Storie delle Marche quattrocentesche e di quelle di oggi
Estellina Conat aprì una stamperia insieme al marito nel 1472 a Mantova. Insieme, uniti da un’intesa formidabile e da un amore intenso quanto il loro lavoro con i caratteri mobili, pubblicavano testi di grandi rabbini, studiosi e commentatori e lei, bella quanto determinata, selezionava le opere cui dedicare le sue fatiche, controllava i testi e stava al torchio con una sapienza sopraffina, che si combinava a uno studio approfondito e appassionato. Non era certo usuale all’epoca vedere una presenza femminile in un luogo simile, tanto che Messer Leon, alias Yehudah ben Yehiél, dottissimo medico e rabbino che si rivolge alla coppia Conat per opporsi alla divulgazione di un’opera discussa e contestata di Levì ben Gershon, non si esime, secondo il racconto, dal commentare tanto impegno nel lavoro di stampatrice – studiosa della signora. Non usa parole delicate, ma denotano lo stupore incontrollato dello studioso nel vedere tanto ardore nello studio e nella correzione delle pagine fresche di stampa da parte della moglie di Avraham Conat, cui dice: “Vostra moglie si occupa anche di cucina con tanta solerzia?”. La risposta è prontissima: “E vostra eccellenza sa che la buona educazione precede sempre l’apprendimento e lo studio della Torah?”.
La storia di Estellina è quella della prima donna stampatrice ebrea, ma è anche una storia d’amore profonda e commovente nel contesto di un’Italia ebraica in grande fermento culturale. A raccontarla, insieme ad altre otto vicende, è Vittorio Robiati Bendaud nel suo Il viaggio e l’ardimento (LiberiLibri), una meravigliosa passeggiata nelle Marche che inizia nel 1400 (e non si è ancora conclusa), tra storie ardimentose quanto rivoluzionarie e viaggi di dottissimi medici e sapienti. Il risultato è un piccolo libro prezioso, denso di vita e di storia. A cominciare dalla lingua che Robiati Bendaud offre al lettore. In un attimo infatti si precipita in un passato al gusto di Boccaccio, per immergersi in atmosfere che ci aspetteremmo di trovare nelle novelle Yiddish, portati per mano da uno scrittore pronto ad aprire il sipario su un presente lontano. “Ho cercato di adottare un linguaggio da cassapanca, intesa come luogo in cui si può trovare il libro che svela quelle storie. Più si va avanti nei racconti e più aumenta la distanza con questo linguaggio perché le epoche si avvicinano a noi: l’ultimo è ambientato negli anni 50 del secolo scorso”, spiega l’autore. In effetti il primo, Le peregrinazioni di Manoello e il dolce stil novo, ha a che fare con quello stile dolce, con qualche pennellata boccaccesca, tra ironia e note erotiche in un contesto estremamente colto. “Lo stil novo si muove tra l’idea della donna angelicata e Cecco Angiolieri, che usa quel tipo di poesia per ribaltarla”, continua Robiati Bendaud, “Ma gli autori ebrei dal 10° al 15° secolo vantano grandi poeti liturgici che nel loro repertorio hanno sia la poesia teologica sia quella del divano erotico. C’è una teoria ebraica dell’amore che dal Cantico dei Cantici si esprime in forma di poesia. Gli autori scelgono la metrica araba oppure quella della poesia Italiana, con il sonetto e l’endecasillabo, per parlare di amore e di erotismo, come pure di teologia e mistica. Sono opere interessantissime della produzione spirituale e culturale ebraica, di cui spesso ci si dimentica dell’esistenza”. Manoello da Roma, col nome proprio di Immanuel o come molti avevano preso a chiamarlo, Manoello Giudeo, era un rabbino che si dedicava alla raffinata arte poetica nella geniale forma della maqama, genere con cui venivano narrate “avvincenti e sapide scenette – come si legge nel libro – con colpi di scena e mascheramenti e perle di saggezza finali” nella lingua sacra dell’Islam, si trova a far tappa durante un viaggio in una locanda dove viene svegliato, a notte fonda, dai rumori provocati dalle arti amatorie del vicino. L’occasione è buona per inscenare un incontro fortuito nella locanda tra i due uomini che trovano un sodalizio letterario nel tradurre in versi gli effetti della nottata. L’ironia naturalmente non manca, anzi accompagna la vicenda di questo rabbino letterato che aveva probabilmente conosciuto Dante. “Emanoello fa entrare il sonetto nell’ebraico, rafforza l’uso dell’endecasillabo, copia Dante e per questo venne messo al bando – ancora oggi in alcune yeshivot – perché la sua poesia è irriverente, non è veramente specchio di fede secondo gli usi canonici di emunà e la sua versione dell’erotismo non affonda veramente nella mistica. Insomma, non regge il confronto con Israel Najara che tra la fine del 500 e l’inizio del 600 ha composto versi erotici intrisi di fede. Eppure, ai suoi tempi era piuttosto chiacchierato…”, racconta l’autore de Il viaggio e l’ardimento. Perché? “A fare da delatori furono due pezzi da 90, Hayyìm Vital Calabresi e Menahem Lonzano che raccontarono le vicende di Najara, sposato e con figlia, che andava nelle bettole dei greci e degli arabi a imparare la metrica e a trovarvi ispirazione, e che a loro dire ebbe avventure omoerotiche. I cabalisti di Safed si interrogano sulla possibilità di cantare le sue poesie di Shabat, ancora oggi celeberrime e in uso. La risposta che tradizionalmente p attribuita a Yitzhak Luria fu: “Sì, si possono cantare perché rallegrano Colui che è assiso nei cieli”. Il suo canto più famoso è Yah Ribbòn. La ragione sta nell’emunà, nella fede che gli veniva riconosciuta, così ben espressa nell’afflato mistico che pervade le sue composizioni”.
Tornando alle Marche e all’Italia, il Rinascimento italiano è un momento interessantissimo per la storia ebraica, in pieno fermento culturale e con uno scambio osmotico con la cultura locale, pur ricordando che lo stesso è periodo dei ghetti, dell’inquisizione e della caccia alle streghe. “Sì, ma in Italia il Rinascimento ha avuto un precedente unico: il ‘300. Nel ‘200 e nel ‘300 ci sono alcuni centri importanti come Verona, Roma, Ancona e qualche altra città da cui transitano grandi personaggi ebrei, tutta gente che si scambiava studi e teorie sulla lingua ebraica, sulla mistica e sulla filosofia, anche grazie a prestiti, in andata e in ritorno, con la cultura islamica. Si arrivava poi alla lingua italiana e alla letteratura, con anche il fenomeno controverso ma interessantissimo della cabala cristiana”, dice Robiati Bendaud.
Il linguaggio poi si radica, entra nelle case di tutti e si trasmette di generazione in generazione con modi di dire ed espressioni le cui origini spesso vengono dimenticate, insieme alle storie raccolte e recuperate in questo libro con tanta cura. Ma non è difficile immaginare da dove viene, nel dialetto anconetano, l’espressione “Famo Shabà” per dire che qualcosa è andato bene e vale la pena festeggiare. Non diversamente per la parola che nel piccolo comune montano di Apecchio (PU) si usa per indicare una persona di valore e integra: kashìr.
Si arriva fino qui, tra luoghi meravigliosi che invitano il lettore a prendere e partire per visitarli, tra realtà e fantasia. “Il libro ha anche questo intento, promuovere il turismo ebraico nelle Marche. Era un progetto che rav Laras cercava di portare avanti per dare sostentamento alle piccole comunità, garantendo, attraverso il turismo, la vita ebraica in quei luoghi così antichi e preziosi. Ci stiamo lavorando. Dovrebbe nascere un museo diffuso dell’ebraismo marchigiano che dovrebbe aiutare le comunità a mantenersi, in sinergia con accordi con le città universitarie sul territorio, pronte ad ospitare studenti israeliani e produttori di cibo kasher. Porrebbe fine all’assistenzialismo, modello che non ha funzionato anche perché non ha costretto le piccole comunità a ripensarsi e a rilanciarsi. Il rabbino capo rav Shunnach, raccogliendo l’eredità di rav Laras insieme ad altri amici e a me sta portando avanti questo progetto pilota, speriamo coronato di successo”.
Vittorio Robiati Bendaud, “Il viaggio e l’ardimento”, 144 pagg, 14 euro, LiberiLibri
È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.