CYCO, portava avanti l’impegno di Frank Z. Atran, filantropo milionario che in gioventù aveva militato nel Jewish Labour Bund e che aveva offerto al centro una sede, insieme ad altre istituzioni letterarie del mondo yiddish di sinistra, in un edificio sulla Settantottesima East Street a Manhattan. Come ricorda in un articolo scritto per The New York Review l’artista e scrittrice Molly Crabapple, una delle principali artefici del salvataggio del CYCO, gli anni del secondo dopoguerra non erano stati gentili con l’yiddish, lingua repressa in Unione Sovietica, trascurata in Israele e in gran parte abbandonata negli Stati Uniti: “CYCO era una delle poche istituzioni che continuavano ad andare avanti, con la fede che un giorno una nuova generazione avrebbe capito che questa era la loro lingua, un’eredità che valeva la pena salvare”.
Arriviamo così ai giorni nostri, per la precisione al 2019. È questo l’anno in cui la fondazione Atran decide di sospendere le sovvenzioni al centro, ritenendolo una causa persa dal punto di vista imprenditoriale, ma è anche quello in cui, fortunatamente, Molly entra per la prima volta in contatto con il CYCO e con il suo affascinante padrone di casa. Giunta in quella che dal 2012 è la nuova sede della libreria, in un magazzino di Long Island City, durante gli studi per la stesura di un libro sul Bund, la scrittrice non vi trova solo la storia ufficiale del partito ebraico insieme a mille altri cimeli religiosamente custoditi, ma anche una nuova ragione di lotta.
Ex modella e ballerina di burlesque, newyorkese con padre portoricano e madre ebrea figlia di un immigrato bielorusso, la Crabapple è nota non solo per le sue opere, alcune delle quali sono conservate nella permanente del Museum of Modern Art, ma anche per il suo impegno come attivista, tra cui l’occupazione di Wall Street nel settembre del 2011. Molly viene subito conquistata dalla storia del CYCO e dal modo fuori dal tempo in cui Hy lo gestisce. Praticamente senza uno stipendio, l’ex attore non ha mai indicizzato completamente le collezioni né tanto meno le ha messe online, apre solo su appuntamento senza l’ombra di un controllo all’ingresso e spesso senza neppure la richiesta di un pagamento per i libri. Lui stesso si racconta così al Jewish Week: “Non sono un buon uomo d’affari. È questa la verità. Non chiederò mai soldi a qualcuno. Entrano molti studenti che non hanno soldi. Dico loro: ‘Quando li avrai e avrai un lavoro, devi ricordare il tuo impegno nei nostri confronti e inviarci una donazione’. Ecco chi sono per una stretta di mano”. Facile capire con quanta difficoltà l’istituzione a lui affidata potesse andare avanti senza un sostegno finanziario esterno, con un guadagno annuo che andava mediamente dai 3mila ai 5mila dollari all’anno.
Eppure, saranno proprio la generosità e la disponibilità di Hy a fare la fortuna della sua creatura. Nella stessa intervista dichiara: “Siamo aperti a tutti. Abbiamo rispetto per tutti. Abbiamo attirato molte persone queer, transgender e non binarie. Prima di allora, era stata la volta delle persone disilluse dalla religione. Prima ancora, c’era stato un grande richiamo per quelle disincantate dalla politica”.
Tra le persone attratte dal CYCO arriverà anche quella capace di trovare la soluzione ai suoi problemi. Andando a fargli visita lo scorso autunno, Molly porta infatti da Hy un’amica altrettanto agguerrita e difficilmente etichettabile: l’operatrice culturale, performer, ballerina e attivista Daniel Rosza Lang/Levitsky. Saputo che senza i 20mila euro annuali di sovvenzione il “palazzo dell’yiddish” è destinato a chiudere i battenti, Daniel Rosza propone a Hy quello che lui, già rifiutato da diverse istituzioni pubbliche e private, probabilmente non ha mai neppure preso in considerazione: un crowdfunding.
Pur non essendo mai stata prima al CYCO, Lang/Levitsky capisce subito che salvare il centro significa non solo far sopravvivere l’yiddish “come parte della vita quotidiana”, ma anche far vivere il luogo in cui questo tipo di cultura può sbocciare. Sognando di mantenere aperta la libreria e con essa una sala di lettura con tanto di salotto traboccante canzoni, esibizioni e fermento culturale, che accolga il variegato e comunque in crescita mondo yiddish, Rosza riunisce così sei giovani fedelissimi alla causa sotto la bandiera di Friends of CYCO. Alcuni si occupano di musica, come lei, altri sono insegnanti, traduttori o artisti, tutti sono coscienti del fatto che per far vivere e non solo sopravvivere il centro sia necessario alzare l’asticella. I 30mila dollari previsti da Wolfe per tirare avanti per un altro anno non basteranno a dare una nuova prospettiva al CYCO con orari di apertura regolari, persone addette alla catalogazione ed eventi. Fissato così a 90mila dollari l’obiettivo, i giovani amici della libreria lanciano una raccolta che in poco più di quaranta giorni supera i 62mila dollari, con 650 donatori. Al momento la campagna è ufficialmente chiusa, ma è ancora possibile fare donazioni, anche minime, ricevendo in cambio attestazioni, libri, opere d’arte, spille, targhe e segnalibri.
Da parte sua, Wolfe non potrebbe essere più grato alle sue due nuove amiche e agli altri giovani che stanno lavorando per fare rinascere il centro. Consapevole che CYCO sia un caso più unico che raro di biblioteca laica ma anche di luogo in cui attingere liberamente a un patrimonio culturale immenso, si dice persino disposto, se necessario, a farsi da parte per lasciare spazio alle nuove generazioni. Ma per il momento, e si spera ancora per molto, l’appassionato e coinvolgente padrone di casa di questo luogo incantato è sempre lui, con le sue tazze di tè fumante e i suoi racconti in yiddish e in inglese a cavallo tra due mondi.
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.