Cultura
Marx era antisemita?

Secondo Manuel Disegni, autore del recente “Critica della questione ebraica. Karl Marx e l’antisemitismo”, Marx non solo non era antisemita, ma anzi ha dato un contributo fondamentale per comprendere in modo critico e quindi combattere l’antisemitismo

Karl Marx era antisemita? Ha ripreso acriticamente e utilizzato senza tanti problemi tutti i peggiori stereotipi del suo tempo sugli ebrei? Va considerato tra i primi teorici dell’antisemitismo moderno? Era invece magari indifferente rispetto alla questione? Oppure ha cercato di comprendere l’antisemitismo smascherandone le fallaci premesse?

Secondo Manuel Disegni, autore del recente Critica della questione ebraica. Karl Marx e l’antisemitismo(Bollati Boringhieri, 2024) Marx non solo non era antisemita, ma anzi ha dato un contributo fondamentale per comprendere in modo critico e quindi combattere l’antisemitismo. Una tesi forte e quindi tanto più meritevole di essere discussa e eventualmente anche criticata, non prima però di avere letto con attenzione il libro. Lo stile di Disegni è peraltro ispirato da quello spesso ironico – talvolta sfrenatamente ironico – di Marx e permette di affrontare un testo di filosofia di 400 pagine senza eccessiva difficoltà. Il libro, elaborato a partire da una tesi di dottorato, è inoltre costellato di digressioni sul contesto storico dell’antisemitismo e sui suoi alfieri nella Germania dell’Ottocento con i quali lo stesso Marx entra spesso in polemica.

L’antisemitismo moderno – la parola entrerà nell’uso nell’ultimo trentennio dell’Ottocento – è la sintesi di una visione, non una semplice credenza superstiziosa. Disegni fa bene a insistere sull’insufficienza di quelle spiegazioni dell’antisemitismo che descrivono l’ostilità contro gli ebrei come il rapporto inevitabile tra non ebrei ed ebrei. Questa e altre definizioni del fenomeno che si appellano all’irrazionalità, al mistero o al destino sembrano appartenere più a una teologia della storia che al tentativo di comprensione oggettiva, cioè storica. Forse l’autore esagera nel considerare ogni definizione astratta e generale di antisemitismo – come la definizione Ihra secondo la quale si tratta di una certa percezione (negativa) degli ebrei – il passepartout della visione mistica e in sede critica inaccettabile dell’antisemitismo eterno. L’antisemitismo è certo un tentativo (grossolano) di comprensione del mondo moderno – per utilizzare il lessico di Marx, una ideologia – ma un tentativo che allo stesso tempo produce effetti terribilmente concreti sulle vittime prese di mira, e cioè gli ebrei o coloro che dagli antisemiti vengono considerati tali.

Il problema non è da poco, perché quando parla degli ebrei Marx si riferisce non a persone in carne e ossa, ma all’immagine stereotipata dell’ebreo. E questo è esattamente quello che fanno gli antisemiti. La tesi coraggiosa del libro è che Marx con la parola “ebreo” intenda però proprio il contrario, cioè il fantasma proiettato dalla collettività sulla minoranza ebraica. Questo fantasma è l’ideologia della società borghese moderna, che attribuisce all’ebreo in astratto quello che non vuole vedere di sé stessa. L’ebreo, di questa società, è dunque specchio tanto inconsapevole quanto fedele. L’idea è affascinante e meritevole di ulteriore indagine, anche se forse non priva di debolezze. Non viviamo infatti – e neanche Marx viveva – nel regno delle idee pure: le idee comprendono le proprie premesse materiali (storico-sociali) e almeno in certa misura le proprie conseguenze, come segnala lo stesso Marx nella critica a Feuerbach.

L’intervento in cui più numerosi sono i riferimenti a ebrei ed ebraismo è Sulla questione ebraica, in cui Marx risponde a un opuscolo antisemita del filosofo hegeliano “di sinistra” Bruno Bauer. Disegni non si concentra però in modo specifico su questo scritto, di cui pure ricostruisce il contesto, bensì sul pensiero di Marx nel lungo periodo, distinguendo tre fasi fondamentali.

1) La prima fase è quella dell’esilio parigino del 1843-44, in cui Marx scrive la (dura) recensione a Bauer. “Il denaro è il geloso dio d’Israele, di fronte al quale nessun altro dio può esistere”, scrive Marx. Egoismo, traffico e denaro sono i tre fondamenti del giudaismo. La lettura di Disegni è che qui Marx non abbia ancora elaborato proprie e critiche categorie di analisi del mondo moderno, cioè della società borghese, e utilizzi quelle del tempo – cioè della stessa società borghese – che sono antisemite. La parola “ebreo” mantiene perciò le tradizionali accezioni negative, ma verrebbe privata del riferimento specifico agli appartenenti a un certo popolo, gli ebrei appunto, finendo per indicare il tipo sociale del “borghese”. Gli argomenti sono qui le rappresentazioni economiche, il contenuto ideologico, e per questo Disegni definisce questa fase “precritica”. La società borghese è descritta come il regno universale dell’egoismo e del denaro, cioè come ebraica.

2) Con il soggiorno di Marx a Bruxelles e lo scritto Miseria della filosofia in risposta (anche questa durissima, come nello stile del filosofo tedesco) alla Filosofia della miseria di Proudhon troviamo la seconda fase, quella del materialismo applicato all’economia, il cosiddetto materialismo storico. Marx qui si concentra non più sulle rappresentazioni economiche bensì sui fattori economici, cioè sul contesto storico-sociale. All’ideologia di Proudhon del lavoro onesto a cui si collega direttamente l’odio per il parassita raffigurato dall’ebreo, Marx contrappone la lotta di classe smascherando quella del francese come utopia reazionaria. Proudhon è considerato effettivamente da alcuni studiosi, e con solidi argomenti, uno dei precursori ottocenteschi del fascismo – e all’idolatria del lavoro come carattere del fascismo sono dedicate nel libro alcune pagine illuminanti. Nella violenta replica alle pagine in cui Proudhon descriveva con indignazione il dominio ebraico sul mondo moderno, Marx però non solleva la questione dell’antisemitismo, almeno non in modo esplicito. L’impressione è che la sua sia più una critica alla metafisica in quanto tale che alla metafisica antisemita dell’“utopista” Proudhon.

3) Infine, con il trasferimento a Londra nel 1848-49, la fase metafisica o speculativa, che si prolunga a includere i Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica (Grundrisse). Qui troviamo la critica dell’economia politica, cioè la critica del dio lavoro e l’indagine sulle contraddizioni del lavoro con sé stesso. Categoria cardinale è il feticismo, nuova forma di idolatria: avodà zarà nel lessico della Mishnà, una espressione che si può tradurre sia con “culto estraneo” sia con “lavoro estraneo” o se si preferisce, con Marx che di Mishnà certo era digiuno, “lavoro alienato”.

A valle di un’analisi incalzante, rimane tuttavia il sospetto che la suddivisione in tre “fasi” della riflessione di Marx sull’antisemitismo sia debole. Marx infatti parla degli ebrei – tra l’altro facendo proprio almeno all’apparenza (ma l’apparenza è sostanza!) il discorso antisemita dell’epoca – sostanzialmente solo nella prima “fase”, riservandosi nelle successive poco più che cenni sparsi, per di più regolarmente caustici. L’interpretazione dello scritto Sulla questione ebraica come una “fase” acerba del pensiero di Marx su ebrei e antisemitismo sminuisce la portata del discorso del filosofo a riguardo. La divisione in “fasi” meriterebbe insomma probabilmente di essere giustificata.

E Il capitale? Qui per Marx il potere che opprime non è il denaro (ovvero la sua epitome: l’ebreo), come invece secondo la metafisica antisemita sia di destra sia di sinistra, bensì il capitale. L’antisemitismo è perciò una scorciatoia che permette di non affrontare il problema. Il problema non è d’altronde il dolo di certuni – gli ebrei – bensì la struttura del lavoro nel mondo moderno, la struttura della società borghese nel mondo cristiano. Va comunque detto che neanche nel Capitale Marx mette a tema in modo esplicito l’antisemitismo, limitandosi a individuare il problema della modernità altrove.

Una delle argomentazioni che portano Disegni a sgombrare il campo dalle attribuzioni di antisemitismo nei confronti di Marx è lo stile di scrittura del filosofo di Treviri. Marx predilige la parodia, ha una prosa aggressiva e un forte senso dell’umorismo. Basta sottolineare l’ovvio anacronismo di ogni prospettiva politicamente corretta per sostenere l’ipotesi e così scagionare l’autore? Lo scritto in risposta a Bauer è sì la critica di un pensiero antisemita, ma è allo stesso tempo pieno zeppo di tutti gli stereotipi antisemiti ottocenteschi. Forse è riduttivo definire l’auspicio di Marx dell’“emancipazione della società dal giudaismo” e simili considerazioni come esempio di “linguaggio ruvido” o “espressione cacofonica”, e altrettanto sembra eccessivo descrivere Marx non solo come non antisemita, ma addirittura come anti-antisemita. In ogni caso sono ipotesi che meritano di essere valutate e approfondite. Per chiunque voglia farlo questa lettura è un viatico indispensabile.

Giorgio Berruto
collaboratore
Cresciuto in mezzo agli olivi nell’entroterra ligure, dopo gli studi in filosofia e editoria a Pavia vive, lavora e insegna a Torino. Ama libri (ma solo quelli belli), musei, montagne

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