Cultura
“La zona d’interesse” un film di Jonathan Glazer

Un film opera d’arte, dove suono e video si intrecciano per raccontare un quotidiano atroce, nella quiete di un giardino attiguo ad Auschwitz. Dall’omonimo romanzo di Martin Amis

Il rumore di Auschwitz. Il suono dell’orrore. Un suono incalzante, sempre più forte, orchestrale, una ouverture post Stockhausen, che poi rallenta fino al silenzio, per lasciare spazio all’inascoltabile. Allora lo schermo da nero accoglie prima un cinguettio e poi la prima scena: una scampagnata famigliare sul fiume. Si entra subito nella vita quotidiana di una famiglia numerosa e benestante tedesca degli anni 40, che vive in una casa grande con un giardino ben curato, con il prato, le sdraio e una bella serra sul fondo. Ma si vede anche un filo spinato teso a più mandate, che delimita un muro, come un’area militare o di confine o… di Auschwitz.
È La zona d’interesse, casa e relativo giardino del comandante Rudolf Höss e famiglia, costruita proprio accanto al campo di sterminio di Auschwitz, narrata per la prima volta nell’omonimo romanzo di Martin Amis (Einaudi) e ora messo in scena (con lo stesso titolo) dal regista Jonathan Glazer insieme alle musiche di Mica Levi e la supervisione del sound designer Johnny Burn. Perché La zona d’interesse è un film duplice, da guardare e da ascoltare.

Il film da guardare descrive la vita della famiglia, la spietatezza del padrone di casa (Christian Friedel), gelido efficientista che punta tutta l’attenzione al perfetto funzionamento della macchina Auschwitz, volta a realizzare lo sterminio, e la crudeltà di sua moglie (Sandra Hüller), pronta a pavoneggiarsi con vestiti, pellicce ma anche diamanti di provenienza ebraica e a condurre un’esistenza famigliare nell’agio e nel comfort, con aiuti domestici e bambinaie che si occupano dei numerosi figli. Per loro, un’esistenza quasi normale. Ma campo e controcampo raccontano l’orrore in un continuo rimbalzo della quiete campagnola con l’inferno di Auschwitz. Girato come un vecchio film o come un super8 delle vacanze, con campi lunghi lenti e ampi, mantiene però sempre il gioco speculare del controcampo a mostrare la doppiezza e l’assurdità della banalità del male. Auschwitz non dorme mai, la notte colora di rosso il cielo, il giorno di grigio con il fumo della sua ciminiera e quella torre di controllo che svetta sopra a tutto. Il giardino degli Höss è continuamente vissuto dai famigliari, dagli ospiti o dal personale di servizio e di notte cede al buio, mentre tutti (o quasi) dormono nelle loro stanze per poi riprendere le attività nella routine del giorno seguente.

Poi c’è il film sonoro. Le musiche di Mica Levi sono state composte prima così come la ricerca sonora che doveva imprimere una direzione precisa all’andamento del film. C’è la composizione musicale che irrompe nel film a sottolineare, spesso a contrasto, momenti del film visivo e c’è un rumore che non molla mai. Il rumore di Auschwitz, dieci anni per metterlo a punto, dieci anni per realizzare uno sciame di perturbazioni sonore, un basso continuo e sottile di latrati, urla, minacce, spari, lamenti, combustioni, orrore. Johnny Burn ha ricercato, studiato e riprodotto i possibili suoni del 1943 e li ha raccolti in un repertorio: colpi d’armi da fuoco, fragore dei forni inceneritori, articolazioni di voci, passi, rumori industriali fino a mettere a punto il paesaggio sonoro della morte scientificamente pianificata. Resta dentro, il rumore di Auschwitz, anche dopo la visone del film. Torna nella mente, quasi in un sentire fisico, anche dopo aver dato una piccola tregua. E poi ci sono le favole, gli incubi e una bambina che fatica a dormire in quella casa dell’angoscia. Allora il papà, il comandante Rudolf Höss, si metterà sul letto con lei per leggerle una favola e finalmente accompagnarla in un sonno ristoratore. Un incubo visivo in un bianco e nero sovraesposto dove la bestia sonora si nutre della gentilezza e delle immagini delicate di una fiaba. Angoscia ricorsiva, che si ripete identica ogni notte.

La zona d’interesse è un film artistico, un’opera d’arte, quasi un’installazione audiovisiva che inchioda. E quel paesaggio sonoro ha l’effetto di una canzone facile, leggera che resta in testa e si canticchia per ore. Solo che è letale, tremenda, senza scampo. È il rumore di Auschwitz.

La zona d’interesse, già vincitore del Premio Speciale della Giuria a Cannes, è candidato a 5 Premi Oscar.  Sarà nelle sale dal 22 febbraio.
Ringraziamo Fondazione Cdec e Dei Wizo per la proiezione in anteprima.

Micol De Pas

È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.


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