La tradizione ebraica attribuisce ai discendenti di Caino la responsabilità di aver trasformato la natura conflittuale dell’uomo in un sistema e in un modo di espressione strutturato: la guerra.
La guerra fa parte delle espressioni dell’uomo che oggi consideriamo più inaccettabili. Forse perché essa deriva in gran parte dall’insopprimibile necessità dell’essere umano di imporsi sull’altro e di schiacciarlo, per diverse ragioni, alcune delle quali più giustificabili o comprensibili rispetto ad altre. Il problema della guerra è sempre stato molto sentito nella cultura ebraica, a causa della difficile storia del popolo d’Israele, che ha spesso dovuto difendersi, e talvolta è stato costretto ad agire preventivamente per evitare di essere distrutto. A questo dobbiamo aggiungere che la dimensione del conflitto militare è senza dubbio importante nella narrativa biblica, e questo aspetto è di grande problematicità, perché ha condotto molti a immaginare la cultura ebraica come una cultura aggressiva, caratterizzata da un’idea violenta della Trascendenza divina che avrebbe ispirato gli scritti biblici.
Credo che per comprendere meglio l’idea della guerra in ambito ebraico, sia necessario partire dalla constatazione a cui la Torah ci conduce fin dal suo inizio. Il racconto di Caino e Abele, agli albori del cammino dell’umanità, ci mostra l’uso della violenza come espressione dell’incapacità dell’essere umano di trovare un linguaggio di altro tipo per interagire col prossimo.
Adam penetra Hava, sua moglie. Concepisce, dà alla luce Caino, dicendo: “Ho acquisito un uomo con YHVH.” Continua dando alla luce suo fratello, Abele. Abele è un pastore di pecore, ma Caino è un servo del suolo. E alla fine dei giorni, Caino porta dei frutti della gleba, offerta per YHVH. Anche Abele porta i primogeniti delle sue pecore e il loro grasso. YHVH considera Abele e la sua offerta. Ma Caino e la sua offerta, non li considera. Brucia molto Caino, i suoi volti cadono. YHVH dice a Caino: ” Perché ti brucia, perché i tuoi volti sono caduti?Se fai bene non risolleverai? Ma, se fai male, la mancanza è in agguato alla porta, e la sua passione è verso te; ma tu, dominala!” E Caino dice ad Abele suo fratello … E mentre sono nel campo, Caino insorge contro suo fratello Abele e lo uccide.[1]
Questo racconto è alle radici di ogni conflitto umano, che sia individuale o collettivo, giacché il libro di Bereshit/Genesi, intende fra l’altro esprimere in chiave individuale e famigliare tutte le dinamiche principali che poi si svilupperanno nella sfera del collettivo e nel destino dei popoli.
Nella narrazione biblica, noteremo che Caino parla ad Abele, ma il contenuto di quanto detto non è riportato. Come a significare che Caino si esprime in un linguaggio muto, un linguaggio completamente incomprensibile, e la frustrazione per l’indicibilità della sua frustrazione e della sua sofferenza creano il substrato che condurrà all’uso della violenza. Da questo momento in poi, ogni conflitto tradurrà questa impossibilità di comunicazione che sembra attanagliare l’essere umano fin dagli albori della sua esistenza. Proprio in questi giorni il presidente ucraino Zelensky, di radici ebraiche, ha chiesto agli ebrei del mondo di non restare in silenzio riguardo a quanto sta avvenendo, perché il nazismo stesso è nato nel silenzio.
Se consideriamo poi che l’etimologia ebraica del nome Caino deriva da una radice che esprime l’idea di possedere, tutto questo ci appare comprensibile. Caino prende infatti la vita del fratello, forse anche per sottrargli dei beni, ma senza dubbio per prendere possesso del suo ruolo di individuo prediletto dalla Trascendenza.
Non a caso la tradizione ebraica attribuisce proprio ai discendenti di Caino la responsabilità di aver trasformato questa natura conflittuale dell’uomo in un sistema e in un modo di espressione strutturato: la guerra.
«AChanoch nasce Irad; Irad genera Mechuiaèl e Mechuiaèl genera Metushaèl, e Metushaèl genera Lemech. Lemech prende due mogli: una chiamata Ada e l’altra chiamata Tzillà. Ada partorisce Iaval, è il padre di quanti abitano sotto le tende presso il bestiame. Il fratello di questi si chiama Iubal, è il padre di tutti i suonatori di cetra e di flauto. Tzillà a sua volta partorisce Tuval-kàin, il fabbro, padre di quanti lavorano il rame e il ferro. La sorella di Tuval-kàin è Naamà.
Lemech disse alle mogli: «Ada e Tzillà, ascoltate la mia voce; mogli di Lemech, porgete orecchio al mio dire: Ho ucciso un uomo per una mia ferita e un ragazzo per un mio livido.
Sì, sette volte sarà vendicato Caino, ma Lemech settantasette».[2]
Questo passo, di non facile comprensione, è letto dalla tradizione rabbinica in questo senso: Tuval-Kain sarebbe stato il primo costruttore di armi, e suo padre Lemech avrebbe ucciso il figlio per errore. [3]
In seguito poi, Lemech però reagisce in modo arrogante a questo dramma, con una sorta di delirio di onnipotenza in cui esprime l’idea che, proprio come Caino era rimasto indenne dopo l’assassinio del fratello, lui è ancora più protetto, visto l’arsenale di armi che ha a disposizione.
La discendenza di Caino darà quindi alle pulsioni distruttive dell’essere umano una dimensione nuova e organizzata attraverso l’uso delle armi. A quel punto, la guerra diviene un’opzione possibile.
In ebraico, il termine principale per designare la guerra è milchamà, termine derivato da una radice ebraica che è la stessa della parola Léchem, pane. Nel suo commento al passo “Con il sudore del tuo volto mangerai pane” [Gn. 3:19], il rabbino S.R. Hirsch [4] esprime un’idea molto interessante: il collegamento fra i due termini, lechem/pane e milchamà/guerra, sarebbe da intendere nel senso che l’essere umano deve per prima cosa lottare per ottenere il suo pane dalla natura, e successivamente però confrontarsi con i suoi simili al fine di poterlo conservare.
Uno dei miei maestri, Rabbi J. Gelberman z’l, spiegava secondo la dottrina chassidica la prossimità dei due termini nel senso che la pulsione del nutrirsi per sopravvivere genera un conflitto costante fra l’aspetto prettamente animale dell’essere umano e la sua capacità di sublimare tale natura. In tal senso, la soddisfazione dei suoi appetiti può costituire un atto grossolano oppure, se accompagnata da un elevato livello di riflessione e di spiritualità, trasformarsi in una disciplina di crescita e miglioramento.
Nel cap. 14 del libro di Shemot/Esodo troviamo il primo combattimento che il popolo ebraico deve affrontare In quella sezione del libro la radice ebraica l-ch-m, la stessa di “guerra” e di “pane”, è usata in modo estensivo nelle due accezioni, a confermare il legame fra questi concetti. L’inizio di questa sezione dice:
E fu quando il Faraone mandò via il popolo. Elohim non li condusse attraverso il cammino dei Filistei perché troppo vicino. Perché Elohim disse: “Affinché il popolo, vedendo la guerra, non ritorni in Egitto.” Elohim devia il popolo attraverso il deserto del mare di giunco. I figli d’Israel salgono dalla terra d’Egitto armati”.[5]
Questo passo ci informa quindi del fatto che gli israeliti erano usciti dall’Egitto armati. È un’idea un po’ particolare, se pensiamo che si trattava di un popolo di schiavi senza arte né parte, appena liberato. L’altro aspetto interessante è che proprio all’inizio di tutta questa vicenda il Faraone, per persuadere il proprio popolo ad agire contro gli ebrei afferma:
E disse al suo popolo: Ecco, il popolo dei figli d’Israel è più numeroso e forte di noi. Andiamo, cerchiamo di essere più saggi di lui affinché non si moltiplichi! Perché potrebbe succedere che, se si verificasse una guerra, lui si aggiunga ai nostri nemici e guerreggi contro di noi, salendo dalla terra.[6]
In effetti, alla conclusione di tutta la lunga sezione della schiavitù in Egitto, vediamo che gli ebrei sono effettivamente pronti a battersi contro il popolo che li aveva schiavizzati. Molto probabilmente questo non si sarebbe mai verificato se gli egiziani non avessero scelto di schiacciare il popolo ebraico. Vediamo qui che la disposizione al combattimento è spesso una conseguenza degli abusi subiti, ma anche che l’essere umano tende a trasformarsi nella direzione in cui viene spinto e a prendere le sembianze con le quali è stato descritto, anche qualora queste sembianze siano negative.
In modo coerente con il carattere di questa sezione, poco prima dell’apertura del mare, evento che eviterà il confronto diretto, Moshé dice al popolo ebraico pronto alla pugna: “YHVH combatterà per voi, e voi quietatevi.” (7). Questa affermazione getta una luce nuova sul conflitto, perché viene annunciato che sarà la Trascendenza a battersi per Israele. Per questa ragione, dopo il passaggio del mare, i figli d‘Israele affermeranno, all’interno dell’inno conosciuto come la Cantica del mare, “YHVH è uomo di guerra.”[8] In questo contesto la guerra rappresenta il culmine del processo delle piaghe d’Egitto, e al pari di esse viene portata direttamente dalla Trascendenza. Dopo questa guerra, combattuta appunto non dall’uomo ma dalla Trascendenza divina, e prima di quella che gli israeliti dovranno combattere in prima persona contro Amaleq, si frappone una narrativa importante, in cui la radice l-ch-m, col significato di pane, è fondamentale:
Nel deserto tutta la comunità dei figli d’Israele mormorò contro Moshè e contro Aharon. I figli d’Israele dissero loro: «Fossimo morti per mano di YHVH nel paese d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatti uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine». Allora YHVH disse a Moshè: «Ecco, io faccio piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina secondo la mia Torà o no.[9]
L’importanza della radice l-ch-m, pane, è sottolineata dal fatto che nel capitolo 16 la troviamo otto volte nel testo, aspetto notevole in considerazione dell’uso abbondante che ne viene fatto nei capitoli immediatamente precedenti e seguenti con il significato di “guerra”.
La prossimità d’uso di queste due parole così diverse ma unite da queste radice ebraica, lechem e milchama, pane e guerra, non può che sorprenderci, specie in questo contesto di nascita del popolo ebraico, a cui il destino riserverà notevoli conflitti.
Inoltre nel versetto precedentemente citato, “YHVH combatterà per voi, e voi quietatevi” [10], l’imperativo “quietatevi”, tacharishun, deriva dalla radice ch-r-sh, che significa anche “arare”. [11]
Leggere questo passo usando in filigrana questi significati complementari, apre la strada a riflessioni molto particolari. Se invece di leggere “YHVH combatterà per voi, e voi quietatevi”leggiamo “YHVH panificherà per voi, e voi arerete”, la promessa non è più incentrata sull’aspetto guerresco della Trascendenza e sul destino di conflitto che attende gli israeliti. L’accento sarà posto invece sul fatto che il futuro di questo popolo appena liberato sarà quello di prendere in mano il proprio destino nella propria terra, arando, coltivando e mietendo, anno dopo anno. La guerra è forse necessaria in quel momento preciso, ma è temporanea, e all’immagine della Trascendenza come “uomo di guerra” si sostituirà presto quella dell’entità che nutre l’essere umano lavorando in partenariato con quest’ultimo.
Immediatamente dopo questi avvenimenti, il popolo di Amaleq attacca Israele senza ragione, muovendogli di guerra: “E viene Amaleq, e guerreggia contro Israele a Refidim” [12]. In questo caso sarà Israele a doversi battere con le proprie mani, ma dovrà farlo in connessione con la Trascendenza. Il testo lo sottolinea mostrando che la vittoria sarà possibile solo se Moshé mantiene le braccia verso l’alto in maniera tale che i figli di Israele ricordino il loro ruolo di popolo portatore di un’etica che deve rimanere tale anche nella più estrema delle situazione, ossia quella del conflitto.[13]
A partire da quel momento, la guerra diventa un affare interamente umano, ma questa immagine così particolare della necessità di mantenere le braccia orientate verso l’alto rimane per l’ebraismo un elemento fondamentale. L’ebraismo non è e non può essere pienamente pacifista, perché alcune realtà, come il male assoluto incarnato da Amaleq, richiedono di essere combattute attivamente, e in alcuni casi il conflitto è inevitabile. Ma queste mani verso l’alto ricordano la necessità di non trasformare mai la guerra in un atto di crudeltà assoluta e gratuita. Per questa ragione, più tardi, nelle leggi relative alle azioni militari la Torah ricorderà la necessità di non distruggere alberi o altri elementi estranei al fattore prettamente militare: “Quando assedierai una città per molti giorni, per combattere contro di essa, per catturarla, non distruggere la sua vegetazione, brandendo un’ascia contro di essa.” [14]
Queste brevi riflessioni devono ricordarci che la guerra, talvolta tragicamente necessaria, non deve diventare mai il pretesto per lo sfogo delle peggiori pulsioni dell’essere umano. Perfino in quel tragico contesto vi è la possibilità di un orientamento verso un cammino che nonostante tutto rimanga un cammino di vita che porti verso lo Shalom, la pace. Non necessariamente una pace assoluta, che forse va al di là delle possibilità dell’essere umano. Ma una pace sufficiente per poter “essere liberi di impegnarsi nella Torà e nella saggezza senza alcuna pressione o disturbo”[15], come insegna Maimonide. E una pace sufficiente affinché, per dirla con le parole del profeta: “Una nazione non leverà più la spada contro l’altra, e non impareranno più la guerra”.[16]
Rabbino Haim Fabrizio Cipriani
Haim Fabrizio Cipriani è rabbino e musicista. Già membro delle assemblee rabbiniche europee e dei tribunali rabbinici dei movimenti ebraici Conservative e Reform, svolge il suo ministero presso le comunità ebraiche ULIF (Marsiglia), e Kehilat Kedem (Montpellier), oltre che presso la comunità italiana Etz Haim, da lui fondata.
In campo musicale è attivo come violinista e direttore. Si produce da trent’anni nelle più grandi sale da concerto e ha effettuato centinaia di registrazioni discografiche. È docente di violino storico presso il Conservatorio di Bari.
1 Gn. 4 :1-8, traduzione Di H.F. Cipriani (questo vale per tutti i passi biblici citati).
2 Gn. 4, 18-24.
3 Cf. Tanchumà Bereshit 11.
4 Germania, 1808-1888
5 Es. 13 :17-18.
6 Es. 1 :9-10.
7 Es. 14 :14.
8 Es. 15:3
9 Es. 16:2-4.
10 Es : 14:14.
11 Cfr. Gn. 45:6 ; Giobbe 4:8.
12 Es. 17:8.
13 Cf. Rashi su Es. 17 :11 e TB Rosh haShanà 29a.
14 Es. 20 :19.
15 M.Maimonide, Mishné Torà 12:4.
16 Is. 2 :4.
Haim Fabrizio Ciprianiè rabbino e musicista.
Svolge il ministero rabbinico in Italia presso la comunità da lui fondata Etz Haim, unica comunità ebraica italiana associata al movimento Massorti/Conservative, e in Francia presso la comunità Kehilat Kedem di Montpellier. È autore di diversi saggi a tema ebraico editi da Giuntina e Messaggero.
In campo musicale è attivo come violinista e direttore. Si produce da trent’anni nelle più grandi sale da concerto e ha effettuato centinaia di registrazioni discografiche.