Cultura
Levi’s, storia di un marchio, di un uomo e di un’America

La mostra al Contemporary Jewish Museum di San Francisco

Non è stato Levi Strauss a inventare i jeans, ma questo non toglie che ne sia considerato il padre. È sulla base di questo assunto che il Contemporary Jewish Museum di San Francisco dedica fino all’8 agosto una mostra proprio all’immigrato ebreo bavarese che ha segnato lo stile americano. Dal sottotitolo che più esplicito e inclusivo non si può, a History of American Style, la mostra sul capostipite dell’impero del denim ripercorre sia la storia dell’imprenditore di origine tedesche e della sua azienda, sia quella degli immigrati ebrei in California nella prima metà dell’Ottocento e del jeans come simbolo dell’identità americana.

Come si legge su Tablet, verrebbe da parlare di una serie di mostre in una, dove i diversi aspetti della questione sono affrontati senza trascurarne le problematiche, comprese quelle legate alla pubblicità e al marketing. A questo proposito, è quasi superfluo dire che l’esposizione ha come sponsor principale la stessa Levi’s, ancora di proprietà dei discendenti di Strauss, che ha messo a disposizione del museo i propri archivi (fondati nel 1898 da un pronipote di Levi, Bob Haas, allora CEO dell’azienda) per la più grande e completa mostra mai dedicata agli iconici indumenti.
Poi, certo, non di soli jeans rivettati e salopette si parla, visto che vi si possono ammirare reperti ben più inediti e curiosi. Tra gli oltre 250 pezzi esposti si passa da una AMC Gremlin del 1974 blu pervinca rivestita interamente in denim Levi’s a copertine della Torah in tela jeans che incorporano cenni alla storia di San Francisco, ebraica e gay. Ci sono poi abiti portati da Beyonce, Madonna, Jake Gyllenhaal, Spike Lee e Harvey Milk, con la giacca di pelle firmata Levi’s che Albert Einstein indossava sulla copertina di Time e un paio di pantaloni da lavoro del 1890. Concentrandosi su quanto i jeans abbiano segnato l’immaginario americano, i monitor in sala mostrano frammenti di film e personaggi che sono un concentrato dell’americanità della Levi’s: da Marlon Brando ne Il selvaggio a Marilyn Monroe ne Gli spostati, da American Graffiti a Boys Don’t Cry e Brokeback Mountain passando da Thelma e Louise.
Nelle intenzioni dei suoi curatori, Levi Strauss: A History of American Style va però al di là dell’esposizione di cimeli storici o della esaltazione della storia di una azienda, ma si lega alle vicende del suo fondatore, inteso come esempio di imprenditorialità ebraica in terra americana, nonché come importante rappresentante della comunità di San Francisco. Secondo Lori Starr, direttrice del Contemporary Jewish Museum, l’istallazione «contestualizza l’esperienza ebraica per il pubblico del ventunesimo secolo, offrendo approfondimenti sulla storia di San Francisco e della sua popolazione ebraica, la storia di un elemento iconico dello stile americano e lo spirito inventivo alla base di tutto ciò».
Seguendo questo principio, il percorso espositivo accompagna Strauss nel suo viaggio dalla Baviera agli Stati Uniti. Non ancora ventenne, nel 1848 si chiama ancora Löb e sta fuggendo dalla povertà e dall’antisemitismo con la madre vedova e la sorella. La prima tappa è New York, dove alcuni suoi fratelli maggiori hanno già fondato un’attività commerciale. Löb prosegue il lavoro di famiglia con successo, puntando prima sulle aree rurali del Kentucky, dove vende i suoi prodotti per tre anni, e trasferendosi poi in California in piena corsa all’oro, nel 1853. Curioso notare come il giovane, che nel frattempo ha cambiato il nome in Levi ed è diventato cittadino statunitense, interpreti tale ricerca a modo suo, trovando quello che i curatori dell’esposizione indicano come “oro blu”.

Già molto apprezzato come commerciante, ritenuto onesto e affidabile, Strauss fonda con il cognato a San Francisco un’azienda specializzata in tessuti resistenti adatti agli abiti di minatori e pionieri così come alle vele delle imbarcazioni. Per un certo periodo prosegue con l’antica attività di venditore ambulante, portando lui stesso le sue merci presso le miniere. E sarà proprio per i minatori che creerà un particolare capo da lavoro, la salopette, realizzata in tela “de Nimes”, denim, o jeans, da Genova, le due città da cui in origine arrivavano quei tessuti.
La svolta arriverà vent’anni dopo, con l’incontro di Strauss con Jacob Davis. Sarto originario della Lettonia, l’uomo ha inventato un sistema per rinforzare i punti di tensione dei pantaloni, tasche in primis, grazie a rivetti in rame ingegnosamente fissati a pressione. Non avendo i soldi per pagarsi il brevetto, l’uomo chiede a Levi di partecipare alla spesa, mettendosi in società. Detto fatto, Strauss applicherà subito il nuovo metodo di fabbricazione nelle sue aziende e il 20 maggio 1873 nascerà ufficialmente il moderno jeans in denim, il cui brevetto N. 139.121 è esposto in questi mesi al CJM.

Oltre alla sua genialità e lungimiranza negli affari, unita a una buona dose di tempismo, la mostra dedica spazio anche ad altri aspetti della vita e della personalità di Levi. Riferendosi a quanto scrissero i giornali alla sua morte nel 1902, la curatrice Heidi Rabben ha dichiarato a Tablet che, «si vede quanto fosse un commerciante e un filantropo in egual misura. I valori ebraici del Tikkun Olam e della Tzedakah hanno dato forma a tutta la sua vita. Non aveva figli suoi, ma era conosciuto come zio Levi».
Nel pieno del suo successo, Strauss era noto come sostenitore di diverse organizzazioni benefiche locali, ma, come riporta la Jewish Virtual Library, già a trent’anni associava la propria fortuna economica alla popolarità come leader civico. All’epoca era un membro influente della comunità ebraica, sosteneva il Tempio Emanu-el di San Francisco e aiutava a finanziare la medaglia d’oro assegnata ogni anno al migliore studente della Scuola del Sabato del tempio. In più, collaborava con il Pacific Hebrew Orphan Asylum and Home, l’Hebrew Board of Relief, l’Università della California e con varie altre istituzioni civiche e culturali. Nel necrologio citato, del resto, lo si ricordava come «un liberale sostenitore anche di quanti non erano del suo stesso credo».

Un ultimo importante aspetto messo in luce dalla mostra è infine quello legato al marketing, compreso quello degli albori della ditta. Per quanto fossero i minatori i principali riferimenti commerciali di Strauss, a creare il mito dei suoi jeans sarebbero stati altri clienti, parte integrante del mito americano: i cowboy. Come sottolinea Tablet, l’azienda aveva intuito che i cowboy erano una icona soprattutto per quegli americani che non avevano mai trattato con un manzo in vita loro. Un motivo in più per promuovere i Levi’s come i jeans “indossati da tutti i cowboy” nell’epoca di maggiore sviluppo dell’estetica western, al cinema come in tutta l’industria del divertimento e della cultura popolare.

 

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.