Cultura
L’amore di una sola notte tra Janis Joplin e Leonard Cohen

Storia di un incontro speciale al Chelsea Hotel, un imponente palazzo rosso di 250 camere situato al numero 222 della West 23rd Street di Manhattan, tra la Seven e l’Eight Avenue…

Difficile immaginare due artisti più diversi di Janis Joplin e Leonard Cohen. Janis è stata la più importante cantante blues bianca di sempre, una vera e propria icona della controcultura e della musica del “secolo breve” grazie a quel mix irripetibile di rabbia e fragilità, di sensualità e di insicurezza, di grinta e di autodistruzione. Cohen, raffinato aedo dell’amore malinconico e dotato di un sottile umorismo jewish, si definiva, con la modestia che solo i grandi hanno, un “poeta minore”, ma è innegabile che alcune sue canzoni rientrino di diritto tra le migliori poesie del Novecento. La critica gli ha assegnato fin dagli esordi l’etichetta di rivale canadese di Bob Dylan, con il quale condivideva la scrittura ricercata e una misoginia neanche troppo velata.

Grazie all’atmosfera libertina e misteriosa del Chelsea Hotel, un imponente palazzo rosso di 250 camere situato al numero 222 della West 23rd Street di Manhattan, tra la Seven e l’Eight Avenue, è avvenuto in tarda notte l’incontro fugace, ma straordinariamente intenso, di due dei più importanti cantanti nella storia del rock, che si trovavano allora in situazioni diametralmente opposte.

Janis aveva 25 anni, era all’apice della carriera grazie al successo dei due album con i Big Brother and the Holding Company e viveva nella suite 411 del Chelsea Hotel. Dall’altro lato Cohen, scrittore fino a 33 anni, non riuscendo a “garantirsi una vita decente, forse neanche indecente”, dopo aver pubblicato la sua prima raccolte di poesie, Flowers for Hitler e i romanzi The Favourite Game e Beautiful Losers, si reinventò come improbabile pop star nel 1967, quando uscì il suo primo disco The Songs of Leonard Cohen.  “La sua immagine ascetica era in totale controtendenza con gli eccessi dionisiaci associati al rock and roll”, ha scritto il New York Times che cita anche la definizione che gli fu affibbiata di “maestro della disperazione erotica”. Serviva un luogo magico come il Chelsea Hotel per favorire l’incontro tra due persone così diverse. In quelle stanze William Burroughs ha scritto Pasto NudoArthur C. Clarke ha vergato 2001: Odissea nello spazio e Jack Kerouac il suo capolavoro On the road. Sempre lì Patti Smith posava per l’amico fraterno Robert Mapplethorpe, Bob Dylan ha composto Sad Eyed Lady Of The Lowlands e Sara, mentre Dylan Thomas e Nancy Spungen (fidanzata di Sid Vicious) hanno trovato qui la loro tragica fine. “Qui tutti sembravano aver qualcosa da offrire – scrive Patti Smith nel suo libro Just Kids– e nessuno sembrava avere denaro”. In una fredda notte della primavera del 1968, Cohen, immalinconito da una carriera che non aveva ancora spiccato il volo, si era concesso una passeggiata per le strade di Manhattan, fermandosi prima a mangiare da Bronco Burger e poi a bere un drink al White Horse Tavern, storico ritrovo di scrittori e artisti del Greenwich Village. Dopo aver varcato la porta dell’hotel, il cantautore canadese si ritrovò in ascensore accanto a una ragazza affascinante e dal look bizzarro: era Janis Joplin. Quello che accadde in quell’ascensore lo ha raccontato più volte lo stesso Cohen nei concerti come introduzione alla sua celebre canzone Chelsea Hotel #2, arricchendolo via via di nuovi dettagli. La versione più completa è probabilmente quella raccontata nel concerto di New York del 1988.

Mille anni fa ho vissuto in questo hotel a New York” ha raccontato Cohen al pubblico. “Ero un esperto pilota dei pulsanti di quell’ascensore, una delle poche tecnologie che abbia mai veramente padroneggiato. La porta si aprì. Sono entrato. Metto il dito sul bottone, senza esitazione: avevo un grande senso di maestria in quei giorni. La mattina presto noto una giovane donna in quell’ascensore. Ho preso coraggio e le ho detto “Stai cercando qualcuno?”. Lei ha detto “Sì, sto cercando Kris Kristofferson”. Ho detto “Little Lady, sei fortunata, io sono Kris Kristofferson”. Quelli erano tempi generosi. Anche se sapeva che ero qualcuno più basso di Kris Kristofferson, lei non mi ha contraddetto. Prevaleva una grande generosità in quei decenni di sventura. Comunque ho scritto questa canzone per Janis Joplin al Chelsea Hotel.

Janis Joplin non è mai entrata nei dettagli della loro relazione, ma non ha mai negato quell’incontro fugace. “A volte, sai, sei con qualcuno e sei convinto che abbia qualcosa da … da darti”, ha dichiarato Janis in un’intervista pubblicata nel libro The Sixties di Richard Avedon e Doon Arbus. “Voglio dire, è successo davvero a me. Due volte. Jim Morrison e Leonard Cohen. Erano gli unici due a cui pensavo come persone di spicco, ma in fondo mi hanno deluso”. Una delusione tale che, dopo quell’incontro, Janis non ha più voluto incontrare Cohen, rivisto di sfuggita solo un paio di volte. “L’ultima volta che l’ho vista è stato nella 23esima strada”, ha ricordato il cantautore canadese. “Mi ha detto: ‘Ehi amico, sei in città a leggere poesie per vecchie signore?’ Questa era la sua visione della mia carriera”. Janis morì il 4 ottobre 1970 per overdose di eroina, in una squallida stanza del Landmark Hotel. Un anno dopo, Cohen era seduta al bar di un ristorante polinesiano a Miami e beveva una bevanda al cocco, quando arrivò l’ispirazione per l’incipit della canzone:

I remember you well in the Chelsea Hotel/You were talking so brave and so sweet/ Giving me head on the unmade bed/While the limousines wait in the street.

In seguito Cohen si è pentito di quel riferimento così esplicito al sesso orale, come ha dichiarato in un’intervista alla BBC: «In quella canzone ho fatto il nome di Janis Joplin. Non so quando ho iniziato, ma ho associato il suo nome alla canzone, e da allora me ne sono sempre pentito. È un’indiscrezione per la quale mi sento molto in colpa. E se ci fosse un modo per chiedere perdono a un fantasma, vorrei chiedere perdono per aver scritto quella strofa». Eppure, nella parte finale della canzone, si intuisce che sia stata proprio Janis a non volerlo più incontrare, nonostante Cohen, forse, avrebbe voluto da lei qualcosa di più di una notte di passione:

Ma sei andata via, tesoro, non è così?/ Hai gettato tutto alle ortiche/ Sei andata via, non ti ho mai sentito dire/ Ho bisogno di te, non ho bisogno di te/ Ho bisogno di te, non ho bisogno di te/ O altre cretinate del genere.

Gabriele Antonucci
Collaboratore

Giornalista romano, ama la musica sopra ogni altra cosa e, in seconda battuta, scrivere. Autore di un libro su Aretha Franklin e di uno dedicato al Re del Pop, “Michael Jackson. La musica, il messaggio, l’eredità artistica”,  in cui ha coniugato le sue due passioni, collabora con Joimag da Roma


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