Una riflessione sull’identità come spazio di compartecipazione.
Acquisire diritti comporta un calo di pregiudizi? A rigor di logica dovrebbe essere così. E così, a medio-lungo termine, in molti casi è, o pare essere. Il suffragio universale – tanto per fare un esempio – è lì a ricordarci che, almeno per quanto riguarda il voto, i cittadini, tutti, sono uguali e hanno la medesima libertà di esprimersi politicamente. Eppure…
La Giornata internazionale contro l’omofobia si celebra ogni 17 maggio in ricordo di quel giorno del 1990 in cui l’Organizzazione mondiale della sanità eliminò l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali. Quanti oggi considerano gli lgbt “normali”? Più di una volta certo, molti molti di più, però l’oscurantismo non è scomparso. Anzi, nell’ultima fase storica ha ripreso fiato alla grande, e avanza imperterrito: il dibattito sulla legge Cirinnà ne è stata la prova più lampante.
Ricordo che quando ero ragazzino, sui tram c’era una targhetta con scritto “vietato sputare”. A noi pareva un’ovvietà acquisita, un po’ come essere antifascisti. Sì, come essere antifascisti. Chi avrebbe immaginato che il diritto alla democrazia e alla libertà, a una società non discriminatoria sarebbe stato nuovamente messo in discussione da saluti romani, partiti razzisti, azioni vergognose, slogan abbastanza immondi, addirittura governi democraticamente eletti che del sovranismo populista hanno fatto la propria bandiera? Non è più vietato sputare insomma, e – ciò che è peggio – non è affatto scontato che lo sia.
Poi uno dice: ma no!, guarda l’aborto terapeutico e consapevole, un tempo era considerato abominio. Adesso invece… Adesso invece pure. Attenzione, siamo nel campo dell’etica individuale: ognuno ha il sacrosanto diritto di pensarla come la propria coscienza gli suggerisce. Tuttavia oggi si mette in discussione una legge dello Stato, una legge che non impone bensì permette, insomma un altro diritto che qualcuno vuole eliminare.
Il fattore identitario
Potrei andare avanti con esempi su esempi, però penso valga la pena soffermarci sulla questione generale. Perché tutto ciò interroga la filosofia joiana stessa (intesa come noi di Joi). Indagare l’identità in quanto spazio simbolico in cui si instaura, o dovrebbe instaurarsi, un dialogo arricchente tra le differenti componenti del sé e tra individuo e società è di sicuro uno dei nostri pilastri. Insomma, si tratta del concetto profondo di cittadinanza intesa come luogo di compartecipazione, appartenenza a pieno titolo a una comunità.
Mentre scrivo, la mia testa e il mio cuore si riempiono di associazioni, déjà-vu, echi individuali e collettivi. Queste infamie – questo “clima” culturale – non le hanno forse vissute i miei/nostri parenti, e prima ancora i miei/nostri antenati e gli antenati degli antenati? I diritti, il rispetto dei diritti – noi ebrei lo dovremmo sapere per primi – sono un’arma, forse l’arma per eccellenza, che tutela il cittadino, la minoranza, il più debole. Istituzionalizzare un diritto rende o dovrebbe rendere “normale” quanto prima era “anomalo”.
E badate bene che la politica non c’entra assolutamente nulla. Stiamo ragionando di mentalità, di approccio, di background, di cultura nel senso più ampio della parola. Tanto per capirci: Israele è uno Stato privo di Costituzione alla quale si supplisce in buona parte con norme di Halakhah, quindi strettamente religiose e millenarie. Il che non esclude che sia un paese avanzatissimo dal punto di vista dei diritti e che, per dire, Tel Aviv sia una delle città più gay friendly del mondo, che l’Esercito abbia nelle sue fila soldati e ufficiali dichiaratamente omosex, che si ragioni sul permettere alle coppie omosessuali l’adozione (già dal 2005 un tribunale ha dichiarato che una lesbica ha il diritto di adottare ufficialmente il bambino nato dalla compagna a seguito d’inseminazione artificiale, sentenza emessa nonostante le nutrite proteste dei partiti religiosi ultra ortodossi). La contraddizione è che il matrimonio civile non esiste – avrete senz’altro letto il nostro post sulle nozze tra Lucy Aharish e Tzahi Halevi. In Israele i diritti concessi alle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender sono i più ampi e sviluppati in assoluto dell’intera Asia e tra i più avanzati del mondo. D’altronde non è casuale che La Rassegna mensile di Israel abbia dedicato un intero numero (Vol. 83, gennaio-aprile 2017) a “Letteratura ebraica, identità di genere, appartenenza” in cui eminenti rabbini e laici fanno il punto sul rapporto tra ebraismo e omosessualità.
Se i diritti discendono dai doveri dell’uomo
Ma qual è, più in generale, il rapporto tra ebraismo e diritti? Rav Jonathan Sacks ha detto che «il linguaggio dei diritti umani è universale, ma parla con accento ebraico». Ed è un accento strano, per molti versi formidabile, unico, perché nei Testi non si legge quasi mai di diritti bensì di doveri – a differenza di quanto siamo abituati a vedere nella storia, dalla Dichiarazione d’Indipendenza americana alla Dichiarazione dei Diritti Umani della rivoluzione francese, fino alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Per dire: nella Torah troviamo il comandamento di non uccidere, come affermazione del diritto alla vita, di non rubare come affermazione del diritto alla proprietà, quindi nell’ebraismo il sistema giuridico-culturale impone il tema dei diritti umani partendo non dai diritti, ma dai doveri dell’uomo.
È così, e quanto l’etica ebraica abbia (ben) seminato risuona nelle parole di Norberto Bobbio (18 ottobre 1909 – 9 gennaio 2004): «I nostri diritti non sono altro che i doveri degli altri nei nostri confronti».
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