Annuncia Rosh Hashanah, ma soprattutto ci chiama al risveglio: senza dogmi, perché entrambe le sue forme, dritta o curva, sono ammesse
Suonare lo shofar per Rosh Hashanah è un precetto biblico, ma allude anche a qualcos’altro. Come troviamo in Maimonide – Mishneh Torah, Hilchot teshuvah 3:4: “Svegliatevi, dormienti, dal vostro sonno! E voi, pigri, dal vostro torpore! Cercate la vostra via, fate teshuvah e ricordate il vostro Creatore! Coloro che dimenticano la Verità tra le futilità del momento e perdono i loro anni dietro vanità e insignificanza che non li aiuteranno e non li salveranno, facciano un esame di coscienza e diventino migliori, nei modi e nelle intenzioni! Che ognuno di voi abbandoni le abitudini cattive e i pensieri che non sono buoni”.
Lo shofar è uno strumento dalla peculiare potenza. La sua chiamata squarcia l’aria, non possiamo ignorare il suo suono. È stato usato per unire le persone in battaglia, come un’esplosione per terrorizzare il nemico. Il suo suono viene udito nel Sinai, benché non sia chiaro chi l’abbia suonato. L’ariete dell’episodio della legatura di Isacco finisce imprigionato nel cespuglio a causa del suo corno, da cui deriva l’idea rabbinica che Dio abbia indicato ad Abramo che i suoi discendenti devono suonare lo shofar ogni qualvolta rischiano la punizione divina: i meriti dei protagonisti della Akedah (la legatura) saranno portati di fronte a Dio ed Egli quindi ci perdonerà. La Bibbia ci dice di suonare lo shofar per annunciare la luna nuova del mese di Tishri e da qui viene l’idea di annunciare ogni nuovo mese in questo modo.
Il suono dello shofar si avvicina anche al suono del pianto, un pianto più gentile, ma insistente. In una discussione talmudica sui suoni (Rosh Hashanah 33b), un tanna (saggio) dice che la teruah indica un lamento, sh’varim denota un gemito o un singhiozzo, mentre la tekiah, l’esplosione diretta, è un suono allo stesso tempo di introduzione e di chiusura, che contiene e annuncia la natura malinconica delle altre chiamate.
Lo shofar fa al nostro posto molto del lavoro a cui siamo chiamati. Il suo scopo è destarci, ma anche dar voce alle nostre paure e ansie, per poi renderci forti e farci affrontare la battaglia per diventare la miglior versione di noi stessi. C’è un dibattito nel Talmud a proposito della forma dello shofar: dovrebbe essere curvo o dritto? L’implicazione è che lo shofar rappresenta la persona che si avvicina a Dio: dovremmo avvicinarci stando con la schiena ben dritta e – per così dire – guardare Dio negli occhi mentre chiediamo il perdono, o dovremmo avvicinarci curvi dal peso della nostra amarezza per il peccato che grava su di noi e tenere gli occhi bassi?
Non c’è una risposta univoca: tutti gli shofarot, che siano dritti o curvi, sono permessi. Tutti noi, indipendentemente da come percepiamo noi stessi, possiamo presentarci al cospetto di Dio e, sotto quello sguardo divino, aprirci a ciò e a chi in questo momento siamo.
Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta in inglese sul blog dell’autrice e viene qui ripreso con il suo permesso. Traduzione dall’inglese di Silvia Gambino