La recensione del libro di Piero Stefani edito da Giuntina
L’era della testimonianza volge al tramonto, i testimoni diretti della Shoah stanno progressivamente scomparendo, i loro racconti affidati ad altri custodi della memoria. Questo passaggio si sta consumando in un periodo complesso come quello che stiamo vivendo, dove le discriminazioni e le intolleranze sono ancora tristemente presenti.
La parola a loro ci ricorda che c’è voluto del tempo per costruire questa memoria e che dobbiamo impegnarci affinché la sua potenza si presenti ancora viva e insostituibile, e affinché il trascorrere degli anni, dei mesi e dei giorni non la affievolisca.
«Ancora una volta il Giorno della Memoria! Ma perché insistete tanto sul passato; perché ogni anno ci mettete davanti al naso queste vecchie storie? Perché continuate a ossessionarci con la memoria?». Queste sono le prime battute che aprono il volume di Piero Stefani intitolato La parola a loro. Dialoghi e testi teatrali su razzismo, deportazioni e Shoah, pubblicato da Giuntina nel 2021, in cui l’autore raccoglie una decina di testi teatrali, sotto forma di dialogo, legati all’attuale narrazione della Shoah. L’origine di quest’opera risale all’invito ricevuto da Piero Stefani da parte dell’Accademia Corale Vittore Veneziani di Ferrara per organizzare, a partire dal 2012, un “Concerto della memoria”. I testi che si snodano nei nove capitoli che costituiscono il volume, sono tratti e modellati da rappresentazioni teatrali originali e riproposti sempre in una forma dialogica. Una soluzione questa che diventa una costante in un libro che, come dichiara l’autore, vuole favorire il confronto e promuovere uno scambio sempre attivo di opinioni tra insegnanti e allievi, tra testimoni e ascoltatori, tra narratori e lettori. In questo processo di commemorazione sono state coinvolte scuole primarie, studenti delle medie e delle superiori e queste rappresentazioni hanno sempre fatto parte delle manifestazioni ufficiali del Giorno della Memoria.
L’opera, a metà tra testimonianza e narrazione, si aggiunge a tutte quelle necessarie azioni commemorative del presente, quest’ultimo definito (giustamente) da Gadi Luzzatto Voghera nella postfazione come un “momento di transizione”, in cui la riflessione sulla memoria della Shoah è accompagnata dalla preoccupazione per la fine dell’era del testimone e per il riemergere di espressioni di antisemitismo e di odio.
La parola a loro riesce, nella sua struttura semplice e diretta, a dar voce ai ragazzi e le ragazze di Villa Emma, agli studenti della scuola ebraica di Ferrara, ai cori maschili degli Internati Militari Italiani che «al loro ritorno in patria sono ignorati e scomodi», alla Senatrice Liliana Segre, a Jean Sammuel, chiamato Pikolo da Primo Levi e a tutte le altre vittime innocenti della Shoah, ricordandoci sempre che le testimonianze dei superstiti, dei sopravvissuti riemergono dal passato, ma sono rivolte anche e soprattutto alle nuove generazioni, ai ragazzi e alle ragazze che oggi si chiedono spesso perché a gennaio bisogna sottoporsi al rito commemorativo del Giorno della Memoria.
L’autore apre il suo libro ponendosi proprio questo interrogativo, sciogliendo il dubbio con soluzioni e parole non retoriche. E anche se quegli eventi per i più giovani sono ormai lontani, di Auschwitz oggi se ne sente parlare con più vigore di prima, con un rinnovato interesse volto a non banalizzare l’evento, a mantenere vivo il ricordo non solo attraverso un atto meramente celebrativo. Forse è vero che il 27 gennaio è percepito dagli studenti, dai più giovani come un rituale di cui è difficile capire a fondo il significato, ma Piero Stefani riesce a far rivivere le condizioni estreme dei perseguitati, a rievocare ogni stato d’animo, a trasportare il passato nel presente trasformando tutto ciò in un efficace antidoto contro il razzismo, l’odio e l’oblio.
Il lavoro di trascrizione dei testi è poi spiegato nelle schede didattiche situate alla fine del volume, in cui sono approfonditi gli obiettivi, le finalità e i risultati attraverso una metodologia esplicativa che permette al lettore di entrare ancora di più nel profondo di ogni singola storia scelta, di conoscere attraverso le lenti della sperimentazione sul campo ogni singolo personaggio presentato. Così, Piero Stefani ci ricorda che il secondo articolo della legge istitutiva del «Giorno della Memoria», del 20 luglio 2000, individua nelle scuole i luoghi privilegiati per attuare «iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione […] su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti […] affinché simili eventi non possano mai più accadere», invitando docenti e allievi a porre una maggiore attenzione e partecipazione al Giorno della Memoria. Il suo libro è stato scritto in parte per loro, scegliendo di adoperare una varietà di temi che fuoriesce dalle pagine attraverso un utilizzo libero e creativo del volume stesso e si trasforma in rappresentazione, contribuendo alla crescita della coscienza etica e civile di chi agisce, ma anche di chi assiste.
Una scelta quella di Stefani che potremmo definire metanarrativa, un viaggio non solo tra le biografie delle vittime, ma anche geografico, nonché un approdo nella storia delle donne scampate o morte nell’Olocausto: Regina Jonas, Edith Stein, Liana Millu, per citarne alcune. Queste dovettero misurarsi con situazioni estreme, capaci di trasmettere una grande forza evocativa e comunicativa. I dialoghi presentati arrivano in tutta la loro verità documentaristica, diventano storia viva da raccontare e raccontare ancora, così come vediamo nel capitolo intitolato Il canto di Primo, che potremmo definire quasi un intermezzo di ricerca, un’approfondita analisi e riflessione letteraria posta sul macro sfondo della storia della Shoah, dei campi di concentramento, della lotta per la sopravvivenza.
La parola a loro si presenta come un’opera completa, ipermediale e come una lettura coinvolgente e vorticosa, in cui rivivono situazioni, volti, storie. Non è solo un’opera, così come scrive Ottavia Piccolo nella prefazione, ma è «una specie di vaccino (termine di cui abbiamo di nuovo imparato a comprendere l’insostituibilità) contro le discriminazioni e le intolleranze purtroppo ancora così presenti nel nostro mondo».
Classe 1991, è PhD Candidate dello IULM di Milano in Visual and Media Studies, cultrice della materia in Sistema e Cultura dei Musei. Studiosa della Shoah e delle sue forme di rappresentazione, in particolare legate alla museologia, è socia dell’Associazione Italiana Studi Giudaici.