Quanti Mosè esistono? Quanti volti ha assunto nella storia? Una carrellata (certamente non esaustiva) per conoscere meglio il grande personaggio biblico
Le interpretazioni, letture e riletture della figura di Mosè sono forse centinaia. Migliaia se si considerano anche quelle che provengono dal mondo dell’arte e cioè dalla pittura, la scultura, la musica, il teatro, la poesia, il romanzo, il cinema e così via. Non stupisce, visto che stiamo parlando del protagonista principale del libro di gran lunga più letto e influente della storia dell’umanità. La tradizione ebraica si confronta con la figura di Mosè fin dall’epoca della composizione dei testi che ne raccontano la storia e poi, con una pluralità di letture, in epoca rabbinica. I midrashim su Mosè, dalla nascita in Egitto alla morte al confine con la terra di Canaan, non si contano. Quella che segue dunque non è e non può essere una rassegna completa sulle interpretazioni della figura del leader che guida il popolo di Israele dalla schiavitù verso la libertà attraverso il deserto, ma una piccola scelta tra le biografie che nel corso dei secoli hanno proposto di Mosè una immagine complessiva originale.
Il dio ingegnere
Artapano è un ebreo di Alessandria che tra II e I secolo a.e.v. scrive un’opera in greco sui patriarchi e l’esodo. Lo scritto non è stato conservato, ma ne leggiamo ampie sezioni riportate in opere successive di cristiani come Eusebio di Cesarea e Clemente alessandrino. Il Mosè di Artapano è un ebreo adottato dalla figlia del faraone che introduce in Egitto tecnologie all’avanguardia per la costruzione dei palazzi e l’irrigazione dei campi, possiede il segreto dei geroglifici di cui insegna la scrittura ai sacerdoti e dà inizio alla filosofia. Artapano è a suo modo un apologeta e tramite la figura di Mosè sostiene la derivazione dall’ebraismo dell’intera civiltà egizia – considerata all’epoca la più antica dell’area mediterranea – con la sua scrittura, le sue arti e la sua organizzazione politico-amministrativa. Il suo Mosè ingegnere e intellettuale viene adorato come un dio con il nome di Hermes. Il successo di Mosè ingelosisce il faraone, che comincia a complottare ai suoi danni. Seguono il confronto tra i due, le piaghe e l’esodo. Qui lo scritto di Artapano diventa un precursore vero e proprio del romanzo fantasy, con un mix di magia, sporadici elementi di razionalità (per esempio quando per spiegare l’apertura del mar Rosso Artapano fa riferimento alle competenze idrauliche del suo eroe-ingegnere, che conosce perfettamente flussi e riflussi delle acque) e tanta, tanta avventura.
Il profeta filosofo
Profeta, gran sacerdote, leader politico e legislatore. È il ritratto che di Mosè fa Filone, anch’egli nato ad Alessandria, circa un secolo dopo Artapano. La Vita di Mosè di Filone è un racconto meno esuberante e fantasioso di quello di Artapano e fondato principalmente sul testo biblico nella versione greca dei Settanta. Mosè, abbandonato dai genitori e divenuto principe, supera eroicamente e miracolosamente una serie di prove e si pone infine alla guida di un popolo di schiavi. L’ebreo Filone, imbevuto di cultura greca, fa di Mosè il modello in cui si realizza la vita perfetta dell’uomo come era descritta dalle scuole filosofiche. Ritraendo Mosè come l’uomo virtuoso per eccellenza, Filone difende la tradizione ebraica contro i suoi detrattori, che già all’epoca non mancavano, e fa opera di proselitismo diffondendo presso i lettori greci i tesori della Bibbia. Non a caso al centro della sua attenzione sta l’opera di legislatore sul Sinai (che invece non sembra interessare Artapano, almeno nelle parti della sua opera conservate), con la quale Mosè fonda i costumi e le regole della tradizione ebraica. Di questa tradizione Filone racconta infine la traduzione in greco da parte dei Settanta, perfetta perché miracolosamente supervisionata dall’afflato divino.
Il mistico cristiano
La figura di Mosè è centrale nel pensiero dei padri della Chiesa. Nella Vita di Mosè Gregorio di Nissa fa del condottiero un modello di vita contemplativa che tipologicamente anticipa il Cristo. È degno di menzione il fatto che proprio mentre i cristiani si appropriano della tradizione biblica, interpretata come anticipatrice dell’avvento, i rabbini discutono dei dettagli della legge orale, cioè delle mitzvot. A partire dagli stessi testi, i padri della Chiesa e i rabbini del Talmud danno origine a due tradizioni diverse l’una centrata sulla contemplazione, cioè la conoscenza, l’altra sull’ortoprassi, quindi l’etica. Tutti i protagonisti della Bibbia vengono trasformati dai primi in santi per l’edificazione dei fedeli. Per Gregorio Mosè rifiuta la dignità reale “come polvere che si fosse attaccata ai suoi piedi”, vive a lungo nel deserto contemplando in solitudine le realtà invisibili, in seguito all’illuminazione che riceve dal roveto che arde senza consumarsi “spogliò la sua anima dei rivestimenti mortali”. Mosè è insomma un santo eremita e un iniziato al mistero divino che compie un percorso di ascensione nella misura in cui, come il mistico di cui è prefigurazione, si avvicina alla divinità. Ogni dettaglio della vicenda di Mosè diventa figura che anticipa: il bambino deposto in una cesta sul Nilo è simbolo del battesimo, il roveto ardente della nascita virginale, la manna del verbo incarnato che scende dal cielo, Mosè che leva in alto le mani per sostenere il popolo della croce.
Il mito ebraico
Asher Zvi Hirsh Ginsberg, più noto con lo pseudonimo di Ahad Ha’am, è il più influente esponente del sionismo cosiddetto spirituale che negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento instaura un dialogo critico con Herzl e i sostenitori del sionismo politico. Nell’ottica di una rinascita ebraica che non sia semplicemente risposta al problema dell’antisemitismo con un nazionalismo ricalcato su quelli che si contrappongono in Europa, l’intellettuale dedica un’opera a Mosè. Il Mosè di Ahad Ha’am è il più grande dei profeti, ma è soprattutto uno dei grandi uomini della storia dell’umanità. A Mosè però non viene riconosciuta una personalità individuale. I grandi uomini, infatti – qui emerge l’influenza decisiva della filosofia della storia hegeliana – sono le forze che determinano le svolte nella storia, sarebbe però ingenuo attribuire loro esistenza storica. Mosè è un mito che dal punto di vista archeologico va catalogato nel novero delle invenzioni, dal punto di vista storico invece esiste da millenni in racconti, leggende e midrashim della collettività che lo ha elaborato e fatto proprio. Mosè esiste dunque non come individuo storico ma come archetipo perché “continua a essere la nostra guida non solo durante quarant’anni di peregrinazioni nel deserto, ma per migliaia di anni in tutti i deserti successivi a quello dell’esodo”. Di conseguenza l’archeologia non può dire nulla di decisivo perché Mosè non è altro che “un’idea creata dallo spirito del popolo ebraico; e ogni creatore crea a propria immagine”.
Il tiranno ucciso e il ritorno del rimosso
L’incontro con Mosè ha un ruolo decisivo nell’opera complessiva di Freud e nell’orientamento della psicoanalisi (così per esempio Marthe Robert, Da Edipo a Mosè. Freud e la coscienza ebraica, Sansoni). Nell’Uomo Mosè e la religione monoteistica il profeta condottiero viene allo stesso tempo considerato figura della storia e figura del ricordo (dunque attuale finché ne esiste memoria). E come per Ahad Ha’am (e per la tradizione rabbinica) è il primo senso quello che più conta. Il Mosè di Freud è un egizio legato al rivoluzionario culto universalistico del faraone Ekhnaton, poi oggetto di una damnatio memoriae da parte del clero locale. A Mosè sacerdote egizio dissidente non resta dunque che trovare un altro popolo. Ma la durezza del nuovo dominio, di cui rimane traccia nella descrizione biblica delle numerose contestazioni e rivolte durante i quarant’anni nel deserto, fa sì che “i selvaggi semiti presero il destino nelle loro mani e tolsero di mezzo il tiranno”. Al parricidio collettivo segue la rimozione del crimine a cui si accompagna un forte complesso di colpa caratterizzato da tabù, astinenze e sacrifici. Il padre-Mosè torna infine come figura non più della storia ma del ricordo attraverso la sua trasformazione in “creatore del popolo ebraico” e l’affermazione di un monoteismo indisponibile a compromessi. È il ritorno del rimosso – non dunque il Mosè vivo ma il Mosè morto – che Freud pone alla base della genesi del popolo ebraico.
Ci sono centinaia di altri Mosè su cui non possiamo soffermarci qui. C’è il Mosè della filologia biblica, il rivoluzionario che ha affascinato generazioni di perseguitati, il portavoce fittizio del grande rinnovamento religioso in senso monoteistico del VII secolo a.e.v. dietro cui si nasconde il re di Giuda Giosia, il protagonista di leggende, l’ebreo nascosto o se si preferisce marrano che nel momento decisivo sceglie di schierarsi con il suo popolo, il profeta in dialogo con Gesù e Muhammad. C’è anche il Mosè dell’archeologia, un Mosè semplicemente inesistente perché nonostante ripetute campagne di scavi nei luoghi citati nella Torà nulla è emerso che può far supporre la sua esistenza storica e la stessa vicenda dell’esodo. Ma forse tutto sommato questo non è così importante. Perché, come sottolinea André Chouraqui (Mosè. Viaggio ai confini di un mistero rivelato e di una utopia possibile, Marietti), “ciò nonostante Mosheh esiste, milioni di lettori della Bibbia non smettono di incontrarlo di secolo in secolo nelle pagine del Pentateuco. Come ’Elohim, di cui è l’uomo, Mosheh deve essere conosciuto nei suoi molti aspetti senza escluderne nessuno, neppure quello che può essere scoperto nei midrashim, nelle omelie o negli hadit islamici più inattesi”.