L’opera del premio Pulitzer Art Spiegelman sarebbe troppo disturbante per i ragazzi dello stato americano. Cosa significa insegnare (o edulcorare) la storia della Shoah?
NEW YORK — Il consiglio scolastico di un distretto del Tennessee, nel cuore degli Stati Uniti, ha deciso all’unanimità di bandire il fumetto sulla Shoà Maus dal programma di storia delle terze medie di tutte le scuole pubbliche. La decisione, quasi per ironia della sorte, è stata presa un paio di settimane prima del Giorno della Memoria. Il motivo? La presenza nel libro di «parolacce, nudità» e la rappresentazione di «violenza e suicidio».
Il fumetto Maus, vincitore del premio Pulitzer, fu pubblicato a puntate negli anni ‘80, per poi diventare un classico della letteratura sulla Shoà tradotto in trenta lingue. Nel libro, l’autore Art Spiegelman narra la storia vera dei suoi genitori, entrambi deportati e sopravvissuti al campo di sterminio nazista di Auschwitz. Con una peculiarità: gli ebrei sono illustrati come topi, mentre i nazisti sono gatti. Di conseguenza, la scena di cosiddetta «nudità» che ha tanto scandalizzato il distretto del Tennessee sarebbe un’unica vignetta che ritrae un topo senza vestiti.
La notizia, pubblicata inizialmente dalla stampa locale, ha suscitato scalpore negli Stati Uniti, inducendo il consiglio scolastico a rilasciare una dichiarazione. “Uno dei ruoli principali di un consiglio scolastico è quello di rispecchiare i valori della comunità che serve”, si legge nel comunicato. Il consiglio ha detto di aver preso la decisione di rimuovere Maus dal programma per via dell’uso “non necessario di volgarità e nudità e della rappresentazione di violenza e suicidio”.
Numerose autorità e intellettuali hanno espresso il loro sdegno nei confronti della decisione. L’autore stesso del graphic novel ha fatto diverse apparizioni televisive, definendosi “sconcertato”: “Sono immagini inquietanti. Ma sapete cosa? La Storia [della Shoà] è inquietante”.
Qual è il modo migliore per assicurarsi che tutti leggano un libro? Bandirlo. Maus è ora in cima alla classifica dei fumetti storici più venduti su Amazon, dove è completamente sold out. Una libreria di Knoxville, nel Tennessee, ha annunciato che regalerà copie gratuite del libro a tutti gli studenti che le richiederanno.
Questo moto di «protesta» contro la censura, però, non cancella il problema di fondo: la tendenza di una destra ultraconservatrice americana a censurare i libri su argomenti «scomodi», come la storia della schiavitù degli afroamericani o i libri a tema LGBTQ. Non si tratta di bandi voluti dalla sinistra «woke» del politically correct, come alcuni vorrebbero farci credere; il Tennessee suburbano e rurale non è certo influenzato dalle correnti «woke» di Manhattan.
Emerge quasi una pretesa che la Storia debba essere «confortevole» e non mettere a disagio non solo gli studenti, ma anche gli insegnanti e i genitori. In particolare quei genitori che non hanno voglia di rispondere alle domande dei figli, che non vogliono affrontare temi fondamentali come il razzismo, l’antisemitismo e lo sterminio di sei milioni di ebrei. Quindi o la Storia viene edulcorata, oppure viene rimossa del tutto.
C’è poi un’altra tendenza: un movimento di genitori che vogliono poter decidere e controllare cosa viene insegnato nelle scuole pubbliche. Sono questi i genitori che si fanno eleggere nei consigli scolastici e che poi prendono decisioni spesso in contrasto con la volontà degli insegnanti stessi. È così che è nato l’acceso dibattito su come insegnare il razzismo sistemico nelle scuole.
Quando ho letto la notizia su Maus, il mio primo pensiero è stato: “Scusate se i libri sull’Olocausto vi mettono a disagio; pensate piuttosto a cosa si provava a morire asfissiati nelle camere a gas di Auschwitz”.
Esistono da decenni discussioni su quale sia il modo migliore per spiegare ai giovani la Storia della Shoà. È un argomento difficile che può intimorire gli insegnanti. L’esposizione può essere graduale, ma ciò non significa edulcorare le atrocità commesse dai nazisti. Personalmente, essendo io cresciuto in una famiglia ebraica coi nonni sopravvissuti alla Shoà e un bisnonno assassinato ad Auschwitz, non ricordo il giorno in cui ho «scoperto» o «imparato» questo capitolo di Storia; perché questa è la Storia della mia famiglia, del mio popolo, ed è quasi come se fosse sempre stata parte del mio DNA.
Ricordo che presso la scuola elementare ebraica di Torino, la nostra meravigliosa insegnante ci portò in Sala Professori, dove aveva disposto una serie di fotografie scattate nei campi di concentramento nazisti, e aveva lasciato che le immagini parlassero da sé prima di riportarci in classe e spiegarci di cosa si trattava. Fu lei stessa a coordinare con un’insegnante di teatro professionista la creazione e messa in scena di uno spettacolo teatrale sulle leggi razziali.
Non mi aspetto che tutti gli studenti ricevano l’educazione che ho ricevuto io. Ma dobbiamo stare attenti: si inizia col bandire i libri scomodi, col dire agli insegnanti cosa possono e cosa non possono insegnare, e si finisce col cambiare la storia e insegnarne solo le pagine che si preferiscono.
In queste ore, si sta parlando molto delle dichiarazioni dell’attrice e conduttrice televisiva Whoopi Goldberg durante una puntata recente del programma The View: “L’Olocausto non c’entra con la razza, erano persone bianche contro persone bianche, che combattevano tra di loro”. Si comincia con l’edulcorare, universalizzare la Shoà e si finisce per disseminare falsità. Nonostante Goldberg si sia scusata, l’emittente televisiva ABC l’ha sospesa dal programma per le prossime due settimane.
Negli ultimi giorni ho visto circolare la seguente frase su Twitter: “I ragazzi che leggono Maus non diventeranno un giorno adulti che paragonano ogni piccolo inconveniente all’Olocausto”.
Vive a New York, dove lavora come giornalista e scrittore. Insegna al Touro College di Manhattan. Ha collaborato con Associated Press, Tablet Magazine e Forward. Con il suo romanzo Grandangolo (ed. Giuntina), tradotto in francese, tedesco e in prossima uscita in russo, ha vinto il Premio Viareggio Opera Prima.