Analisi della comunicazione elettorale e politica ai tempi dei social. Un giro del mondo da Netanyahu, fresco di vittoria, fino a Salvini
Ancora lui, sempre lui. Se i negoziati con i partiti alla sua destra non si accartocceranno, Bibi Netanyahu si avvia a formare il suo quinto governo, e a diventare – forse – il primo ministro più longevo della storia d’Israele. Con buona pace del generale Gantz, che pur avendo ottenuto nel giro di pochi mesi lo stesso successo del Likud (35 seggi) si ritrova con in mano un pugno di mosche – e l’umiliazione di aver dovuto ritrattare l’annuncio di vittoria fatto nella convulsa notte elettorale.
Come ha fatto un uomo politico logorato da vent’anni di ribalta pubblica e dieci ininterrotti al potere, messo all’angolo da pesanti accuse di corruzione per le quali dovrà presto andare a processo, a sbaragliare per l’ennesima volta la concorrenza? Le ragioni stanno in fattori concreti, certo: benessere economico ineguagliato, crollo delle minacce alla sicurezza dello Stato e dei cittadini, rete di rapporti diplomatici sui generis ma solida, a cominciare dal sostegno “esagerato” dell’America di Donald Trump. Ma c’è qualcosa di più.
La carta dei social
Netanyahu è cambiato. O meglio, è cambiato il suo approccio al potere, e alla comunicazione. Per gli israeliani, giovani e meno, quella del 2019 resterà anche e soprattutto la campagna in cui il premier quasi 70enne è “sceso” a discettare su Instagram con l’attrice Rotem Sela, la metà dei suoi anni; e quella in cui ha fatto in modo di calarsi ulteriormente tra gli elettori, entrando direttamente nelle loro case. La carta social si è rivelata vincente. Con la prima, Netanyahu – o i suoi spin doctor, a seconda dei punti di vista – ha colto l’opportunità di un banale commento di sinistra di una celebrity per sganciare la “bomba” elettorale di destra. «Israele non è uno Stato di tutti i suoi cittadini. Secondo la legge dello Stato-nazione che abbiamo approvato, Israele è la nazione-Stato del popolo ebraico, e di nessun altro», ha lasciato cadere Bibi come se questa fosse l’affermazione più naturale della terra in risposta a un post in cui Sela invocava pari dignità per tutti i cittadini del Paese, inclusi quelli arabi. Con la seconda, in una serie di brevi ma curatissimi video elettorali, il premier uscente si è presentato a casa di israeliani ordinari per condividere con loro momenti di vita quotidiana: la ricerca di una babysitter per permettere a una giovane coppia di uscire una sera, una festa in maschera di Purim etc. In filigrana, il cuore del messaggio politico: “Lui” è uno di noi, uno di cui ti puoi fidare persino a lasciare i bambini – al contrario di quegli inaffidabili/falsi politicanti de sinistra.
In Italia, tra Nutella, tortellini e altre leccornie
Suona famigliare? Parecchio, sì. Noi italiani, che in fatto di coltivare semi di invenzioni politiche da esportazione non abbiamo mai sfigurato, ricordiamo ancora gli strali di Berlusconi contro i coglioni in grado di votare a sinistra, tra pullman organizzati e bagni di folla accuratamente orchestrati dalla regia. Con l’epoca dei social però – dove spendiamo tutti ormai più ore che in qualsiasi altro passatempo – tanti altri attorno al pianeta hanno preso appunti, e imparato a stare tra la gente in modo straordinario, senza neppure la scomodità di andarci per davvero. Da noi, il Maestro indiscusso, invidiato e pluri-studiato è Matteo Salvini: con 3,5 milioni di seguaci su Facebook e uno abbondante su Twitter, il leader della Lega occupa la scena ogni santo giorno – in senso lato: Natale e Pasqua e Ferragosto sono tra quelli più ghiotti – camuffando di fatto la sua identità: non quella di un vicepresidente del Consiglio impegnato in compiti istituzionali, ma quella di “uno di noi” prestato temporaneamente alla politica – e al compito di saccagnare gli stranieri, prevalentemente – che condivide pensieri, reazioni basilari su quello che accade, umori, semplicissime azioni quotidiane come il vicino che incontriamo al bar. La fetta di pane e Nutella è assurta a simbolo di questa linea di comunicazione, ma il pantheon gastronomico è variegato – dai tortellini alla dose di latte e miele – così come l’intelaiatura politica di accompagnamento: l’ironia o invettiva costante contro i kompagni della temibilissima (?) opposizione di sinistra.
Una questione internazionale
Né è un caso che anche gli altri grandi interpreti di questo fortunato canovaccio, adeguatamente adattato al contesto e linguaggio di riferimento, siano i più fraterni amici e alleati di Netanyahu: Donald Trump, Narendra Modi, Jair Bolsonaro, Viktor Orbàn. Ciascuno, a modo suo, alla propria latitudine, ha scovato dopo anni di tentativi o malcelate ambizioni la ricetta per arrivare al potere e tenerselo stretto. Era più facile del previsto: dire quello che la gente pensa o vorrebbe pensare – magari dentro di sé, in qualche anfratto del subconscio – fregandosene del politically correct e, in molti casi, delle regole della democrazia. Trump vomita veleno su Twitter senza far caso – o ricercando appositamente – a sgrammaticature, quantità di maiuscole e punti interrogativi e risponde alle domande dei giornalisti con la mimica e il vocabolario dell’uomo appena uscito dal fast-food col suo hamburger tra le mani. Orbàn tappezza le città ungheresi di manifesti contro il finanziere ebreo espatriato che vorrebbe una società aperta e multiculturale. Modi per assicurarsi un secondo mandato nella più grande democrazia del mondo ha modificato il proprio nome su Twitter – dove sfiora i 47 milioni di follower – in chowkidar, guardiano (della sicurezza e stabilità del Paese contro i “mollaccioni” progressisti). Quanto a Bolsonaro, la spericolata scalata alla testa del Brasile non ha scalfito il politically correct: lo ha fatto completamente a pezzi – con la differenza sostanziale che il social-populismo del “sono e resterò uno di voi” in quella terra si è condito di venature militaresche da far rabbrividire.
L’ultimo leader che Netanyahu ha incontrato prima del trionfo elettorale, proprio dopo il neo-presidente brasiliano? Lo stagionato, ma solidissimo Vladimir Putin – con cui nonostante le distanze dei due Paesi su alcuni temi caldi il premier israeliano continua a capirsi al volo.
Nell’era della grande diffidenza verso i “professionisti della politica” e le élites tutte, la ricetta per il successo dunque pare inequivocabile: mescolare alto e basso, calarsi continuamente dentro la folla indistinta dei social, camuffare la propria identità di leader.
C’è un’altra strada possibile, o chiunque aspiri al potere deve seguire questo modello, pena l’irrivelanza? È la domanda che hanno davanti, da oggi ancora con più forza, gli aspiranti leader progressisti di tutto il globo, Italia compresa.
mi spiace, ma ha vinto semplicemente perche ha portato il paese in tripla a, e ha pensato al benessere del suo popolo in primis e alla sicurezza, cose che purtroppo lo ammetto, nessun altro e riuscito a fare. tantomeno avrebbero potuto gli avversari, che hanno pensato solo a demonizzarlo invece che proporre ricette. accostarlo poi a Salvini……
Non mi piace molto questo paragone con i sovranisti nostrani o sudamericani , Bibi è un uomo politico vero che ha saputo conquistare i voti con i risultati ha una classe infinita rispetto al buzzurro Salvini