La lectio magistralis del filosofo statunitense all’Università di Bar Ilan parla di immigrazione, tra etica, politica ed ecologia
Quali sono i doveri che si pongono di fronte al fenomeno contemporaneo dell’immigrazione? È questo interrogativo a rappresentare il filo conduttore della lectio magistralis tenuta dal filosofo Michale Walzer al dipartimento di filosofia e pensiero ebraico dell’Università Bar Ilan, in occasione della chiusura dell’anno accademico.
Prendendo le mosse dagli obblighi delineati dalla Tradizione in materia (a partire da quello ad amare lo straniero perché “fosti straniero in terra d’Egitto”, Levitico 19, 34), nonché dall’esperienza del popolo ebraico, Walzer si è concentrato sugli obblighi che ricorrono su ognuno di noi, in quanto cittadini di stati occidentali. Tali obblighi – ha precisato il filosofo – non devono necessariamente essere concepiti a detrimento del diritto di ciascuno a “sentirsi a casa” (to feel at home). La sfida, teoretica e pragmatica, è comprendere le forme di relazione ed equilibrio tra questi due piani. Il problema non è rappresentato tanto dai confini, ossia dall’esistenza degli stati, quanto dalle politiche che si inaugurano al loro interno. Se non è in questione il diritto ad avere qualcosa che è proprio – uno stato in cui riconoscersi (homeland) – si tratta allora di comprendere come articolare il dovere all’integrazione. Dovere che, si noterà, è già un passo oltre a quello all’accoglienza (ospitalità) nonché a quello, primario, di prestare soccorso.
Il dovere all’integrazione
Il modello di riferimento per Walzer sembrerebbe rappresentato dagli Stati Uniti. Qui, osserva il filosofo, l’etnica bianca, nord-europea e protestante (i cosiddetti WASP) sarebbe passata a una condizione di minoranza senza che ciò comportasse il venir meno dell’assetto istituzionale degli Stati Uniti. Considerazioni – si potrebbe obiettare – che non rendono conto, anzitutto, dei grandi attriti con cui questo processo ebbe luogo, in particolare in merito alla condizione della popolazione afroamericana. Tuttavia a rilevare, per Walzer, è la possibilità di un’apertura ai flussi migratori che in luogo di indebolire l’assetto istituzionale di accoglienza sia funzionale, attraverso un processo di integrazione, a un suo rafforzamento. Processo giuridico (conferimento della cittadinanza) e culturale – da cui la centralità del sistema educativo – ad un tempo. Ma cosa dire quando tale processo mostra le sue debolezze, come nel caso della Francia contemporanea? O, ancora, come pensare a questo processo in rapporto ai flussi migratori non ebraici in Israele? Attorno a tali interrogativi si è incentrato il dibattito con il pubblico. Rispetto alla condizione francese Walzer si è limitato a indicare nei fattori economici la causa della mancata integrazione di ampie fasce di cittadini di origine arabo-magrebina, evitando di affrontare la questione della diffusione dell’islamismo radicale. Diversamente in riferimento all’immigrazione non ebraica in Israele Walzer ha cercato di cogliere la portata del problema con una battuta – “credo che qui abbiate molti problemi di identità” – atta a indicare il nodo dei rapporti tra cittadinanza (identità giuridica) e religione o afferenza culturale.
La crisi ecologica
Tali difficoltà mettono in luce l’attrito tra un modello teorico incentrato sul concetto di integrazione e la realtà, pur eterogena, degli stati-nazione. Difficoltà destinante a persistere e che tuttavia, allo stesso tempo, permettono di meglio comprendere alcuni aspetti del pensiero di Walzer. Anzitutto perché questi, come si ricordava, riconosce dignità alla nozione di confini e identità statali, vedendovi non solo la condizione di riflussi identitari (sempre possibili) ma anche l’espressione di una necessità propria al vivere sociale. In secondo luogo perché, nell’incedere dell’argomentazione, tali difficoltà hanno l’inaspettato effetto di sollecitarci a cogliere la ragione per cui non ci si possa esimere dal fare i conti con il dovere primario dell’accoglienza e con il dovere dell’integrazione istituzionale. Ragione che Walzer individua nella crisi ecologica. Se oggi i rifugiati climatici rappresentano una determinata porzione dei flussi migratori, domani ne rappresenteranno la cifra quantitativa e qualitativa. È dunque a partire da una considerazione di ordine fattuale (le osservazioni che ci vengono fornite dal mondo scientifico) e pragmatico che si impone la discussione di ordine politico e filosofico. In modo netto Walzer sostiene che, con il maturare degli effetti dei cambiamenti climatici in atto, ciò che oggi la destra populista agita come minaccia retorica – un afflusso di popolazioni migranti destinato a modificare gli attuali assetti demografici – si presenterà come una realtà. Se la sinistra non sarà stata in grado, nel presente, di affrontare il problema trovando un punto di equilibrio tra il dovere di accoglienza e integrazione e il dovere a garantire la possibilità per ogni cittadino di “sentirsi a casa”, sarà, sentenzia il filosofo americano, rovinosamente sconfitta. La predizione non è priva di una proposta costruttiva, dove si ritrovano – sotto una formula che ricorda quella dei bilanciamenti tra i diritti fondamentali, di cui si dibatte nel mondo giuridico – i principi sopra evocati. A giudizio di Walzer si tratta, infatti, di trovare un punto di equilibrio (balance) tra il danno causato in casa propria (figurativamente intesa, ossia le difficoltà comportate dai flussi) e il danno causato all’esterno di questa (il destino dei migranti). Fintanto che il secondo è maggiore del primo prevarrebbe il dovere a, rispettivamente, accoglienza e integrazione. Una considerazione che può lasciare perplessi – perché i criteri di misurazione non sono chiari, e perché la sfera del dovere sembra sfumare in quella pragmatica.
Quale che sia il giudizio di merito su queste conclusioni è chiaro che l’analisi di Walzer, per come restituita in occasione di questo intervento, si muove tanto sul piano della descrizione della realtà sociale, delle esigenze e contraddizioni che la abitano, quanto su quello assiologico, dell’individuazione, cioè, di quei valori che, a suo giudizio, dovrebbero informare la gestione della realtà.
Su questo sfondo è possibile isolare degli aspetti rilevanti per il pensiero ebraico [mahshevet israel] e sul piano filosofico. Tanto che si viva come ebrei in Israele o in diaspora, si vive sulle tracce di una Tradizione che si sforza di gettare nella dimensione dell’essere, della natura, un orientamento etico – con il suo portato di obbligazioni. Allo stesso tempo esiste una necessità, che è dell’uomo come di altri animali, ad avere qualcosa di proprio, territorio o casa che sia. Da ciò la sfida e la difficoltà a come declinare il ‘dovere’ contratto con chi, di quella casa, si trova alle soglie.