Risponde la terza generazione con “Tacheles: The Heart of the Matter”, il documentario di Jana Matthes e Andrea Schramm
Raccontare l’Olocausto con un videogame. È l’obiettivo di due giovanissimi game designer tedeschi, Yaar e Marcel, l’uno ebreo e l’altro no, impegnati nella creazione di un gioco sulla base delle proprie esperienze personali e famigliari. Stringatamente, è questa la trama di Tacheles: The Heart of the Matter, documentario firmato da Jana Matthes e Andrea Schramm e presentato in questi giorni allo Human Rights Watch Film Festival.
Quello che rende complessa l’operazione è il fatto che ci si trovi di fronte a una serie di scatole cinesi. Ben lontani dalla spettacolarizzazione della Shoah, Yaar e Marcel vogliono creare un gioco per insegnare gli orrori del passato ponendo l’utente in un ruolo attivo.
Come si legge in un articolo che Alma dedica al documentario, secondo i due amici i film sull’Olocausto tipo Schindler’s List sono passivi, trasformando lo spettatore in un consumatore senza cervello di immagini grafiche. L’obiettivo del loro videogioco, invece, è di consentire ai giocatori di fare delle scelte: quella di contrattaccare, per chi gioca nei panni dell’ebreo, come di fare la cosa giusta, per chi veste quelli del nazista. Prima dei potenziali utenti, però, il videogame mette in discussione le certezze dei suoi stessi ideatori.
Nato a Gerusalemme e tornato in Germania con la famiglia quando aveva 5 anni, Yaar Harell rimprovera a suo padre Ilei di aver vestito quel ruolo di vittima silenziosa trasmessogli dalla madre Rina, ebrea polacca sopravvissuta ai campi di sterminio e oppressa dal senso di colpa per non aver salvato, lei stessa bambina, il fratellino Roman dalla Gestapo. «L’unica cosa che associo al giudaismo è il vittimismo», dice il giovane a sua madre Jasmin, che all’inizio si inquieta all’idea di un videogioco che consenta sia agli ebrei sia ai nazisti tanta scelta. Lei, però, cresciuta serenamente in Israele e con esperienze meno drammatiche alle spalle rispetto a Ilei, capisce l’impulso del figlio a fare i conti con una Germania moderna stretta tra il senso di colpa e la minaccia incombente dell’oblio. Secondo Yaar, due sono i difetti insopportabili dei tedeschi: compatire gli ebrei e feticizzarli, dichiarando loro amore per il semplice fatto di continuare a esistere e al contempo trattandoli come oggetto di studio. A cavallo tra due mondi, il ragazzo ammira il padre ma non sopporta il suo dolore, e si ribella a questo suo modo di essere ebreo, fino a rifiutare tutto ciò che è ebraico. Salvo poi decidere di fare i conti con la sua eredità dopo aver subito un’aggressione antisemita in strada.
Marcel Nist, suo socio nella creazione del gioco Als Gott Schlief – Mentre Dio dormiva (un omaggio alla definizione dell’Olocausto data dal nonno di Yaar), ha una storia che lo colloca dall’altra parte della barricata. Estremizzando, se Yaar nel gioco impersona Rina, sua nonna, vestendo i panni di Edgar, Marcel potrebbe cambiare le azioni di un suo antenato, ufficiale nazista che per vergogna la sua famiglia ha tenuto nascosto per cinquant’anni. Apparentemente in modo simile a Yaar, al suo amico interessa superare un passato che sente non appartenergli. Pensa che l’obbligo di badare ai propri simili, di prevenire il genocidio, sia qualcosa di umano, e non di condizionato dalla sua identità tedesca.
Il fatto stesso che i due ragazzi vogliano creare il gioco, però, nega la loro declamata indifferenza. Mettendo in campo la vicenda di Rina e del suo fratellino Roman, morto perché la sorella non l’ha saputo proteggere, Marcel e Yaar obbligano se stessi e i giocatori a pensare alla storia liberandola dai pregiudizi. Come rimarca l’articolo di Alma, Yaar e Marcel si rendono conto che la Shoah non riguarda solo ebrei sopravvissuti per fortuna e nazisti tanto accecati dall’ideologia da non poter prendere decisioni consapevoli, ma è stata il risultato di scelte, molte delle quali violente.
Stretti tra il rischio di aderire a quella stessa cultura prefabbricata di sgomento passivo di fronte ai crimini nazisti che loro stessi accusano e, dall’altra, di generare un falso storico, cambiando le sorti dei loro personaggi e salvandoli, i due amici capiscono che un Olocausto impersonale non è degno di essere rappresentato. E che rimuovere l’intrinseca ebraicità o germanicità dai personaggi li rende privi di vita.
Inizia così un doloroso confronto con la storia da parte dei due giovani, i nipoti delle vittime e dei carnefici. Mentre il gioco cessa di essere un gioco, Tacheles – The Heart of the Matter esplora come il trauma dei sopravvissuti viene ereditato, e pone la scottante domanda dalla prospettiva di un ventunenne: cosa ha a che fare l’Olocausto con me?
La risposta offerta dal documentario non è di soccombere al peso della tragedia, come ha fatto il padre di Yaar, o dei delitti di un antenato o di una stessa nazione, come hanno fatto i genitori di Marcel. O, ancora, di ignorarla in quanto troppo lontana ed estranea al presente, come sembrano inizialmente voler fare i ragazzi. La risposta è di accettarne la memoria e lasciare che viva accanto a noi, come un’ombra o un’amica, visto che, come conclude Yaar parlando di sua nonna Rina, «il silenzio non ha portato la pace, ma maggiore sofferenza».
Tacheles. The Heart of the Metter
scritto e diretto da Jana Matthes & Andrea Schramm
prodotto da Gunter Hanfgarn (HANFGARN & UFER) Jana Matthes & Andrea Schramm (SCHRAMM MATTHES FILM)
distribuito da Ruth Films
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.