Il percorso di teshuvà inizia qui, per concludersi a Kippur. Ma, naturalmente, è anche un momento di gioia e di festa…
Dopo shabbat Reè, esattamente l’8 e il 9 agosto, sarà rosh chodesh: inizia il mese di Elul, l’ultimo mese dell’anno liturgico ebraico. Più che in una fase di consuntivi e bilanci, il giudaismo rabbinico lo ha trasformato in una specie di ponte verso Tishrì, il primo mese del nuovo anno [quest’anno è il 5782], anzi un vero e proprio ‘anticipo’ delle grandi feste, Rosh ha-shanà e Kippur, e degli yamim noraim o giorni terribili, imperniati sulla teshuvà, il pentimento e l’espiazione, nonché sul perdono divino. Sono le feste più sentite dal mondo ebraico, dove persino l’ebreo più assimilato o materialista si accorge che l’ebraismo è – anche – un affascinante messaggio spirituale. Segno di questa pregustazione di tali feste è la prassi (non una mitzwà ma un minhag assai diffuso) di suonare al termine della preghiera mattutina lo shofar, il corno ovino il cui ascolto segnerà le solennità d’inizio anno. Sono soprattutto le comunità ebraiche ashkenazite ad aver adottato e reso popolare questa tradizione, oggi seguita anche in Italia. Le comunità sefardite invece hanno trasmesso e divulgato la pratica della recita quotidiana, nei giorni lavorativi del mese di Elul, delle selichot – alla lettera ‘richieste di perdono’ – ossia una nutrita raccolta di salmi e inni (piyyutim) di natura penitenziale, da recitarsi insieme in sinagoga già prima del servizio religioso mattutino. Le due tradizioni, selichot e shofar, fanno di Elul un mese davvero speciale per la religiosità ebraica.
Nel tentativo di giustificare tanta intensità spirituale e di far coincidere questo mese con eventi significativi narrati dalla Torà, i maestri di Israele hanno calcolato che a rosh chodesh Elul, ossia all’inizio di tale mese Mosè, Moshè rabbenu, sia salito sul monte Sinai per ricevere le seconde tavole della Legge (le Dieci Parole/dieci comandamenti) – le prime erano state da lui spezzate per il peccato del vitello d’oro – dunque le nuove tavole che egli avrebbe consegnato al popolo esattamente quaranta giorni dopo, il 10 del mese di Tishrì, ossia nel giorno di Kippur, in concidenza del perdono divino. Una delle fonti midrashiche di questa interpretazione sono i Pirqé de-rabbi Eliezer. La penitenza di Elul è pertanto un segno della volontà di accogliere la Legge senza cadere nuovamente in forme di culto idolatrico. A ciò allude la spiegazione, che troviamo anche nello Zohar, per cui il nome del mese sarebbe l’acrostico di un versetto d’amore tra Israele e Dio che si trova nel Cantico dei cantici: anì (alef) ledodì (lamed) vedodì (waw) lì (lamed) = elul: “Io sono per il mio Amato e il mio Amato è per me” [Cdc 6,3]. Il ritorno a Dio, che è il senso religioso e non meramente psicologico della teshuvà, contiene dunque questa forte connotazione di elezione e di fedeltà, di rifiuto dell’idolatria – che culminerà con il canto ripetuto Adonai Hu ha-Elohim alla fine di Kippur – e di celebrazione della misericordia divina.
Le selichot hanno al loro interno la recitazione dei tredici attributi divini [cfr. Shemot/es 34,6-7] che a loro volta ritmano la liturgia dell’espiazione. In tal modo ogni giorno di Elul è un richiamo a Kippur, così come il suono dello shofar è un richiamo a Rosh ha-shanà, al capodanno, ricordo della creazione del mondo ma chiamato anche Yom ha-din, giorno del giudizio. Shim‘on ben Gamliel insegnava, secondo i Pirqè avot [I,18], che il mondo si regge sul giudizio divino (din), e sulla verità (emet) e sull’integrità (shalom) che ne derivano. Il mese di Elul è come un breve corso propedeutico e una sintesi didattica dei grandi temi etico-teologici celebrati nelle solennità del mese successivo. Una costante in quasi tutti i riti liturgici è la recita quotidiana del salmo 27: “Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò timore?…”. L’esegesi che il midrash ai Salmi ne offre è: “Il Signore è mia luce, a Rosh ha-shanà; mia salvezza, a Yom Kippur; di chi avrò timore, a Hoshannà rabbà” (XXVII,4). Molti dei poemi religiosi che compongono le selichot tradizionali sono stati composti da devoti ebrei di età medievale, come rav Amram Gaon – nel cui nome è tramandato il primo siddur della storia della liturgia ebraica – e il rabbino-filosofo Saadia Gaon (tra IX e X secolo).
Al fine di far sentire il peso della storia recente, in alcune edizioni di selichot moderne, ad esempio negli ambienti conservative nordamericani, ai salmi biblici e agli inni medievali sono stati aggiunti poemi scritti da vittime e sopravvissuti alla Shoah, come Hillel Zeitlin (1872-1943): il percorso di teshuvà serve a ottenere a Israele il perdono divino, ma deve anche ricordare a Dio le sofferenze patite da Israele per restarGli fedele! In una di queste edizioni recenti delle selichot – in ebraico con traduzione inglese accanto – si legge che “l’essenza delle antiche selichot è ancora un messaggio valido per la nostra generazione, non importa quanti secoli ci distanzino dalle loro formulazione, o quanto diversa sia la lingua di che le recitava, o lontane da noi molte delle loro credenze. Se ci sforziamo di comprendere il valore di tali poesie, del mosaico letterario e dello spirito in cui tali selichot vennero composte, non tarderemmo a riconoscere in esse i bisogni e le aspirazioni della nostre anime”.
Alcuni, nel corso della storia ebraica, hanno abbracciato nel mese di Elul anche alcune pratiche ascetiche, normalmente assenti e persino scoraggiate dalla religiosità ebraica. Una delle più note, e forse meno estrema di quel che possa sembrare, è il ta’anit dibbur o digiuno delle parole: si tratta della scelta personale di astenersi da ogni conversazione profana, di abbracciare prolungati periodi di silenzio – un silenzio sociale, il ‘silenzio dei social’ diremmo oggi – per potersi meglio dedicare nello studio della Torà e concentrare nell’osservanza dei precetti. Tra i grandi maestri maestri che hanno praticato il ta’anit dibbur, dall’inizio di Elul fino a Kippur, si può ricordare il discepolo di rav Abraham Kook, rav David Cohen (1887-1972), non a caso noto come il Natzir di Gerusalemme. Nel mondo chassidico, infine, il mese di Elul è segnato dalla felice ricorrenza del compleanno (in data simbolica) del ‘fondatore’ del loro movimento, Israel ben Eliezer, meglio conosciuto come il Ba‘al Shem Tov (1700ca-1760). I seguaci della dinastia di Lubavitch celebrano in questo mese speciale anche il compleanno del loro capostipite, il rebbe Schneur Zalman di Lyadi (1745-1812), che del Ba‘al Shem Tov fu uno dei primi discepoli e acuto interprete. Come sempre, nel giudaismo, ai toni severi della penitenza si intrecciano momenti di festa e di gioia.
Massimo Giuliani insegna Pensiero ebraico all’università di Trento e Filosofia ebraica nel corso triennale di Studi ebraici dell’Ucei a Roma
Grazie di cuore per questa interessantissima spiegazione!