Breve incursione nella vita e nella produzione artistica dell’istrionico artista cileno, in occasione di una rassegna a lui dedicata
“Siamo fatti della stessa sostanza del divino: entrare nel sacro significa entrare in se stessi” ha detto Alejandro Jodorowsky in un’intervista con Franco Battiato. E lui in effetti ha cercato in ogni modo di raccontare l’intenzione divina nell’umano, così come quella diabolica: l’ingrediente è lo stesso, una forma di energia vitale, senza la quale non potremmo vivere, ma che è costruttiva o distruttiva a seconda di come viene impiegata.
Per lo scrittore, fumettista, regista, psicologo, inventore della psicomagia e drammaturgo cileno quella ricerca dura da tutta la vita. E l’obiettivo di tutti i suoi lavori artistici è quello di coinvolgere il pubblico in un cambiamento di sè. In una presa di coscienza che potrebbe condurre a incontrare quella sostanza divina di cui siamo fatti. Solo che l’incontro prevede la distopia, la paura, la follia e tutti gli ingredienti che compongono il lato oscuro dell’essere umano. Lo ha raccontato magistralmente in due film culto degli anni 70, El topo e La montagna incantata (che piacquero a John Lennon al punto da chiedere al suo manager Allen Klein di acquistarne i diritti per garantirne la distribuzione). Lo ha fatto nei suoi romanzi e nei suoi spettacoli teatrali, come anche nella pratica della psicomagia, una tecnica che fonda le proprie radici nel surrealismo di André Breton e una pratica messa a punto da una guaritrice messicana. Si basa sul “gesto effimero” come lo chiama il suo ideatore, un atto che spezza la quotidianità del paziente, attraverso cui il paziente sarà capace di trovare la strada della guarigione.
La sua storia comincia nel 1929, anno della sua nascita in Cile, da una famiglia ebraica fuggita dall’Ukraina. Dell’infanzia cilena non conserva un bel ricordo, a base di una madre anaffettiva e di un padre troppo rigoroso, e della presa d’atto della diversità. Prima fra tutte quella di essere un giovanissimo ebreo bullizzato dagli altri ragazzini. Della storia della sua famiglia ha raccontato in molti suoi lavori, pescando quasi sempre da elementi della sua biografia, ma nel libro Quando Teresa si arrabbiò con Dio, la storia della nonna da corpo a una disamina sulle sue origini:
Nel 1903 mia nonna Teresa, madre di mio padre, si arrabbiò con Dio e anche con gli ebrei di Dnepropetrovsk, in Ucraina, perché continuavano a credere in Lui malgrado la micidiale inondazione del fiume Dnepr. Durante l’alluvione era morto Giuseppe, il suo figlio prediletto. Dopo il funerale, inseguita dal marito e stringendo a sé i quattro piccini che le rimanevano, entrò come una furia in sinagoga, irruppe nella zona che le era vietata in quanto donna, spintonando gli uomini e imprecò: i tuoi libri mentono!
Così si legge in quelle pagine, storia di un viaggio dall’Ukraina a Marsiglia per poi imbarcarsi alla volta del Cile lungo i fatti del Novecento, tra la Rivoluzione Russa, la dittatura staliniana, il partito comunista cileno, fino alla nascita dell’autore, narrata fin dalla gestazione.
Psicomagie. O meglio, l’incontro della cultura yiddish con il realismo magico del Sud America. Forse è questo un ingrediente veramente inalienabile di tutto il pensiero jodorowskiano e di tutta la sua ricca produzione. Che ora arriva in una rassegna al Cinemino di Milano, con un’anteprima: la proiezione di Psicomagie: un’arte che guarisce (con l’intervento di Rebecca Saba che offrirà agli spettatori una lettura dei tarocchi, di cui Jodorowsky è attento studioso). Si tratta di un documentario sulla psicomagia e come viene praticata, mostrando un percorso attraverso il quale ritrovare se stessi, superando le barriere imposte dalla società, dalla famiglia e dalla cultura.
La rassegna Cantiere Jodorowsky comincia l’8 di ottobre per concludersi il 13 con un cartellone ricco: oltre all’anteprima andranno sul grande schermo i capolavori di Jodorosky regista. Poesia senza fine (2016) è un’opera che attinge alla biografia dell’artista raccontando la rottura con la famiglia d’origine per vivere in una comune di artisti. Segna l’inizio della sua rivoluzione culturale. La montagna sacra (1973) per i cultori di Jodorowsky è il film più rappresentativo del mondo immaginifico, onirico e simbolico del regista cileno. La storia di nove uomini in cerca del’immortalità è declinata con ironia dall’Alchimista, impersonato da Jodorowsky stesso, il guru che dovrebbe consegnare i segreti della vita eterna ai suoi seguaci ma non sarà in grado di farlo. Mentre invece saprà prendersi gioco dello spettatore. El topo (1971) è una metafora filosofica. El topo in spagnolo è la talpa, animale che vive al buio e che quando esce alla luce non riesce a vedere. Le vicende sono narrate in un western psichedelico, decisamente unico. In calendario anche due lavori giovanili, il corto d’esordio La cravatta (1957) tratto da una novella di Thomas Mann e il primo lungometraggio, realizzato nel 1968, Il paese incantato.
L’omaggio alla creatività di Jodorowsky procede anche al teatro Franco Parenti di Milano, dove è in scena la sua Opera Panica. Cabaret tragico per la regia di scenico Fabio Cherstich.