Breve ritratto della scrittrice caraibica
Tra le candidate in pole position per il Nobel per la letteratura compare Jamaica Kincaid. Almeno stando alle rivelazione che la giornalista svedese Bjorn Wiman, avrebbe fatto all’inglese Guardian. Una scelta, secondo Wiman, che riporterebbe l’Accademia svedese in acque tranquille dopo gli scossoni che da due anni hanno coinvlto la commissione.
“Credo che faranno una scelta sicura”, ha detto Wiman. “Daranno il premio a un’autrice donna, che non è europea”.
In effetti, dei 116 vincitori, solo 15 sono donne, nella stragrande maggioranza europei e di questi moltissimi svedesi. Non solo. A suscitare non poche polemiche era stata la scelta, nel 2019, di conferire il premio a Peter Handke, un autore che ha messo in dubbio i crimini di guerra serbi durante il genocidio bosniaco e ha difeso vocalmente il criminale di guerra serbo Slobodan Milosevic. Così Kincaid sembrerebbe riequilibrare le scelte dell’Accademia e rappresentare la moderazione. Ma si può pensare all’autrice caraibica in questi termini?
Kincaid nasce Elaine Cynthia Potter Richardson ad Antigua nel 1949. Si trasferisce a New York all’età di 16 anni. Comincia lavorando come ragazza alla pari a Manhattan e diventa scrittrice dello staff del New Yorker, passando per varie collaborazioni giornalistiche. In quei primi anni da autrice cambia il nome: la famiglia disapprovava il suo lavoro. Scirve dunque Annie John, una storia dall’impronta autobiografica che poi svilupperà in Lucy, racconto immaginario sul significato di diventare grandi in un paese straniero. Il suo sguardo acuto di scrittrice torna poi sulle sue isole a più riprese. Comincia con The Autobiography Of My Mom, incentrato sul colonialismo, per approdare, dopo altri scritti, al racconto-saggio Un posto piccolo (A Small Place), in cui con estrema lucidità associa il turismo al colonialismo. O meglio, il primo sarebbe una versione aggiornata del secondo. Il libro ha ricevuto molte critiche, a cominciare dall’impossibile sua classificazione nei generi letterari: si tratta di un racconto autobiografico, di un saggio o di un romanzo post coloniale? Per l’autrice, è un romanzo volutamente rozzo e maleducato per destabilizzare i lettori, che le viene rifiutato dal New Yorker perché troppo rabbioso, di fatto un saggio politico che si legge come un racconto.
In questo libro Kincaid ribalta completamente i piani classici: assurge la propria identità di donna nativa di Antigua ad autorità contrapposta alla presunta superiorità del turista/lettore/uomo occidentale. Che qui diventa il diverso, l’indesiderato, l’ignorante che considera l’isola caraibica unicamente come luogo in cui trascorrere le vacanze senza considerare la difficile situazione socio economica e il suo passato coloniale. Così l’esperienza del turista viene contrapposta alla vita degli abitanti di Antigua, prevalentemente discendenti di schiavi africani portati sull’isola all’epoca della tratta, in un legame sotteso per Kincaid tra il turista occidentale e gli imperialisti che hanno dominato i Caraibi. Ma non è finita perché colpevoli sono anche i Caraibi stessi. Ne denuncia la corruzione e la scelta assistenzialista di dipendenza economica (avallata dall’apertura al turismo) dall’Europa e dagli Stati Uniti. Gl stessi abitanti di Antigua sarebbero responsabili di tutto ciò per la propria ignoranza, manifesta nell’incapacità di rilevare il legame tra turismo e colonialismo.
Beh, potrebbe essere un Nobel forte, interessante e forse necessario quello che potrebbe essere conferito a Jamaica Kincaid, sposata a lungo con il compositore ebreo Allen Shawn, convertita all’ebraismo e madre di tre figli.
Se vincerà il Nobel, non sarà una scelta “sicura”, ma un omaggio al suo lavoro, audace e coraggioso.