Cultura Cibo
Il Presnitz di Trieste, una storia con ricetta

Viaggio alle origini del dolce simbolo della città

Trieste non è una città facile da capire. E semplici da interpretare non sono neppure i suoi abitanti, con quella loro lingua che può ricordare il veneto, specie nella dolcezza dell’inflessione, e che ben poco ha a che fare con il friulano. Dire che qui siamo nella Venezia Giulia spiega solo in parte la questione, che del resto non è qui il caso di affrontare.
La complessità dei triestini, invece, non si può ignorare, soprattutto se si considera il meraviglioso amalgama di popoli di cui sono il risultato. Insieme a un passato austroungarico indelebilmente scolpito sulle facciate dei palazzi, la città giuliana conserva le tracce di una storia che nei secoli ha coinvolto mezza Europa, dal freddo Nord alle regioni assolate del Mediterraneo, con una fondamentale componente ebraica.
Presenti fin dal Medio Evo, come attestano documenti risalenti al XIII secolo, gli ebrei giunsero qui con massicce migrazioni soprattutto nel corso del Settecento. A favorirne l’insediamento in città era stata la politica economica degli Asburgo, con l’istituzione del Porto franco nel 1719 e la promulgazione, nel 1771, di uno Statuto con cui Maria Teresa liberava gli ebrei di Trieste da molti degli obblighi e delle limitazioni a cui erano stati finora sottoposti. A questo si sarebbero aggiunte, nel 1781-1782, l’emanazione delle Patenti di tolleranza dell’imperatore Giuseppe II e, nel 1784, l’apertura delle porte del ghetto istituito nel 1697.
La comunità era ai tempi già composta sia da ebrei ashkenaziti, provenienti da svariate altre regioni dell’Impero, all’epoca la maggioranza, sia da sefarditi e da ebrei italiani. Prova della convivenza tra le diverse tradizioni sarà la creazione di quattro Scuole, due di rito tedesco e due di rito spagnolo, che saranno poi sostituite dalla grande Sinagoga costruita nel 1912 con l’istituzione del cosiddetto rito triestino, nato dalla commistione tra le diverse appartenenze.
Uscendo dall’ambito religioso, si scopre che la complessità è una cifra distintiva dell’intera città. Per capirlo, basta entrare in una pasticceria, meglio se con la certificazione di locale storico esposta all’ingresso. Qui, tra mobili in lucido legno scuro e vetrinette di cristallo che fanno subito pensare a Vienna, il fortunato cliente potrà fare incetta di dolci della più diversa natura e provenienza. Torte e pasticcini, raffinatissimi e cremosi, con strati di sfoglia e mousse leggerissime, si spartiscono spazio e preferenze con ben più rustiche preparazioni, dove insospettabili ripieni di frutta secca e spezie si nascondono dentro gusci di dorata pasta friabile. A questa seconda categoria di prodotti appartiene uno dei simboli dell’arte dolciaria triestina, il presnitz. La forma è quella di un serpentone indeciso se avvoltolarsi e stringersi su se stesso, come fanno la putizza o la gubana, altre delizie locali, o stendersi e allungarsi come uno strudel, a sua volta esposto nei caffè a breve distanza.
Questo dolce dall’aspetto così ambiguo può essere un buon punto di partenza per capire la città che gli ha dato i natali e soprattutto i suoi abitanti. La premessa necessaria è che, nonostante esistano versioni più accreditate di altre, la sua origine non è completamente certa, come del resto quasi mai avviene con le cose della cultura popolare. Secondo alcuni puristi la sua nascita si perderebbe nella notte dei tempi, secondo altri sarebbe più vicina ai giorni nostri, collocandosi nella prima parte del XIX secolo. Lo stesso disciplinare di produzione si divide tra queste due possibilità. E se da una parte ricorda la posizione strategica di Trieste e del suo porto, con i secolari contatti con le genti del Mediterraneo e dei loro prodotti, dalle mandorle alle uvette, dagli agrumi alle spezie, dall’altra ne collega i natali ai rapporti della città con l’Impero.
Secondo questa versione, il presnitz sarebbe stato creato in occasione della visita a Trieste di Elisabetta di Baviera, nota a tutti come Sissi, intorno alla metà dell’Ottocento. In attesa del soggiorno della principessa presso il castello di Miramare, la città si sarebbe messa in ghingheri, organizzando pure un premio perché le pasticcerie creassero un dolce dedicato all’illustre ospite. Chi abbia vinto tale competizione non si sa, si suppone una delle eleganti offellerie borghesi di cui si diceva, ma la creazione sarebbe stata appunto una sorta di ferro di cavallo chiuso su se stesso con tanto di dedica: “Se giri il mondo torna qui”. Per quanto riguarda il nome, presnitz sarebbe la contrazione di “Preis Prinzessin”, premio principessa, troppo lungo e poco orecchiabile per entrare nell’uso comune.
Un’altra versione della vicenda anticipa la creazione del dolce al 1832 e cambia giocoforza la destinataria del premio (Sissi sarebbe nata solo 5 anni dopo). Secondo questa teoria, l’occasione sarebbe stata la visita di Francesco I d’Austria accompagnato dalla moglie Carolina Augusta. A questo punto, però, risulta difficile giustificare l’appellativo di “principessa”, non applicabile alla moglie di un imperatore.
Comunque siano andate le cose, di sicuro questo dolce non è stato creato dal nulla, così come è certo che i pasticcieri di Trieste si tramandavano da secoli gli ingredienti e le tecniche che ne sono alla base. Se già si è detto del ricchissimo e compatto impasto ad alta concentrazione di frutta secca di ascendenza mediterranea, e in particolare ebraica, va considerata anche la pasta che lo avvolge. Rigorosamente non lievitata, la sfoglia usata ricorderebbe la pasta fillo di origine turca, ma soprattutto fornirebbe un’altra plausibile spiegazione del nome. Presnitz sarebbe in tal caso una parola derivata dallo sloveno presnec, diminutivo di presen-kruh, che indica appunto il pane non lievitato.
Anche qui, appare strettissimo il legame con la tradizione ebraica e con i suoi dolci tipici di Pesach. Un collegamento giustificato anche dall’importanza della Comunità triestina, che proprio nell’Ottocento viveva il suo periodo di massima gloria e che a fine secolo poteva contare su circa cinquemila componenti. Tra questi, figurano alcune delle personalità chiave dell’economia e della cultura non solo cittadina, da Giuseppe Lazzaro Morpurgo, tra i fondatori delle Assicurazioni Generali, a Elio Morpurgo, presidente della compagnia di navigazione Lloyd. Accanto ai nomi citati, l’ingegnere Eugenio Geiringer, ideatore del tram elettrico che ancora oggi conduce da Trieste a Opicina, oltre a decine di imprenditori e di commercianti che qui si specializzano nei commerci di caffè, spezie, zucchero, uvette, granaglie ed erbe aromatiche orientali.
Tra le tante e diverse attività, troviamo anche quella della pasticceria Eppinger, fondata nel 1848 da una famiglia ebrea emigrata dall’Ungheria. Il laboratorio pare fosse specializzato nella produzione di dolci kasher, in particolare per Purim, con delizie come i “montini” alle mandorle. Per capirne la popolarità, si pensi che l’immancabile Pellegrino Artusi avrebbe assaggiato proprio in questa offelleria (“la prima pasticceria di Trieste”) quella “tedescheria” del presnitz, trovandola peraltro deliziosa, mentre uno dei discendenti del fondatore, Giuseppe Eppinger, avrebbe dato i natali a diversi capi della Comunità.
Alla dolce attività di Giuseppe, detto “futison”, farebbe riferimento anche tale Augusto Levi, tipografo teatrale, in una poesia in ebraico-triestino, La pegariada del Filo, composta nei primi anni del Novecento in occasione della chiusura del Teatro Filodrammatico. La sala da spettacolo si trovava non lontana dall’antico ghetto di Riborgo, nel cuore commerciale della città, e aveva raggiunto in passato una popolarità tale da ospitare sul suo palco anche una giovane Eleonora Duse. Grazie anche alla sua posizione in città, dava lavoro a numerosi appartenenti alla Comunità e fino a quel momento era stata sovvenzionata da un certo Mordo, ricchissimo ebreo originario di Corfù, isola che a fine Ottocento aveva portato alla comunità di Trieste quasi un migliaio di nuovi membri. Nella composizione satirica, che cita anche numerosi altri notabili della Comunità, nonché le quattro sinagoghe ancora esistenti all’epoca, si piange la perdita del teatro, poi trasformato in cinema, così come la trasformazione di un intero mondo che gli girava attorno nella Città Vecchia, compreso il suo prezioso pasticciere: “Semo a remengo tuti, un mucio de judim, “futison” no lavora per noi più de Purim”.
La famiglia degli Eppinger avrebbe in realtà proseguito la sua fortunata attività per almeno altri trent’anni, fino alla promulgazione delle leggi razziali. I locali in via XXX Ottobre, ceduti a nuovi proprietari, avrebbero quindi ospitato la pasticceria Bomboniera, tuttora attiva. Il loro nome, invece, si sarebbe trasformato in un marchio ancora oggi specializzato nella produzione di dolci. Con il Presnitz in prima fila.

Presnitz di Trieste

Ingredienti
1 panetto di pasta sfoglia fresca
130 g di zucchero
110 g di biscotti secchi sbriciolati
160 g di uvetta sultanina
130 g di noci
60 g di mandorle
60 g di pinoli
35 g di cedro candito
35 g di arancio candito
spezie miste (cannella, chiodo di garofano, macis)
sale
farina
rum e/o marsala
2 uova

Diluire il liquore con un terzo di acqua in una ciotolina, quindi lasciarvi ammollare l’uvetta per circa un’ora. Tritare le noci e le mandorle usando un mixer o un grosso coltello fino a ottenere un composto piuttosto grossolano.
Scolare l’uvetta, asciugarla su carta da cucina e unirla alla frutta secca in una ciotola con i pinoli interi o tagliati a metà, i biscotti sbriciolati, i canditi a dadini piccolissimi, lo zucchero, le spezie a piacere, un pizzico di sale e una generosa spruzzata di liquore. Mescolare a lungo fino a ottenere un amalgama consistente ma lavorabile, aggiungendo eventualmente altro rum o marsala. Lasciarlo riposare in frigo.
Stendere la pasta sfoglia con il matterello sul piano infarinato a uno spessore compreso tra 1 e 3 mm, quindi ricavarne un lungo rettangolo. Riprendere il composto alla frutta secca e modellarlo in un bastoncino della lunghezza del rettangolo di pasta.
Porre il ripieno sulla sfoglia, adagiandolo lungo uno dei lati lunghi e spennellando la parte di pasta libera con l’uovo sbattuto con poca acqua. Ripiegare la pasta sul bastoncino, richiudendovelo e sovrapponendola per non oltre 2 centimetri: il ripieno deve essere avvolto ma non arrotolato. Compattare eventualmente il salsicciotto ottenuto, quindi arrotondarlo su se stesso per dargli la tipica forma a spirale.
Spennellare per almeno due volte la superficie del dolce con del tuorlo leggermente sbattuto con pochissimo albume, lasciandolo asciugare a temperatura ambiente ogni volta che lo si è spennellato per almeno 15 minuti.
Trasferire il presnitz su una teglia foderata con carta da forno e cuocerlo nel forno già caldo a una temperatura di 250° per circa 20 minuti. Sfornare e lasciare riposare il dolce finché si sarà raffreddato perfettamente.

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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